A differenza del film di MorettiCaro Diario, Isola il lungometraggio di Elisa Fuksas rinuncia agli infingimenti della messa in scena per rappresentarela vita così come viene.
Presentato in anteprima alle Giornate degli AutoriIsola è un’opera di struggente sincerità.
L’apertura di Isola afferma che il mistero dell’esistenza non può essere spiegato ma solo osservato e che questo è l’unico modo per cercare di coglierne il senso. Una manifestazione di intenti la tua e del film simile a quella di cineasti come David Lynch a Christopher Nolan,propensi a una visione del cinema affidata ai sensi invece che alla ragione.
E’ vero, sono d’accordo, la realtà è talmente più interessante e misteriosa che poi alla fine c’è veramente poco da aggiungere. Si può solo provare a coglierne il senso abbandonandosiall’osservazione dei suo fenomeni.
In questo film tu lo fai in maniera molto concreta ma come capitava nei tuoi lavori precedenti senza rinunciare al dialogo con il metafisico ancora una volta presente si ma fuori campo.
Si, sia in Albe che in TheAppdi cui avevamo parlato a suo tempo c’è sempre qualcuno o qualcosa che manca (ride, ndr). In questo caso in realtà c’è qualcuno presente più degli altri e cioè io.
Mi sembra di poter dire che Isola non ci sarebbe stato senza l’esperienza dei film precedenti. A posteriori è come se Nina, Albe e App siano stati preparatori a quellache si può considerare una nuova fase della tua filmografia.Con Isola ti rimetti in gioco.
Il punto non è stato quello di capire che sono in gradi di fare film con il cellulare. Piuttosto si tratta di un problema di punto di vista al quale mi sembra di aver dato finalmente una risposta. Mi pare cioè di aver trovato una distanza tra me e le storie che racconto. Ho capito che questa non c’è e non deve esserci, per questo pensotu abbia ragione nel dire che Isola per me è un inizio. Per qualche verso lo percepisco come il mio primo film.
Da una parte il regista è colui che si nasconde dietro i personaggi, dall’altra tu ti sei sempre proposta con disarmante sincerità, qualità questa riscontrabile persino nelle tue interviste. Con Isola elimini taledualismo perché davanti alla mdp ci sei sempre tu.
Si e come hai visto lo faccio senza alcuna vanità. Appaio sempre distrutta. Mi inquadro come non fossi io, cioè non nascondendo nulla di ciò che sono e di quello che sembro. Però è anche vero che rivedendomi non mi riconosco ed è per questo che ho potuto montare il film. Se mi fossi rivista in quella persona e in quell’attrice non sarei mai riuscita a farlo. E’come se avessi fatto un doppio salto mortale che mi fa rivolgere alla materia del film come se fosse finzione. Se così non fosse non sarei riuscita a tornare su quel girato e dunque a realizzare Isola.
A tal proposito nel corso del film c’è un passaggio in cui guardando la tua immagine riflessa nello specchio parli di essa come una sorta di doppio. Dunque è questo sdoppiamento che ti permette di vederti e soprattutto di filmarti.
Di fare e tutto sommato di vivere. Stavolta non c’è più distanza, c’è solo sincerità e nessuna sovrastruttura. Non c’è la finzione che è una grande sovrastruttura e una vera e propria liberazione rispetto alla verità. Qui invece c’è solo quest’ultima che magari è poco, come dico nel film, però è già qualcosa.
Isola mette in scena la tua esperienza, segnata dalla scoperta della malattia e dall’isolamento provocato dal lockdown. Considerando la drammaticità della situazione lo sdoppiamento di cui mi dicevi risulta anche terapeutico in senso stretto perché facendoti accettare te stessa rende in qualche modo sopportabile anche la malattia. Quando si dice la potenza del cinema.
Si, è la forza di un mondo in cui il desiderio rende possibile anche ciò che non lo è come ad esempio vincere la morte. Se non avessi avuto da fare una cosa di quel genere cioè se non avessi deciso di raccontare quella storia, se non avessi osservato la mia vita con la distanza che mi ha permesso di girare il film come fosse il frutto della mia immaginazione non credone sarei uscita così facilmente perché certi giorni era veramente dura.
A livello drammaturgico il film vive su due sospensioni narrative. La prima è data dai giorni che ti separano dall’operazione, la seconda da quelli che intercorrono tra l’inizio e la fine del lockdown.
Esatto. In quei giorni non si poteva far altro che aspettare e tentare di capire.Ogni cosa era rimandata a un mondo la cui rivelazione era di continuo posticipata.
Considerando la mole di materiale filmato mi pare di poter dire che se dal punto di vista narrativo la realtà ti ha offerto una scansione temporale già costruita, nel senso che bastava seguirne gli sviluppi per creare una trama coerente a quanto volevi raccontare, ciò non è successo con il montaggio di Natalie Cristiani. Mi pare di poter dire che la scelta è stata quella di una selezione e composizione delle immagini di tipo emotivo. E’ così?
Si, emotivo e tra l’altro molto somigliante a Natalie, cosa peraltro scontata perché ognuno di noi fa quello che è. Se hai notato nelle scene non ci sono tagli esterni e per quanto ci riguarda non abbiamo trattato il film come fosse un normale lungometraggio perché non volevamo tradire il fatto che fosse stato stato girato con un cellulare. Dunque lo abbiamo lasciato sembrare come era realmente e durante il montaggio non abbiamo fatto finta di avere un film normale tra le mani.
Infatti, e stavo per chiedertelo, mi è sembrato che da parte vostra ci sia stata la volontà di valorizzare la spontaneità del gesto anziché la perfezione della forma.
Si, certo, avremmo potuto farlo con una forma più pulita ma abbiamo deciso di andare in direzione opposta. In questa maniera le immagini di Isola sono piene dei miei dubbi, dei miei ripensamenti nell’inquadrare e nel raccontare la storia. Tra l’altro io sono una che non fa mai video nella vita per cui per me è anche molto faticoso andare in un posto e iniziare a riprendere. Quando succede mi sento sempre una turista.
Infatti a un certo punto ti cade il telefonino e la scena è comunque presente all’interno del film. Secondo me questa forma va di pari passo con la sincerità dell’assunto. Se avessi adottato una messinscena classica il racconto non avrebbe avuto la stessa verità.
Si, è stata una scelta ed è stata la prima cosa che siamo dette con Natalie e cioè che non bisognava fare un film ma un altra cosa che non abbiamo ancora capito cos’èma che comunque nel corso delle visioni si chiarisce da sola.
Isola trova anche il modo di riflettere sul cinema. Tra le tante considerazioni c’è quella sul limite del filmabile. Tu scegli di non fermarti e di non nascondere nulla.
Ad un certo punto non sai bene il limite delle cose che stai facendo. In realtà il limite è quello che è successo per cui non mi sono più posta grandi problemi. O meglio, si è trattato di una questione che mi sono posta dopo più che prima.
Ho trovato interessante anche quella relativa alla prossimità del cellulare che è entrato a far parte così tanto della tua intimità da doverti riabituare a guardare la realtà senza di quello.
Si è vero, era proprio un problema uscire da questa cosa. Il cellulare era diventato il nostro mondo. L’unico che c’era.
Come detto Isola riprende alcuni dei temi appartenenti alla tua poetica ovvero il rapporto con il sacro e un attenzione anche architettonica alla città di Roma, continuamente inquadrata nei dettagli in cui si estrinseca la sua eterna bellezza. A non mancare all’appello è anche la percezione dell0’esistenza che avevi raccontato fin dai tempi di Nina. Quando a certo punto dici di sentirti un fantasma che attraversa la città è impossibile non pensare al tuo film d’esordio.
Si, in fondo si tratta sempre della stessa città perché quella di Nina era in qualche modo una metropoli in lockdown salvo il fatto che si trattava di un isolamento volontario perché sceltodalla protagonista. In Isola invece abbiamo una separazione coercitiva che però dal punto della resa visiva risulta uguale a quella che abbiamo appena vissuto. Però è vero come dici tu che in qualche mondo i mondi sono gli stessi anche se questa volta invece di creare un personaggio ho messo una persona cioè me stessa. Tra altro, a proposito di corrispondenze tra un lavoro e l’altro, come saioggi è uscito il mio nuovo libro dal titolo Ama e fai quello che vuoi in cui il primo capitolo è quasi un prequel del film perché vi si racconta la storia del mio battesimo e dei due anni che mi sono serviti per riuscirci. Isola in qualche modo ne è la conseguenza perché è come se quella fede appena celebrata fosse stata messa alla prova dalle difficoltà della malattia. In qualche modo ho dovuto dimostrare a me stessa di continuare a credere nonostante tutto.
Nel film racconti di misteriose coincidenze e diincredibili corrispondenze numeriche tra alcuni degli eventi che hanno segnato quel pezzo di vita.
Si, anche per me è incredibile però sai quando le cose succedono diventano credibili. A distanza di un anno mi sono operata di cancro quindi è tutto vero.
Il film può essere d’aiuto anche per lo spettatore considerato che la fragilità di fronte alla malattia è un tratto comune della nostra umanità. Tu a un certo punto dici di accettare il male senza rancore ne disperazione. In questo modo poni le basi della tua guarigione.
E’ l’abbandono. In qualche maniera ti lasci andare a questa possibilità, accettando l’esistenza del male. Purtroppo le cose succedono. Ci possono fare male gli altri o possiamo farcelo dai soli oppure può essere un male senza causa, senza ragione, senza quartiere. Poi, sai, la vera questione è capire se il male che accade è veramente tale oppure è un altra cosa. Penso che questo lo si comprende molto tempo dopo, ammesso che sia possibile. C’è infatti da tenere presente che ci rivolgiamo alla realtà da una prospettiva umana e quindi imperfetta per antonomasia.
L’ultima sequenza è bellissima, ricorda Albe e vede coinvolto tra gli altri Tommaso Fagioli coautore di quel film. In essa è come se consegnate all’universo e all’aere la tua e le nostre speranze.
Tutti i personaggi del film sono persone che fanno parte della mia vita e Tommaso è uno di questi. Parlando con lui cercavo di trovare una soluzione per questo finale che volevo fosse una lettera d’amore indirizzata alla mia amica. Siamo riusciti a inventarci quello che hai visto. E stato un gesto inaspettato un atto poetico, un blitz del sentimento come lo chiama Tommaso.
Oltre a suggellare il culmine di una leggerezza a cui nonostante tutto il film non rinuncia l’immagine del cellulare nero sospeso nell’aria ricorda il meteorite kubrikiano.
Si, un meteorite distrutto e massacrato dal tempo, dall’uso e da tutte le cose successe.
Parlando di riferimenti cinematografici, Isola ricorda per certi versi il diario intimo del Diario morettiano.
Si è vero, assolutamente.
Prima di iniziare a girare hai pensato a quel film?
No, non ci ho mai pensato però è vero che anche il mio è un diario. La differenza è che li c’era comunque una troupe e dunque un livello di messinscena differente. Qui non c’è niente di finto, non c’è una ripresa rifatta o una cosa che non sia veramente girata in quel periodo. Inoltre è stato montato seguendo la normale cronologia dei filmati perché appena cercavamo di spostare una cosa ci accorgevamo che non funzionava e dunque che doveva tornare nel suo tempo.
Come nel film di Moretti anche nel tuo c’è un pellegrinaggio.
Guarda, è tutto inconsapevole come ti ho detto non c’è nulla di scelto o programmatico. Questo film è autonomo al punto che faccio anche fatica a parlarne perché davvero tutto quello che avevo da dire è nelle immagini. Nel farlo mi sembra quasi di tradire la natura di questo lavoro che ha una propensione spontanea. Nel raccontarlo mi sembra di trasformarlo in un prodotto che non sarà mai.
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