Tutte le mie notti è il primo lungometraggio diretto da Manfredi Lucibello (scritto insieme a Andrea Paolo Massara), con Benedetta Porcaroli, Barbara Bobulova e Alessio Boni, prodotto da Carlo Macchitella, Antonio e Marco Manetti per Mompracem, Madeleinee Rai Cinema, con il contributo del Ministero della Cultura e la collaborazione della Regione Lazio; distribuito da 102 Distribution e disponibile su Netflix.
Un delicato thriller italiano dalla capacità straordinaria di fortificare le debolezze umane.
Tutte le mie notti: la trama
Il racconto di una notte – oscura e piena di colpi di scena – che cambierà la vita di almeno quattro persone è al centro del film, ove si incontrano, apparentemente per caso, due donne profondamente diverse fra loro, Sara, una bellissima diciassettenne che nasconde un inconfessabile segreto (la giovane attrice Benedetta Porcaroli, nota al grande pubblico per la serie TV Tutto può succedere, Babye per il film Perfetti Sconosciuti), e Veronica, un’avvocatessa quarantenne (una sempre brava Barbora Bobulova in un ruolo velato di mistero e malinconia) che ha dedicato tutta la sua vita al lavoro come legale in un’azienda tessile, sacrificando per vent’anni vita privata e autodeterminazione all’altare dell’impresa e celando i suoi veri sentimenti per il principale, Federico Vincenti, già sposato e con figli (Alessio Boni, come spesso accade, nella parte del bello e maledetto). Trama tratta da un nostro articolo a firma di Elisabetta Colla, dove vedere anche il trailer e leggere ulteriori approfondimenti.
Una notte, tre storie
La storia di una notte, la storia di tutte le notti. Sineddoche di una vita, la vita di una ragazza determinata a superare le difficoltà economiche che si intreccia a quella di un’altra donna, molto diversa da lei e ai suoi occhi uguale a tante altre: “serie, eleganti”, amante della musica classica. È un avvocato con un solo cliente e a lui deve tutto. Deve difenderlo non solo nella professione ma anche nella vita privata, una difesa preventiva, apprensiva. A complicare la vita di Federico arriva proprio il personaggio di Benedetta Porcaroli. E così tutto il film è consacrato alla soluzione di questo inconveniente molto ingombrante, diventa una moneta di scambio per salvare la sua vita.
La voce dei personaggi in Lucibello
Federico è una voce, nel film. Compare visivamente molto tardi ed è la sua voce a caratterizzarlo fortemente. La voce di una persona insicura, con una storia alle spalle tanto comune quanto complicata. L’uso della voce di un personaggio lasciata fuori campo che fa Lucibello in questo film ricorda quanto aveva già fatto nel cortometraggio “La storia di nessuno“. In quel caso la voce, over, attraversava tutto il film, qui resta fuori campo, lasciata ascoltare attraverso un telefono, spesso, a rappresentare un personaggio che entrerà in seguito in scena.
L’intreccio delle debolezze di tre personaggi
Sono tre storie cariche di una estrema debolezza, tutte e tre intrecciate inestricabilmente. Storie che si avvicinano e si allontanano, si incontrano e si scontrano. Segreti e confidenze sono gli ingredienti che legano insieme tutte le vicende della trama e fanno del film un ritratto delicato e intimo delle debolezze umane. Lasciando però lo spazio perché si possano fortificare, perché possano diventare il preludio di una vita raggiante e colorata. Al contrario della fotografia del film.
La fotografia di tutte le mie notti
L’illuminazione è tutta in chiave bassa, l’ambientazione è prevalentemente notturna. Perfetto specchio delle interiorità dei personaggi fatte di forti contrasti e lati oscuri, inconfessabili. L’atmosfera creata dalle tonalità cromatiche generali è dominata dalla scarsa saturazione, dall’uso di colori contrastanti e spesso fondati sul verde-rosso. Complementari come le vite delle due donne protagoniste della vicenda. Tutto si può inscrivere nel genere noir anche se manca la visione urbana: qui il contesto è quello di una periferia marina.
Le scene diurne sono minime e anche lì spesso i volti non sono sempre visibili chiaramente. In generale le immagini sono spesso impallate da altri oggetti. Vediamo molte volte attraverso: attraverso un vetro sul quale si riflettono immagini esterne, attraverso una recinzione, attraverso elementi della natura. Attraverso gli specchi.
La vita attraverso lo specchio
Gli specchi in molte inquadrature sono determinanti. Riflettono semplicemente un volto, moltiplicano le presenze nell’ambiente, creano effetti di split screen ricomprendendo in un unica inquadratura più punti di vista. A volte creano dei caleidoscopi dei volti, moltiplicazioni di immagini avvolte nel chiaro-scuro che finiscono per riflettere la natura sfaccettata e complessa delle esistenze di queste persone. Gli specchi ricreano anche curiosi effetti di sovrapposizione tipici dei film delle origini. C’è anche una citazione in questo senso all’interno del film: su una parete della sala da biliardo nella villa dove si svolge quasi interamente la vicenda compare la scritta al neon “Ma l’amor mio non muore”.
La citazione all’interno del film
Il riferimento è all’omonimo film di Mario Caserini (1913), gloria del cinema muto italiano. Ma questo film da “tutte le mie notti” si differenzia per l’uso della messa in scena in profondità di campo, per esempio, cosa della quale Lucibello non si serve. I suoi personaggi sono spesso inquadrati in primo piano; dicevamo sopra dell’immagine impallata da altri elementi. C’è anche un passaggio linguisticamente interessante quando Lucibello decide di mostrare le immagini della protagonista che si diverte con la sua amica direttamente utilizzando il video girato con il cellulare, con tutte le caratteristiche del caso: instabilità dell’immagine, dispositivo rivelato, inquadratura gestita direttamente dal soggetto ripreso.
Dalla superficie alla profondità e ritorno
È un film capace di rimanere in superficie (c’è la superficie dell’acqua più volte evocata, la ferita della ragazza che si vede appena dopo l’inizio del film, ma anche la presenza del denaro nella vita di Federico), senza rinunciare a scavare nella profonda debolezza delle carni dei personaggi (di nuovo l’idea della ferita), delle loro anime. La semplicità di un pranzo in famiglia, di una festa con gli amici è impedita dalle complicazioni delle vite di queste tre persone. Il film è giocato solo su tre personaggi e quasi esclusivamente dentro un unico ambiente.
Tutte le mie notti prova a portare in superficie gli errori che si compiono e i segreti che si custodiscono per tentare di identificarli più chiaramente, di dargli nuova luce. Questa è la promessa del film: uscire dall’ombra e dall’oscurità per approdare alla luce del sole e tornare alla semplicità delle cose lasciando le debolezze nell’ombra e fortificando le esistenze.
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