Intervista a Brunella Filì, regista di Alla Salute
In Alla Salute, la regista Brunella Filì racconta con delicatezza la malattia del food performer Nick Difino e l'importanza di cercare la felicità anche nei momenti di maggiore sofferenza. L'abbiamo intervistata
Nick Difino, nel pieno della sua malattia, ti ha chiesto di fare un film perché “non sapeva che farsene di tanta sofferenza”. Qual è stata la tua reazione e da quale idea sei partita?
Occupandomi di documentari lavoro con storie vere, con la realtà, che poi viene rielaborata cinematograficamente e creativamente. Così è stato quando ho ricevuto la telefonata di Nick (Difino), che mi comunicava di avere un cancro e di voler il mio aiuto per raccontare quel che avrebbe vissuto iniziando la chemioterapia. Dopo un momento per metabolizzare, decisi di non lasciarlo solo e gli proposi di iniziare a registrare tutti i momenti che avrebbe vissuto, non solo quelli della terapia. Gli diedi indicazioni per filmarsi anche solo, con qualsiasi supporto o passando la telecamera a chi era con lui, immaginando un ipotetico futuro montaggio. Nel frattempo lo intervistavo, non pensando a un film, ma soltanto a una conversazione personale fra noi. La cosa inaspettata fu come, in quella mole di materiale, spesso durissimo da guardare, esplodesse allo stesso tempo la voglia di vivere, così forte nonostante tutto, e anche un approccio ironico e leggero, anche grazie ai personaggi incredibili che entrano nelle riprese. Registrare le sue giornate e condividere l’intimità del proprio percorso con una telecamera aiutava Nick a tenersi vivo, facendo da antidoto alla paura, aprendosi agli altri. In quel momento capii che fare quel film, poteva in qualche modo dare coraggio anche a chi viveva la stessa vicenda e – forse – anche a chi malato non era, a noi “sani”. Quindi, nel momento in cui Officinema Doc è partita davvero con la produzione, l’idea di base è stata di realizzare un film non sulla malattia, ma sulla capacità degli esseri umani di opporre la vita, la forza d’animo, l’amore, all’assurdità del dolore. Un film sul diritto a essere felici anche quando si è malati.
I momenti di sofferenza della chemioterapia del protagonista sono intervallati da immagini quasi rilassanti: i fasci di sole tra le chiome degli alberi, i bambini che giocano a pallone, il gruppo di gente mascherata. È la metafora che anche nei momenti più bui, la vita inevitabilmente prosegue?
Quando ho girato quelle scene volevo rappresentare visivamente i primi momenti provati dal protagonista, il suo smarrimento mentre cerca di fare le stesse cose di prima, pur nelle sue nuove ‘vesti da malato’, come le chiama lui stesso. Di quelle scene fanno parte anche le ‘soggettive’ all’interno dell’ospedale. Tutte scene sottolineate da musica e suoni tutt’altro che rassicuranti. In quei momenti, non c’è ancora consapevolezza, ma solo disorientamento: la telecamera vaga, si sforza inesausta per trovare un senso anche dove non c’è, come ci accade spesso nella vita davanti alle cattive circostanze. A noi tocca riadattarci. La vita va avanti anche mentre il mondo ti sta crollando addosso, ma trova sempre il modo di sorprenderti, per esempio regalando momenti di inattesa felicità quando meno te lo aspetti: l’incontro con un infermiere e un dottore speciali; la vicinanza di amici che diventano famiglia, e così via. Il senso del film è proprio questo viaggio emotivo: si passa dalla paura iniziale, alla solitudine, alla chiusura, al coraggio di condividere, alla forza di lottare, alla richiesta di aiuto agli altri, che sono la nostra comunità, i nostri compagni di viaggio. È la vita. Un viaggio in cui mi sono immersa anche io, guardando ore e ore di filmati, dolorosi ma anche pieni di piccoli momenti di felicità, come quelli che siamo soliti dare per scontati, quando tutto va bene.
Durante la malattia, il rapporto col cibo di Nick Difino varia: da food performer si ritrova, ad esempio, a doversi privare di esso il giorno prima e quello successivo alla chemioterapia. Anche gli amici cucinano, mentre parlano del rapporto con l’amico ma anche, più in generale, della vita e della morte. Raccontare la malattia di Nick attraverso il cibo è quindi un invito a prestare più attenzione alla propria salute anche attraverso il cibo?
Il cibo, insieme all’acqua, è l’elemento ricorrente e catartico di Alla Salute. Certamente una sana alimentazione è chiave di prevenzione, ma nel film la guarigione vista attraverso la presenza del cibo è da interpretare solo nella sua funzione narrativa. Raccontando questa storia siamo stati attenti a non creare confusione: il cancro non si cura con il cibo, ma con la chemioterapia. Il cibo qui è una medicina per l’anima o, per citare DonPasta nella scena in cui frigge le melanzane alla parmigiana: “è luogo esistenziale degli affetti”! Qui il cibo diventa filo di racconto e talismano di cura dello spirito, di cui come popolo mediterraneo siamo naturalmente portatori: mangiare è la prima forma di comunità. La storia di Nick – che fa il food performer – scorre accompagnata dalla presenza costante del cibo, nella sua dimensione collettiva. Ho amato subito l’intuizione di sceneggiatura (scritta con Antonella Gaeta e Nick stesso) di usare come pretesto le ricette che Nick desiderava, ma non poteva mangiare, per far entrare nel film gli altri ‘personaggi’ – chef ed artisti come Roy Paci, Donpasta, Paola Maugeri etc, con le loro riflessioni: di cucina in cucina, prende vita un intenso on the road, sulle tracce di una ricetta di felicità possibile, che valga per tutti, non solo per i malati.
La consapevolezza della malattia è una tappa dolorosa ma anche fondamentale per ricercare attimi di felicità. L’oncologo consegna le chiavi della barca a Nick dicendogli che quando avverrà la guarigione, potranno andare a Corfù. Per essere felici anche nella malattia è necessaria non soltanto la buona volontà personale, la vicinanza degli amici, ma anche e soprattutto un supporto più umano da parte dei medici?
Per citare il dottor Guarini (protagonista del film): “Nessuna malattia è importante quanto come la si affronta”. Guarire è l’obiettivo da centrare, ma il percorso verso la guarigione è altrettanto importante: questo è uno dei temi di Alla Salute. Lo è anche l’attenzione alla qualità della vita dei malati e alla preparazione del personale medico e infermieristico nella comunicazione della diagnosi, nell’approccio al lato emotivo e personale del paziente, che è prima di tutto, una persona. Il dott. Attilio Guarini e l’infermiere Nicola Ignomeriello trasmettono energia positiva, speranza, ridando fiducia nelle indispensabili cure della medicina tradizionale. Spero possano diventare esempi di umanità sempre più frequenti. Aggiungo che l’Istituto Giovanni Paolo II di Bari, dove è stato girato il film, e dove Nick è stato curato, ha supportato la realizzazione del film (insieme ad Apulia Film Commission), scommettendo proprio sulla condivisione di un’opera artistica autentica, che potesse ‘ispirare’ anche altre persone, non solo pazienti: credendo nella forza del cinema e vedendo dove è arrivato questo film (sta girando i Festival di tutto il mondo, vincendo premi e menzioni), direi che la loro scommessa è stata vinta.
Il film si chiude con Nick che va in barca. Nel frattempo, è consapevole di essere cambiato molto dentro e fuori. L’acqua del mare in movimento può essere intesa come metafora del fluire dell’esistenza?
L’acqua del mare rappresenta l’altro elemento ricorrente in questo film, come lo era anche nel mio primo lavoro Emergency Exit, che finiva con una serie di tuffi di bambini. Il mare in Alla Saluterappresenta due livelli narrativi e simbolici: il dolore più profondo, la discesa nell’abisso, e, poi, la rinascita. La prima serie di immagini cerca di restituire la sensazione di “apnea” e di oppressione che ho provato guardando i video-diari di Nick; volevo consegnare anche al pubblico quella sensazione, di cui lui stesso mi aveva parlato. Quelle splendide immagini subacquee, così blu, che riempiono lo schermo – insieme ai suoni attutiti che le accompagnano – rimandano a quello. Mi sono ispirata anche all’idea della fluttuazione in un tempo sospeso e senza suoni reali, suggerita da Roy Paci nella sua intervista nel film, creando un sound design molto suggestivo. Certo, quando c’è un’immersione c’è anche una risalita, una rinascita. Come in un utero, si torna a galla insieme a Nick e ai suoi amici: la catarsi finale con i tuffi ed il viaggio verso Corfù rappresentano il ritorno alla vita e, naturalmente, al godimento pieno dell’amato mare.
P.S.: Alla Salute sarà proiettato a Roma, al Cinema Farnese il 19 Giugno ore 20.30. Per richiedere ulteriori proiezioni – il film è ancora senza distribuzione – scrivere a officinema.produzioni@gmail.com