Durante gli anni di piombo la vostra comicità, e mi riferisco a quella de I Gatti di vicolo Miracoli e degli altri artisti che si esibivano al Derby di Milano, reagisce alla complessità dei tempi organizzando degli sketches dai quali usciva una realtà assurda e piena di non sense.
Certo, d’altronde penso che nell’ambito del cabaret il nostro modo di fare spettacolo ci abbia reso dei pionieri. Abbiamo rotto un po’ gli schemi, ispirandoci in qualche modo ai non sense di Cochi e Renato, come pure alla musicalità dei Gufi, a cui abbiamo aggiunto del nostro nel ritmo scatenato delle battute, nei movimenti e nelle coreografie. Dario Fo ci prendeva in giro dicendoci che eravamo maestri del calembour e in effetti era così perché facevamo assurdi giochi di parole da cui scaturiva il non sense a cui ti riferivi nella domanda. In fondo veniamo un po’ anche da quella scuola lì, perché, se tu pensi, il nostro prima regista è stato Arturo Corso, ovvero colui che all’estero firmava la direzione dei lavori di Fo. Quindi il nostro background culturale e pure teatrale era importante.
D’altronde, negli anni Ottanta il superamento del fenomeno terroristico genera per contro una voglia di leggerezza e di divertimento che non prevede deroghe. Il pubblico ha voglia di personaggi piacevoli e rassicuranti e la fisicità non aggressiva e la tua naturale bonomia si sposavano in tutto e per tutto ai gusti dell’epoca.
Certo, perché negli anni Ottanta impersonavo il giovanotto stufo dell’impegno dei tempi precedenti e invece desideroso di farsi strada nella vita con le unghie e con i denti; insomma, era uno che voleva andare a vivere da solo, che voleva fare lo yuppie e andare a Cortina. Gli anni Ottanta sono stati un po’ questo, nel bene e nel male hanno incarnato un moto di entusiasmo. I giovani avevano voglia di fare, e poi, secondo te, oggi i ragazzi hanno voglia di andare a vivere da soli? Certo che no! Ma non è colpa loro, bensì di genitori troppo protettivi, di quelli che quando i figli tornano a casa con un brutto voto invece di prendersela con loro si arrabbiano con il professore. Rispetto ai giovani di oggi, noi avevamo voglia di affrancarci dalla famiglia e di avere successo. Diciamo che io nel cinema ho sempre interpretato questo giovanotto in apparenza un po’ superficiale e sempre allupato, che però aveva una grande voglia di vivere. Vedo che i ragazzi anche oggi guardando quei film si divertono parecchio; molti di essi sono diventati dei cult e si tramandano di padre in figlio.
In quel momento nascevano le reti commerciali e la televisione si sovrapponeva al cinema facendo di quest’ultimo una sorta di sua derivazione. Non a caso il tuo esordio sul grande schermo avviene con Arrivano i gatti di Carlo Vanzina, in cui a essere protagonisti sono I Gatti di Vicolo Miracoli, che il pubblico aveva imparato a conoscere in quella fucina di talenti che fu Non Stop, uno dei programmi televisivi più celebri dell’epoca.
Certo, andò proprio così, perché dopo di noi hanno debuttato anche Carlo Verdone, poi Troisi e Nuti. Quella è stata una nuova ventata di attori che dal successo televisivo di una trasmissione, quale Non Stop di Enzo Trapani, sono poi diventati delle star della commedia. Non a caso ci chiamavano “I nuovi comici”.
Ad un certo punto, anche il cinema drammatico si accorge di te. Dapprima reciti in Sposi, diretto da Pupi Avati, e poi in Diario di un Vizio di Marco Ferreri, riscuotendo un grande successo personale.
Con quel film sono andato al Festival di Berlino, dove vinsi il premio della critica italiana. In quell’occasione tutti gli addetti ai lavori che come sempre bistrattano i comici, per poi rivalutarli quando sono morti, mi tributarono un plauso, mentre il gotha della critica italiana, e in particolare Lietta Tornabuoni e Aldo Grasso, mi chiesero scusa per come mi avevano trattato a proposito delle mie commedie, dicendomi che in realtà ero un bravo attore, di quelli a tutto tondo. Insomma, mi sono tolto una bella soddisfazione anche se poi non è che abbia continuato su questo versante. Mi è bastato dimostrare di poter recitare a certi livelli.
In quell’occasione Ferreri ribalta l’iconografia del tuo personaggio utilizzando una chiave drammatica e grottesca per fare di te un erotomane depresso e tradito dalla moglie.
L’intuizione di Marco fu straordinaria, senza dimenticare che a Diario di un vizio si deve la scoperta del grande talento di Sabrina Ferilli.
Nella tua filmografia non ti sei fatto mancare niente, dunque neanche la regia nella quale esordisci in occasione di Chicken Park, uscito nel 1994.
Quello è stato uno scherzo pensato da un produttore fuori dalle righe come Galliano Iuso, uno degli inventori del genere poliziottesco. È stato lui farmi esordire in quello che oggi è definito come un capolavoro del trash movie. Io mi sono divertito un mondo ed è stata per me una grande scuola perché come prima regia ho fatto un film recitato in inglese e ambientato dall’altra parte del mondo, a Santo Domingo; insomma mi sono fatto le ossa. Comunque, parliamo di un prodotto che è stato venduto ovunque e ha portato a casa dei bei risultati economici. Poi come regista ho fatto delle cose più carine, come I ragazzi della notte, Gli inaffidabili, dove c’erano anche i miei amici dei Gatti e, ancora, Vita Smeralda, capace di anticipare di sette mesi lo scandalo di vallettopoli.
E adesso è la volta di un nuovo film da te diretto e interpretato.
Si, ho avuto questa idea molto carina e per me di grande valore sentimentale perché mi ha permesso di tornare a lavorare con gli amici de I gatti di vicolo miracoli. Con grande autoironia, abbiamo ambientato il film in un ospizio e ne e venuto fuori questo Odissea nell’ospizio che, al contrario del titolo un po’ parodistico e demenziale, è una commedia vera nella quale quattro ex componenti di un gruppo – che parafrasando la realtà abbiamo chiamato I Ratti (ride, ndr) – si ritrovano nella stessa casa di risposo e ne combinano di tutti i colori. Ad un certo punto si troveranno addirittura ad allestire uno spettacolo organizzato per evitare la chiusura del posto, ritornando a calcare le scene. Ma non basta, perché la storia è ambientata in un contesto di grande attualità data dal fatto che, a un bel momento, nell’ospizio arriveranno anche dei profughi, innescando un microcosmo che è un po’ lo specchio di ciò che succede in Italia rispetto al fenomeno dell’immigrazione. Il tutto trattato con leggerezza e in chiave di commedia. Abbiamo scelto di non fare uscire il film nelle sale, optando per la piattaforma digitale Chili che, come Netflix ha dimostrato, rappresenta la forma di distribuzione del futuro.
Il film esce sulla piattaforma digitale Chili e non nelle sale, eccezion fatta per gli eventi, come quelli fatti a Milano per la presentazione e quet’estate a Ischia al global film festival e adesso qua a Terni.