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Film da Vedere

Non bussare alla mia porta di Wim Wenders

Uno sguardo sull'America e sul mito. Wim Wenders ritrova se stesso e ci regala emozioni profonde e figure indimenticabili che si stagliano indelebili su scenari mozzafiato di una provincia senza storia e senza futuro. Un film che è anche una formidabile lezione di stile e di misura. Con Sam Shepard, Jessica Lange e Tim Roth

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Non bussare alla mia porta (Don’t Come Knocking), un film del 2005 diretto da Wim Wenders e scritto dallo stesso Wenders insieme a Sam Shepard, che ne è anche il protagonista. I due avevano già lavorato insieme, vent’anni prima, in Paris, Texas. È stato presentato in concorso al 58º Festival di Cannes. Come sempre nei film di Wenders, la fotografia è particolarmente curata. In questo film, girato in Super 35 mm, Wenders e Franz Lustig si sono ispirati enfaticamente ai dipinti di Edward Hopper. Per l’ennesima volta il cantante Bono degli U2 torna a collaborare con Wim Wenders, questa volta firmando insieme a The Edge la title-track Don’t Come Knocking interpretata insieme ad Andrea Corr. Il film ha ottenuto uno European Film Awards 2005 per la miglio fotografia. Con Sam Shepard, Jessica Lange, Tim Roth, Gabriel Mann, Sarah Polley, Eva Marie Saint.

Sinossi
Howard Spence è un attempato attore di film western che un giorno, stanco e disgustato della sua vita e del suo lavoro, fugge a cavallo e ancora in abiti da scena dal set dell’ennesimo film western. L’attore cerca rifugio nel suo passato, tra la casa materna in Nevada e una cittadina nel Montana dove trent’anni prima era stato girato uno dei suoi film di maggior successo, e dove va alla ricerca di una donna con la quale aveva avuto una breve storia. Spence è costantemente braccato da un insolito legale della casa di produzione che vuole a tutti i costi riportarlo sul set del film che ha abbandonato.

Uno sguardo sull’America e sul mito. Wim Wenders ritrova se stesso con l’ottimo Don’t Come Knocking regalandoci emozioni profonde e figurine indimenticabili che si stagliano indelebili su scenari mozzafiato di una provincia senza storia e senza futuro. La macchina da presa mobile e scattante, avvolge i personaggi, li accarezza, li circonda fino a diventare vorticosa, li segue, li pressa da vicino per mettere a nudo inadempienze e inadeguatezze in questa storia di occasioni perdute, di fallimenti non riconosciuti, né ammessi, di vite al massimo che non sono riuscite a compensare il nulla interiore, di molte cadute, di tante carenze ed egoismi (non solo affettivi), di una miopia eccessiva che ha fatto perdere le occasioni, di un tempo implacabile che scorre impietoso sempre più in fretta, inchiodando alle proprie responsabilità oggettive, alle proprie negligenze, una generazione deresponsabilizzata e sterile con un bilancio ampiamente in perdita e che, in qualche modo, vorrebbe adesso, prima che sia davvero troppo tardi, cercare di colmare quei “vuoti” che stanno diventando insopportabili. Una “visione” crudamente poetica che amplifica il senso di vertigine di figli sconosciuti, abbandonati alle proprie solitudini “che non vogliono più continuare a cadere” o che si aggirano disperati e caparbi alla ricerca di se stessi e alla ricomposizione della propria identità portandosi appresso l’unica traccia ormai rimasta (l’urna con le ceneri della madre morta). È tempo di bilanci, fra fughe impossibili e altrettanto improbabili ritorni, per tentare di metabolizzare le propie cocenti sconfitte, in questo affresco tormentato che evidenzia le fragilità, le inadempienze di chi non ha saputo crescere e si ritrova improvvisamente vecchio senza essere stato davvero “uomo” e ha rifiutato per troppo tempo di assumersi responsabilità e doveri (di “umanizzarsi” insomma), ed è ancora infarcito così tanto di egoismo a senso unico che gli rimane comunque difficile, quasi impossibile nonostante gli sforzi, la costruzione di un rapporto qualsiasi, la rimonta, la ricomposizione, insomma, di quei cocci sbriciolati difficilmente riassemblabili perché con troppe parti ormai polverizzate e disperse dal vento in quelle immense praterie senza fine, in quei deserti rossastri e rapinosi che si allungano sull’orizzonte. Ma è tempo anche di “crescere” per quei figli “abbandonati” e sperduti, tanto delusi e rancorosi da rifiutare persino il confronto, che si rifugiano impauriti in una sterile rabbia distruttiva che riuscirà forse in qualche modo a creare una breccia per tentare un inizio di umanizzazione del rapporto, aprendo così le porte per riconquistare per lo meno una parte delle proprie identità incompiute. Un road movie tutt’altro che nostalgico, un drammatico scontro generazionale che sfiora la catarsi, sullo sfondo di ridondanti immagini di struggente bellezza. Tutti a posto gli interpreti, con una menzione speciale per Jessica Lange (strepitosa nella sequenza della “toccata” – con bacio – e “fuga” consapevolmente critica da un passato che non può più essere riattualizzato, ormai troppo lontano per essere anche semplicemente immaginato) come al solito impeccabile e che, una volta di più, dà una formidabile lezione di stile e di misura. E quanta sommessa nostalgia nel ritrovare la grazia suadente e sfiorita, ma ugualmente fascinosa, della grandissima Eva Marie Saint.

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Non bussare alla mia porta

  • Anno: 2010
  • Durata: 122'
  • Distribuzione: CG Entertainment
  • Genere: Commedia
  • Nazionalita: Germania, Francia
  • Regia: Wim Wenders