L’errore più grande che uno spettatore possa fare al momento della fatidica scelta del film da andare a vedere al cinema è quello di lasciarsi condizionare dalla campagna pubblicitaria legata alla sua distribuzione, nella maggior parte dei casi ingannevole e forviante. Per carità fa tutto parte del gioco e delle machiavelliche strategie distributive che spesso non rispecchiano gli effettivi valori tecnico-artistici dell’opera, ma che puntando con decisione su uno o più elementi rilevanti riescono tuttavia a calamitare frotte di persone nelle sale. La carta vincente è senza alcun dubbio il passa parola (vedi i recenti trionfi al box office della commedia made in Italy) oppure, come accade per Sanctum di Alister Grierson, l’intera campagna promozionale viene costruita solo ed esclusivamente su un nome, ossia quello di James Cameron, che per molti è un sinonimo di garanzia.
L’opera seconda del regista australiano, che si era fatto notare dal pubblico e dagli addetti ai lavori con il pregevole war movieKokoda (2006), ha di fatto raggiunto le sale cinematografiche alle diverse latitudini, comprese le nostre con la Eagle Pictures, sulla scia della spinta mediatica data dalla partecipazione in veste di produttore di un Cameron versione testimonial. Del resto, le vicende raccontate in Sanctum ben si sposano con una delle tematiche chiave nella filmografia del regista statunitense: le profondità marine (The Abyss e i due documentari Ghosts of the Abyss e Aliens of the Deep) e i territori inesplorati. Dunque è facile intuire i motivi che lo hanno portato a produrre la pellicola. Il risultato è una campagna promozionale a tappeto con manifesti sui quali compare a caratteri cubitali «Da James Cameron. Creatore di Titanic e Avatar». Di conseguenza, diventa un’impresa ardua il far desistere lo spettatore medio dal catapultarsi al cinema per vedere quello che viene presentato come l’ennesimo show stereoscopico da non perdere assolutamente. Purtroppo il post visione delude le attese e non vale il prezzo del biglietto.
Anche se filmato con le tecnologie messe a disposizione dal più quotato collega americano, vale a dire quel gioiellino di macchina da presa progettata per le riprese di Avatar (2010) battezzato Cameron/Pace Fusion 3D Camera System ma con un budget decisamente inferiore, Sanctum non riesce ad andare oltre la spettacolarità e l’estetica dell’immagine. La nitidezza, la profondità di campo e la perfezione delle inquadrature, rese possibili da una visione tridimensionale nativa e non ricostruita in post produzione, danno vita a un prodotto votato alla piacevolezza dello sguardo e non a quello della partecipazione emotiva della platea di turno. Grierson porta sullo schermo un film che, seppur basato in parte su una storia realmente accaduta, non riesce mai a far breccia nel cuore e nella mente dello spettatore. Thriller e avventura si fondono per dare origine ad un plot ibrido che preferisce di gran lunga dare spazio all’azione piuttosto che alle atmosfere claustrofobe e angoscianti. In tal senso, pensando agli ambienti e ai personaggi che animano il film (una gigantesca caverna inesplorata e un gruppo di speleologi) non può che ritornare alla mente il carico di emozioni scagliato contro la platea da Neil Marshall nel suo terrificante The Descent (2005).
Le note dolenti sono dunque rintracciabili in maniera chiara nella sceneggiatura piuttosto che nella sua messa in scena, davvero poca cosa rispetto al potenziale a disposizione di una storia estrema di disperata sopravvivenza. Si punta all’intrattenimento, lasciando inspiegabilmente ai margini ogni tipo di implicazione psicologica. La paura e la tensione si legge solo sui volti dei protagonisti e non oltrepassa mai lo schermo. Il coefficiente drammatico si attesta ai minimi storici, anche a causa di dinamiche umane (padre-figlio) e di conflitti tra le parti poco coinvolgenti. Se poi ci si mettono anche i dialoghi a guastare la festa (ci si può preoccupare del mutuo da pagare quando si è bloccati sotto terra a centinaia di km dalla superficie?) allora è meglio mettersi l’anima in pace, tapparsi le orecchie, godersi le immagini e sperare che qualcuno prima o poi riesca a trovare una via d’uscita.
Francesco Del Grosso
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