Il cinema genera incubi. È questa in sostanza l’idea che sta alla base di El Profugo di Natalia Meta, selezionato nel concorso ufficiale come rappresentate di un cinema, quello di genere che sempre di più (dopo i successi festivalieri de La forma dell’Aqua e di The Joker) trova posto nei festival che contano.
Un incrocio di suggestioni
Nel caso di El Profugo a fare la voce grossa è un incrocio di suggestioni che prendono in considerazione citazioni del cosiddetto genere di serie B, quello in cui la paura e lo sgomento nascono da una deformazione eccessiva e insieme ingenua del quotidiano.
Un dispositivo che l’autrice usa per suscitare sentimenti di segno opposto: da una parte la tensione e il dubbio rispetto alla verosimiglianza degli spaventosi accadimenti destinati a sconvolgere la vita di Ines, dall’altra il riso scaturito da una messinscena che accumula elementi all’interno del quadro con un’ossessione nevrotica e caricaturale.
Attraversato da angosce e disgrazie destinate a confondersi per la natura onirico-surreale entro cui si svolge la vicenda, El Profugo nasconde le sue verità dietro lo squilibrio psicologico della protagonista, ipotizzando che l’immedesimazione con i personaggi dei film horror a cui Ines presta voce e sentimenti le impedisca di distinguere la realtà dalle allucinazioni di cui è vittima.
El Profugo è corredato da un apparato visivo e sonoro che fa dello schermo il riflesso del deragliamento interiore della protagonista
Costruito sulla mimica facciale e sul body language degli attori, efficaci nel prestarsi alle stravaganze e alla paranoie dei loro alter ego, El Profugo è corredato da un apparato visivo e sonoro che, nella claustrofobica e labirintica articolazione degli ambienti, nelle riprese sghembe e spesso fuori fuoco e nel montaggio ellittico, fa dello schermo il riflesso del deragliamento interiore della protagonista, convinta a un certo punto di essere posseduta dall’entità demoniaca da cui il film prende titolo.
Interpretato da una Erica Rivas, presa in prestito dai film di Almodovar, chiamato in causa anche dalla presenza di una delle sue icone, Cecilia Roth, qui nel ruolo della madre di Ines, a El Profugo non mancano buone idee. Il problema, però, è che rimangono ingarbugliate dalla necessità del film di mantenere fede alla sua natura ludica e provocatoria, resa manifesta dal fatto di non svelare allo spettatore la natura – vera o falsa – di ciò che ha visto, ma di alludervi attraverso i riferimenti al cinema e al lavoro di doppiatrice della protagonista, “simulatrice” nel lavoro e, forse, anche nella vita.