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Interviews

Venezia 76: Passatempo. Conversazione con il regista del film, Gianni Amelio (Settimana della critica)

Passatempo di Gianni Amelio è la dimostrazione di un cinema capace di sopravvivere al passare degli anni, arrivando a piacere anche a chi, ai tempi di Ladro di Bambini e di Lamerica, non era ancora nato. Di questa nuova giovinezza cinematografica fanno parte la voglia di mettere a nudo con ancora più forza  sentimenti e fragilità

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Il tuo cinema è capace di sopravvivere al passare del tempo e di diventare intergenerazionale, arrivando a piacere anche a chi ai tempi de Il Ladro di Bambini (1992) e di Lamerica (1994) non era ancora nato. Di questa nuova giovinezza cinematografica fanno parte la voglia di mettere a nudo con ancora più forza sentimenti e fragilità, come pure la ricerca di nuovi strumenti di indagine, primo fra tutto quello di ricorrere alle strutture del comico e del surreale per raccontare realtà comunque drammatiche. In questo caso mi riferisco a L’intrepido.

Un film, L’intrepido, che amo in maniera viscerale.

E con il quale nella sua parte finale torni sulle tracce dei tuoi primi lavori, soprattutto de L’America, rivisitando i suoi luoghi in maniera più intima e leggera, ma non per questo meno profonda.

Certo, certo, nuda come è giusto che sia.

Un dimensione, quella di cui stiamo parlando, a cui appartengono di diritto anche La tenerezza e Passatempo, il cortometraggio chiamato ad aprire la settimana della critica. Volevo da te una replica a questa affermazione.

In genere il regista, l’autore come vogliamo chiamarlo, è la persona più sbagliata per fare una relazione critica sul proprio lavoro, perché tende a legarsi ai sentimenti che ha provato nel realizzare la sua opera e, soprattutto, a quelle che sono state le motivazioni che lo hanno portato sul set. Al contrario, sogno un mondo dove i film siano lasciati liberi di essere reinventati dallo spettatore. Adesso non mi dire che sto facendo della cattiva letteratura, mi esprimo forse in un modo un po criptico, però quando tu prima mi dicevi che ci sono delle generazioni più giovani che hanno curiosità per delle cose che ho fatto dieci, quindici, vent’anni fa, ecco, questa è la cosa più bella, il riconoscimento che da più soddisfazione a un regista, poiché la generazione che viene dopo vede lo stesso film in una maniera totalmente diversa da come arrivava a coloro che gli erano contemporanei. Ultimamente, mi è capitato di vedere nelle piazze diverse proiezioni di Lamerica e sono rimasto sorpreso di come il pubblico lo segua con il fiato sospeso e con una partecipazione a dir poco inaudita. Beh, forse tu non c’eri ma nel ’94  quel film è passato nella sala stampa del Festival di Venezia in modo totalmente blando. Nessuno che avesse un’emozione, nessuno che fosse toccato da quello che vi si raccontava. L’indomani ho letto critiche, a parte qualche eccezione e le eccezioni ci sono sempre, che non corrispondevano a tutto quello che vi avevo messo dentro, anche perché secondo me il film usciva fuori dalla storia. Oggi è diverso perché Lamerica è un film che non lascia indifferenti nessuno.

Tra l’altro, qualche anno dopo l’uscita del film sono andato in Albania rimanendovi per qualche mese e li ho conosciuto delle persone che si erano imbarcate sulla prima delle navi arrivata in Italia. Guardando il film si sono messe a piangere dicendomi: “È successo proprio cosi”.

Lamerica ha cambiato la vita di parecchia gente, a cominciare dalla mia, perché è la che ho adottato mio figlio, ed è la che è nata la mia famiglia. Presi almeno trenta, quaranta persone di quel paese a lavorare con me e con molti di loro esistono ancora dei contatti. Sono consapevole che il lavoro che abbiamo fatto li è stato un po’ uno spartiacque dal punto di vista umano. Diciamo che ero sicuro di questo, poi la platea della Mostra di Venezia del ’94, quella composta dai critici, ha reagito diversamente. Da parte del pubblico la risposta è stata invece immediata.

Forse la causa si può trovare nella visionarietà del film. Per taluni è spiazzante.

Ma, guarda, io credo di avere un difetto che non considero tale, ma che lo è dal punto di vista professionale e cioè quello che si verifica ogni volta in cui fai qualcosa in anticipo rispetto ai tempi. Quando hanno visto nel film la nave che solcava l’Adriatico tutti quanti sono rimasti perplessi, poi, invece, le navi sono continuate ad arrivare. Parlavamo prima de L’Intrepido, ecco, quel film è nato in un momento in cui cominciava a serpeggiare la crisi del lavoro e io mi sono inventato un tizio talmente attaccato alla dignità al punto da essere disposto a fare il rimpiazzo: il rimpiazzo tuo, se non avevi voglia di lavorare, o il mio, se mi assentavo per un’ora. Il che è un paradosso per uno come me, che passa per essere un regista della realtà mentre invece sono un’autore di racconti allegorici, cioè di narrazioni che all’apparenza ti sembrano fette di vita e poi in realtà hanno dentro qualche tarlo che ti porta via il sole.

Aggiungo io, che tu hai fatto sempre dei film che sono stati degli spartiacque per il cinema italiano. Penso a Colpire al cuore, a Ladro di bambini e a Lamerica. Parliamo di tre lungometraggi che hanno cambiato la situazione del nostro panorama e soprattutto hanno rilanciato un movimento quando l’attenzione internazionale nei suoi confronti era molto bassa.

Lo possiamo dire adesso (ride, ndr).

Però, lo sapevamo anche allora, perché io mi ricordo con quanto entusiasmo fu accolto a Cannes Il Ladro di Bambini.

A Cannes è stata tutta un’altra storia però Venezia è una mostra bizzarra, forse perché siamo italiani e abbiamo un altro modo di reagire. Mi ricordo che la sera della presentazione di Così ridevano, che poi vinse il Leone d’oro, ci fu addirittura una rissa dentro la sala stampa durante la quale i critici sono arrivati alle mani. Non so, forse è anche bello che succedano queste cose.

Come ai tempi della Nouvelle Vogue.

Si, si. Se le cose si prendessero con un minimo di partecipazione seria…

Oggi sei qui per Passatempoin cui si parla di cose drammatiche con leggerezza poetica e in cui si può constatare in che maniera sei rimasto giovane. Tra le scene che mi hanno colpito c’è quella all’interno del pullman. La soggettiva con cui ne riprendi gli interni e con essi il suo movimento lo fanno assomigliare a una sorta di astronave. Non a caso, quando il personaggio di Carpentieri scende dal mezzo e si ritrova circondato esclusivamente da persone di colore la sensazione è quella che l’uomo abbia messo piede in un mondo alieno.

Tu non sai quanta soddisfazione mi stai dando in questo momento, perché è un’inquadratura che colpisce tutti e mi va di spiegarti come è nata. Il direttore della fotografia, e cioè mio figlio (Luan Amelio UJkaj, ndr), illumina il pullman in quel modo e io gli dico: “Per favore no, mi pare sbagliato. Aggiungi questo questo e ancora questo. Metti più luce” e lui: “No, ti prego, no” e io: ”Fammi la cortesia, metti più luce”. Alla fine arriviamo a un compromesso: mi dice “Io la faccio prima come dici tu, però poi mi dai la possibilità di farla come dico io”. È successo che alla fine abbiamo montato la sua.

In effetti, si tratta di una sequenza straordinaria. In un minuto racchiude un intero mondo.

È la luce che ha fa tutto e anche il buio, con quest’ultimo che penetra la luce e con la figura che si staglia sulla porta. Mio figlio sarà molto contento. Domani arriva a Venezia per vederlo sullo schermo. È una persona schiva, che non vuole mettersi in mostra.

Però è riuscito a rendere nuovo un soggetto che di per sé non lo è.

Molto del merito è suo, come lo sarà anche la luce di Hammamet, il mio prossimo lavoro. Lì, per gli esterni si è giovato di una luce naturale straordinaria e magica come quella che vi si trova in primavera. Negli interni invece è tutta invece opera sua. L’ho cresciuto bene, dai…

In Passatempo ci sono molti passaggi in cui la realtà è trasfigurata per favorire i rimandi interni al racconto. Se il protagonista si diverte a giocare con il suo passatempo preferito, così fai tu con lo spettatore quando lo metti davanti a un cruciverba risolto con una procedura opposta a quella abituale.

Si, è strano! Ha stupito pure me quando l’ho messo in scena, però la sceneggiatura era molto provvisoria e nell’ultima parte l’ho cambiata mentre giravo. Diciamo che è stata un’esperienza didattica non solo perché è stata realizzata all’interno di una scuola. Ogni tanto fingo di fare il maestro, poi in realtà mi siedo sui banchi.

L’ultima domanda mi piacerebbe spenderla per Renato Carpentieri, che in questo momento è un po’ il tuo attore feticcio. Anzi dirò di più, è come Jean Pierre Leaud per Francois Truffaut.

Si si, lo è! ….. Dovrei essere io Truffaut e dovrei campare più di lui. Scherzo perché ho superato comunque la sua età. Comunque, ti dico che  ogni volta che avrò la possibilità di girare Carpentieri ci sarà sempre. Speriamo di farne ancora (ride, ndr).

  • Anno: 2019
  • Durata: 16'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Gianni Amelio