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Light for the youth, diretto da Shin Su-won, è tra i vincitori della 18° Edizione del Korea Film festival

L’ultima fatica della regista coreana, presentato alla 68° edizione del Festival di Cannes, è uno dei migliori film coreani del 2019. Meritevole per diversi motivi, il film ha come tema centrale lo sfruttamento sul lavoro, ma da questo se ne ramificano altri, come lo scontro generazionale.

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Light for the youth, Shin Su-won

Light for the youth, diretto da Shin Su-won, è uno dei migliori film Coreani del 2019. L’opera ha ricevuto una menzione speciale e il Premio L’Asiana Airlines Audience Award, alla 18° Edizione del Korea Film festival, che si è svolta a Firenze dal 23 al 30 settembre.

Il film affronta il difficile tema dello sfruttamento giovanile nel mondo del lavoro. Una sceneggiatura ben scritta e una regia versatile raccontano una storia polifonica, dove i sogni e le speranze dei protagonisti vengono annichilite dalle regole di una società claustrofobica.

La trama

June (Yoon Chan-young) ha 19 anni e lavora in un call center per il recupero crediti. Ma per lui la politica della sua azienda è troppo crudele. Lee se-yeon (Kim Hojung),manager del call center e madre di Mirae (Jeong Ha-dam), prova simpatia per June e prova ad incoraggiarlo. La sparizione del ragazzo, però, dà l’avvio ad una serie di conflitti, dove Lee se-yeon appare sopraffatta sia sul lavoro, che nel rapporto con la giovane figlia.

I pregi di Light for the youth

Quest’ultima fatica della regista coreana, già autrice di film come Madonna (2015), presentato alla 68° edizione del Festival di Cannes, è un lungometraggio meritevole per diversi motivi.

Il film ha come tema centrale lo sfruttamento sul lavoro, ma da questo si ramificano altri temi, come lo scontro generazionale.

Ma i pregi de Light for the youth non sono solo riconducibili alle tematiche di scontate attualità. Shin Su-won rappresenta questa storia, dalle mille sfaccettature, sfruttando al meglio il linguaggio cinematografico. E riesce a realizzare delle sequenze di notevole impatto visivo, con una grande potenza evocativa. Come le prime immagine del film, quando dei busti di gesso si inabissano in uno specchio d’acqua.

Sequenza che disorienta lo spettatore, il quale riesce a dare un significato solo più avanti. Ma in Light for the youth ad inabissarsi sono anche i sogni dei protagonisti. Non solo quelli di June, con ambizioni da fotografo, ma anche le speranze di Mirae, laureata in filosofia, che non riesce a sostenere la competizione, o meglio, la lotta nel mondo del lavoro.

Il sogno e la realtà

È evidente un contrasto tra ciò che i protagonisti vorrebbero essere e quello che sono costretti a fare per ottenere un salario. June vorrebbe dedicarsi a tempo pieno alla fotografia, ma la vita lo ha portato a riscuotere, senza scrupoli, i crediti per la sua azienda. Mirae ha fretta di entrare nel mondo del lavoro, ma la competizione le toglie il respiro.

Nonostante la sua posizione di potere, anche Lee se-yeon è afflitta dalle crudeli legge della sua azienda. È ossessionata dai traguardi economici fissati dal direttore ed è costantemente sotto esame. La situazione in cui si trova la donna può essere riassumibile nella sequenza che la mostra a bere dei drink con i suoi capi.

Il polpo

Queste immagini evidenziano il suo stato di subalterna, in una gerarchia prettamente maschile, anzi maschilista. Il suo porsi è sempre dimesso, sottomesso nei confronti dei due uomini accompagnati da dalle ragazze piacenti. È in questo momento che un polpo viene immerso in un drink e poi dato alle fiamme. L’animale prova a sopravvivere ma poi si lascia morire

Non è solo un macabro gioco, il polpo rappresenta la speranza e i sogni dei protagonisti. E come loro lotta, per poi arrendersi. Ma la morte in questo film, come d’altronde nella cultura orientale, non è una sconfitta, piuttosto una via d’uscita, una liberazione. Come il tentativo di suicido di Marae, che si sente rifiutata dalla madre e soffocata dalla vita.

June e la sua fuga

In Light for the youth è, in ogni modo, centrale la vicenda di June. È da questo personaggio che tutto inizia e tutto finisce. June è oppresso dagli orari massacranti del suo lavoro, che non gli concedono neanche di andare al bagno. Il ragazzo, inoltre, è imbarazzato nel pretendere i soldi. Le sue telefonate iniziano sempre dicendo che ama il cliente, ma poi è costretto a minacciarlo, perché così dice il manuale.

L’incontro con una giovane donna, che si  prostituisce per cancellare il suo debito fa scattare la molla in June. È interessante come Shin Su-won mostra questo incontro. Il tutto viene raccontato allo spettatore, attraverso la macchina fotografica, che il ragazzo porta sempre con sé.

Straziante è l’immagine della giovane donna distesa sul pavimento, ricoperta di sangue.

Di pari impatto emotivo è l’immagine della bambina in lacrime, che tiene stretta tra le braccia una bambola di pezze, mentre la madre viene portata via. È questa la fotografia che Lee se-yeon trova in un cassetto nell’Escape room e il tutto sembra diventare una crudele vendetta, orchestrata per ottenere le scuse della manager.

Obbiettivo in parte raggiunto. Lee se-yeon è costretta a vivere le sofferenze di June in sua figlia, che come il ragazzo, soffre le regole e le leggi del brutale mondo lavorativo. Emblematica è l’ultima sequenza del film, quando la manager danneggia il server della sua azienda, per poi calare le tende della finestra, che affaccia su un ponte, che isola, come un luogo maledetto, la sua compagnia dal resto della città.

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