Il film offre la possibilità di riflettere sull’oppressione esercitata dall’uomo sulla donna attraverso tradizioni e costumi forniti da ‘motivazioni culturali’.
Il film è tratto dal romanzo Fiore di Neve e il ventaglio segreto di Lisa Lee che narra di due storie di amicizia tra donne. La prima storia è ambientata nella Cina del XIX secolo: le protagoniste sono due donne che hanno subito la cerimonia della fasciatura dei piedi nello stesso giorno e, in quell’occasione, hanno siglato un Laotong, un patto che le fa diventare sorelle giurate per tutta la vita. All’interno di questo patto viene generato anche un codice segreto, detto nu shu, che servirà alle due amiche per confidarsi i segreti della loro vita. L’esistenza di un linguaggio cifrato per scambiarsi innocui messaggi di amicizia certifica in modo lampante la condizione di manifesta subalternità della donna, ma testimonia anche della presenza di una zona franca che la società offriva ai soggetti dominati per poter accettare la propria condizione, infatti tale codice veniva insegnato alle bambine dalla stessa donna che aveva il compito di darle in sposa nei matrimoni combinati.
In parallelo viene narrata la storia di Nina e Sophia, due giovani ragazze che vivono nella moderna Shangai, discendenti di quelle due donne; anch’esse rinnovano tra loro un patto di amicizia. Le due storie mantengono una forte similitudine che evidenzia come la totale abnegazione reciproca può giungere al paradosso di dovere negare i propri sentimenti profondi per poter restituire la libertà alla persona amata. Si confermano tra esse alcune similitudini, come la capacità dell’amicizia di superare le diversità di condizione sociale – anche se ciò sembra più verosimile tra soggetti ambedue dominati dagli uomini (come erano le due donne dell’antica Cina) – o la profondità di compenetrazione degli animi.
Il film offre la possibilità di riflettere sull’oppressione esercitata dall’uomo sulla donna attraverso tradizioni e costumi forniti da motivazioni culturali. Si è per lo più indotti a credere che tali forme di oppressione siano quasi del tutto superate all’interno della nostra società quando invece si sono solo trasformati i dispositivi attuativi di tale dominio, essendosi evoluti in concordanza con il passaggio dalle società disciplinari a quelle del controllo.
Oggi tale ruolo viene assolto, ad esempio, dalla moda e dai mass media, strumenti di dominio sul corpo della donna che mirano a regolare il canone della magrezza, della prosperosità o della postura attraverso nuovi strumenti di tortura e deformazione fisica (se nella Cina del XIX secolo erano le fasce dei piedi oggi sono le scarpe dalle forme innaturali) che devono rendere il corpo della donna attraente (e controllato) per l’uomo.
È illuminante ricordare il dialogo tra la Morte e la Moda, contenuto all’interno delle Operette Morali di Leopardi in cui la prima si vanta presso la seconda di tutte le similitudini che essa ha con la signora con la falce, e in special modo della sua capacità di condurre alla morte gli individui attraverso sofferenze che le persone riescono ad auto-infliggersi. Ma questa è già tutta un’altra storia.
Pasquale D’Aiello
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