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FESTIVAL DI CINEMA

Pete Smalls is dead (Festival di Roma 2010)

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Un regista scompare e la stessa sorte capita al film al quale stava lavorando. Lo sceneggiatore K C Monk (Peter Dinklage) e Jack (Mark Boone) si incontrano a Los Angeles per il funerale dell’amico, Pete Smalls (Tim Roth). Da qui diverse avventure portano i due a cercarlo e, attraverso incontri bizzarri con un improbabile produttore (Steve Buscemi), montatori e figure bizzarre legate al mondo del cinema, scoprono alla fine il loro amico Smalls in Messico, vivo e vegeto.

Con il suo primo lungometraggio Lenz (1982), premiato dal Festival di Berlino, e poi con il malinconico e singolare Sons (1989), il regista Alexandre Rockwell si impone alla critica, tanto che nel 1992 con In the soup – Un mare di guai mette in scena uno strampalato racconto meta cinematografico, in cui è il cinema stesso, nelle sue diverse sfumature, a farla da padrone.

Ma è con Four Rooms, il film omaggio alla Nouvelle Vague, girato nel 1995 accanto a registi del calibro di Tarantino (che scelse tra i suoi ex compagni del Sundance Film Institute Allison Anders, Alexandre Rockwell e Robert Rodriguez per girare ciascuno un episodio del film) e Rodriguez  che il suo nome ottiene una diversa risonanza.

È oltre le regole di Hollywood, oltre gli studios, le mayor, e le titaniche case di distribuzioni, che il cinema indipendente americano si ritaglia uno spazio. Uno spazio che dalla metà degli anni ‘40  ha cominciato  a farsi largo, rispondendo alla necessità sempre più impellente di mettere in discussione le regole di distribuzione, le logiche di mercato, ma anche i principi narrativi, solidi, caramellati, patinati e stilizzati del cinema hollywoodiano. Da Cassavetes che nel ‘60 con Shadows diventa il simbolo del New American cinema, il cinema indie – che vede negli anni ’90 accanto al nome di Rockwell quello di Jim Jarmush e di Hal Hartley continua a mantenere saldi i criteri stilistici dei loro mentori. Così il realismo, il cinema – verità, il documentarismo, la povertà di mezzi produttivi e l’improvvisazione sono alla base del cinema di questo piccolo, grande artista, underground e sregolato.

«L’improvvisazione è come la musica: il dialogo sono le note, gli attori i musicisti capaci di suonarle nel modo migliore»: queste le parole con cui Alexandre Rochwell presenta il suo ultimo film al Festival del cinema di Roma, alla quinta edizione, nella sezione L’altro cinema.

«All’improvviso c’è arrivato addosso qualcosa che non ci aspettavamo: il successo.» Fuori campo la voce spiazzante del protagonista introduce il film e apre il commovente viaggio di un uomo senza un soldo e senza sogni che parte per salutare un amico morto e ritrovare il suo cane.

Maschere grottesche e stravaganti fanno da coro intorno alla presenza di KC, che compie il suo viaggio catartico per ritornare ad una nuova vita; una figura malinconica, pazza d’amore e di solitudine, interpretata dall’incredibilmente versatile Peter Dinklage,.

Come pagine grottesche di un diario privato, i film di Rochwell mettono in scena faccende e avventure personali, per cui le sue storie diventano rocamboleschi eventi, il cui scopo è permettere al cineasta di girare un film in assoluta libertà.

Così i suoi protagonisti sono artisti squattrinati, registi messi al bando, senza nessuno che investa su di loro, figure emarginate, del tutto eccentriche, borderline ed estrose. All’interno del canovaccio preferito – il cinema stesso – l ’antagonista classico diventa il produttore, definito come gangster, figura cialtrona, disperata e frustrata,  al limite dell’assurdo.

Come nella scena finale di Tempi moderni (1936), KC si allontana, di spalle, insieme alla figura giovane ed ingenua di Saskia, mano nella mano. Poi l’ultimo stacco prima della fine del film vede il primo piano di KC mentre guarda in macchina fino a scomparire dentro il nero di un iris: un dolce saluto a Chaplin e a noi che guardiamo, sopraffatti, commossi dall’umanità disarmante di un volto che racconta ogni possibile emozione, il dolore, l’amore ed il desiderio di rinascere.

Nonostante ecceda rispetto agli altri film per il virtuosismo tecnico al quale ricorre, Rochwell imprime  un tocco ironico, grottesco, rendendo un continuo omaggio al cinema classico dei grandi registi. Pete Smalls is dead è un film pazzo, stralunato, malinconico, sopra le righe e denso di humor.

Chaplin, Fellini, Cassavetes, fino a Jarmush, sono alcuni tra i tanti nomi che il cinema di Rochwell richiama, e ricordando sempre il cinema classico, lo si guarda mettere in scena una strada alternativa, da percorrere in solitudine, lasciandosi alle spalle i compromessi del mainstream.

Martina Bonichi