Le relazioni pericolose (1988) innanzitutto, film insignito con tre Oscar (Migliore sceneggiatura non originale, Migliore scenografia, Migliori costumi) e poi, naturalmente, Rischiose abitudini (1991), nomination per il Miglior Film, così come The Queen – La regina (2006), con una strepitosa Helen Mirrer: Stephen Frears è un grande narratore, un regista che utilizza stilemi ‘classici’ per mettere in scena storie emblematiche, potenti, che ogni volta non mancano di penetrare l’occhio e l’anima dello spettatore. Perché il cinema è, innanzitutto e per lo più, messa in scena, uno sguardo rivolto alla vita dopo la sua cessazione, circostanza che permette l’emersione di un “senso” sempre bramato e finalmente trovato (al contrario di quanto avviene nell’evanescenza del quotidiano).
All’interno di tale prospettiva può essere certamente inserito Victoria e Abdul, lungometraggio sontuoso, in cui la ricchezza decorativa non costituisce solo il frutto di un ottimo lavoro scenografico, quanto, piuttosto, parte integrante della narrazione, laddove la bellezza degli ambienti percorsi dai vari personaggi – i palazzi in cui risiedeva il potere dell’Impero Britannico alla fine dell’800 –, lo sfarzo degli arredi e i colori saturi dei drappeggi disseminati lungo gli infiniti corridoi puntellati da innumerevoli, magnifiche finestre esposte sui sublimi giardini delle regali dimore, incarnano esemplarmente quella terzeità che spezza felicemente il rapporto dialettico dei due protagonisti, rimandando a un fuori campo assoluto che non cessa di riverberare su tutto il film.
Ma Victoria e Abdul è anche la meravigliosa rappresentazione di un rovesciamento dei rapporti di potere normalmente operativi all’interno dei consueti ordini simbolici: Vittoria, l’anziana regina (una formidabile Judi Dench), domina la folta schiera di uomini che gravitano a corte, imponendo loro la presenza di Abdul (il giovane Ali Fazal), un suddito indiano capitato per caso nel Regno Unito e che, con grande stupore e letizia, diviene il prediletto della testarda regnante. Insomma, coloro che la Storia ha sempre consegnato alla parte degli esclusi – una donna e un uomo di colore – nel film di Stephen Frears assumono un ruolo di comando che fa cortocircuitare la rigida griglia gerarchica in cui si trovano. Il minore, per una volta, domina il maggiore: è ovvio che tale inversione non possa che essere temporanea, laddove se il minore esercitasse stabilmente il potere diverrebbe anch’esso maggiore: allora, Victoria e Abdul, in questo senso, fornisce la gradevolissima testimonianza di un intenso istante che ha trafitto gioiosamente la scialba successione cronologica degli eventi, prima che la più grande potenza al mondo desse inizio al suo inevitabile declino. All’atteggiamento intenzionale, colonizzatore e colonialista degli Inglesi si oppone, improvvisamente, il desiderio di affrancarsi da un movimento meccanico teso alla miope tesaurizzazione di ricchezze e nuovi territori da annettersi.
Non s’inganni, dunque, lo spettatore: quella che di primo acchito potrebbe apparire un’innocua e folkloristica favoletta (per quanto si tratti di una vicenda realmente accaduta) in verità è una storia attraversata da un’incredibile forza , con cui si invita a riflettere sulle oscure dinamiche che regolano l’esercizio del potere, rimandando all’impenetrabile mistero che è celato in esso. Ancora una volta il cinema riesce a esteriorizzare l’interiore, a trasfigurare, a dire una cosa intendendone, invece, ben altre. E di questo non si può che rendere merito a Stephen Frears.
Distribuito da Universal Pictures, Victoria e Abdul è disponibile in blu ray, in formato 2.40:1 con audio in varie lingue (DTS-HD Master Audio 5.1) e vari sottotitoli opzionabili. Nella sezione extra: “Judi e Alì”; “L’aspetto di Vittoria e Abdul”.