“Il braccio violento della legge (The French Connection)” è un film del 1971 diretto da William Friedkin, e interpretato da Gene Hackman, Roy Scheider e Fernando Rey. La pellicola riscosse gran successo, ottenendo vari premi internazionali, tra cui 5 premi Oscar e tre Golden Globe, mentre divise la critica specializzata dell’epoca, aprendo numerosi dibattiti. Nel 1998 l’American Film Institute l’ha inserito al settantesimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è sceso al novantatreesimo posto. Il soggetto de Il braccio violento della legge trae origine dal libro di Robin Moore, a sua volta ispirato ad un clamoroso sequestro di eroina realmente accaduto nell’ambito di un traffico internazionale che vedeva implicata la malavita americana e marsigliese. Di portata innovativa per linguaggio e contenuti, oggi è considerato un capolavoro dell’arte cinematografica, ben oltre i semplici confini del genere poliziesco. A riprova di tale consacrazione nel 2005 è stato inserito nell’elenco del National Film Registry fra i film in lingua inglese da conservare (a cura del National Film Preservation Board presso la Biblioteca del congresso degli Stati Uniti).
Sinossi
Jimmy Doyle, della squadra narcotici di New York, malvisto dai superiori per i suoi metodi poco ortodossi, è sulla pista di un grosso traffico di droga. Dopo un parziale insuccesso il caso gli viene tolto, ma lui continua le indagini. Quando finalmente è in grado di ottenere un importante risultato, non tutto va per il verso giusto.
Il braccio violento della legge è un film di portata innovativa per linguaggio e contenuti, oggi considerato un capolavoro dell’arte cinematografica, ben oltre i semplici confini del genere poliziesco. La maggior parte della critica specializzata ha rimarcato i pregi dell’autore nel dipingere il realistico e serrato confronto fra due gruppi (poliziotti e criminali) alquanto sfumati ed ambigui nei caratteri, talmente indefiniti da apparire spesso in posizioni eticamente rovesciate (senza tuttavia stravolgerne il senso, giacché la prevalenza della legge sul crimine rimane evidente in tutto l’arco della trama). Questa nuova concezione dello scontro fra “buoni e cattivi”, introdotta dai precedenti Il mucchio selvaggio e Gangster Story, viene reinterpretata con taglio documentaristico senza alcuna carica nostalgica e retorica, giungendo a un finale sospeso, originale ed amaro. Di notevole valore estetico anche la rappresentazione di un paesaggio metropolitano moderno dai toni freddi e desolanti, così lontano dagli stereotipi in uso. William Friedkin utilizza un linguaggio cinematografico inconsueto, capace di integrare frenetici ritmi di montaggio, tipici delle scene d’azione (ad esempio il celebre e lungo inseguimento), con piani alternati per la creazione di atmosfere particolari (come lo scorrere del tempo durante gli appostamenti-pedinamenti, ed il diverso stato d’animo fra gli antagonisti). Supportato da un’eccellente sceneggiatura, montaggio ed interpretazione d’assieme (Gene Hackman su tutti), riesce ad equilibrare costantemente tensione narrativa e definizione dei personaggi, trasmettendo in maniera credibile sia l’esistenza grama di agenti afflitti da dubbi, frustrazioni, rivalità e un flebile senso della giustizia, sia l’elevato tenore di vita di trafficanti senza scrupoli, “educatamente criminali”, in apparenza più rispettati e stimati, ciò nondimeno sempre sull’orlo della cattura. Il braccio violento della legge, oltre ad aver influenzato profondamente il poliziesco, ha contribuito, contemporaneamente ad opere di altri grandi registi come Coppola, Altman, Schlesinger e Pollack, alla nascita di quel Nuovo Cinema Americano degli anni ’70, che raccontava la società coniugando realismo e canoni classici hollywoodiani, spettacolo ed impegno, azione ed introspezione.