Due generazioni, un’unica storia. Due attrici – Cinzia Scaglione e la giovanissima Beatrice Stella – si fondono nell’anima complessa di Viola, protagonista di Tutti Giù per Terra, il nuovo cortometraggio firmato da Marco Simon Puccioni, presentato in anteprima il 18 ottobre nella sezione Onde corte di Alice nella Città, all’interno della Festa del Cinema di Roma.
In soli 19 minuti, il corto attraversa traumi, silenzi e tentativi di resistenza, alternando piani realistici e visioni oniriche. Al centro, la storia di una donna segnata da due violenze – una subita da bambina, l’altra da adulta – e da un sistema giudiziario che spesso non sa ascoltare né proteggere. Accanto alle protagoniste, un intenso Tommaso Ragno.
Tutti giù per terra
Il progetto nasce da un’idea di Cinzia Scaglione, ispirata al libro Stupro di Alberto Bottacchiari, già portato in scena dall’attrice. La sceneggiatura, scritta a quattro mani con Costanza Bongiorni e successivamente sviluppata con lo stesso Puccioni, ha vinto il bando Nuovo Imaie ed è prodotta da Giampietro Preziosa per Inthelfilm, con il sostegno di MIC e Nuovo Imaie.
Un film che parla con il corpo e con la voce, attraverso sguardi, silenzi, fratture interiori. Ma anche un racconto di coraggio, e della possibilità di trasformare il dolore in consapevolezza.
Ne abbiamo parlato con il regista Marco Simon Puccioni, le interpreti Cinzia Scaglione e Beatrice Stella, in un’intervista che svela la genesi del progetto, le sfide emotive affrontate sul set e il valore di una narrazione intima e urgente.
Cinzia Scaglione: “Il cinema è un’arma potentissima per generare consapevolezza.”
Il cortometraggio nasce dal libro Stupro di Alberto Bottacchiari, che tu stessa hai portato a teatro. Cosa ti ha colpito di quel testo e perché hai sentito il bisogno di trasformarlo in una sceneggiatura?
Sicuramente il desiderio di sensibilizzare contro la violenza di genere. Alberto aveva raccolto diverse testimonianze di donne, tra cui quella di uno stupro di gruppo. Da lì è nato un impulso comune: trasformare quelle parole in un prodotto audiovisivo. Io credo fermamente che il cinema sia uno strumento potentissimo per generare consapevolezza. Ho cominciato così a scrivere la sceneggiatura, ho vinto il bando Nuovo Imaie e ho subito pensato a Marco come regista. Quando ha sposato il progetto, ho capito che avevamo trovato la strada giusta.
Interpreti Viola da adulta, un personaggio complesso e profondamente ferito. Come hai lavorato per rendere credibile quel dolore?
Da attrice cerco sempre di calarmi nelle circostanze. Fortunatamente non ho vissuto un’esperienza simile a quella di Viola, ma ho conosciuto forme diverse di violenza, di umiliazione, di mancanza di rispetto. È a quelle sensazioni che mi sono ancorata. Mi sono lasciata attraversare dalla vergogna, dal dolore interiore. E poi lavorare con Marco è stato fondamentale: la sua sensibilità, la sua delicatezza mi hanno fatto sentire protetta. C’erano scene molto forti, ma la sua presenza mi ha permesso di affrontarle senza sentirmi sola.

Hai parlato della necessità di una rivoluzione culturale. Da dove dovrebbe partire secondo te?
Dalla famiglia e dalla scuola. Servono percorsi di educazione sentimentale e sessuale già tra i banchi. Ho ideato un progetto in tal senso, proprio attraverso il cinema. È una responsabilità civica, per costruire una cultura che non normalizzi né giustifichi l’abuso.
La contrapposizione tra la Viola bambina e la Viola adulta rende evidente quanto certi traumi si radichino nel tempo. Possiamo considerare il cortometraggio anche una denuncia sociale?
Assolutamente sì. Tutti giù per terra non parla solo del trauma, ma di ciò che resta dopo, di una ferita che non si chiude mai. È anche una critica esplicita a un sistema che spesso non accoglie, che non tutela le vittime. E questo, purtroppo, accade ancora troppo spesso.
Che messaggio vorresti che arrivasse al pubblico?
Bisogna fare rete. Io spero che il corto arrivi come un pugno allo stomaco. Tutti giù per terra è molto crudo e senza filtri, ma l’obiettivo era proprio quello: riuscire ad arrivare dritti, a far breccia nel cuore e nella mente degli spettatori. Penso che sia rivolto prevalentemente a un pubblico femminile, ma non solo, perché deve essere una presa di coscienza. Comprendere davvero un fenomeno così complesso – la paura, la vergogna, ma anche la forza e la voglia di riscatto – significa raccontarlo dal punto di vista femminile. Solo così, forse, ci si riesce davvero a immedesimare, anche se comprendere fino in fondo la sofferenza delle vittime non è facile.
C’è ancora molto lavoro da fare, soprattutto sulla prima accoglienza: da parte dei sanitari, delle forze dell’ordine. L’accoglienza è fondamentale per una donna che decide di fare quel passo, che non è mai semplice. Deve sentirsi in una comfort zone. Altrimenti, abbiamo fallito tutti.
Marco Simon Puccioni: “Raccontare per far riflettere e scuotere le coscienze.”
Tutti Giù per Terra segna il tuo ritorno al cortometraggio. Cosa ti ha spinto ad accettare questa storia?
Il tema mi sta a cuore. Ogni giorno sentiamo notizie di violenza, spesso femminicidi, e ci chiediamo cosa possiamo fare. Come regista, credo che raccontare sia un modo per intervenire, per contribuire a creare una coscienza collettiva. Il cinema può smuovere riflessioni, aprire dibattiti, innescare cambiamenti. Quando Cinzia mi ha proposto il soggetto, l’ho sentito immediatamente vicino alla mia sensibilità.
Nel film c’è una scena in cui, mentre Viola è in difficoltà, abbandonata e legata a un albero, uno dei ragazzi del gruppo di bulli esita e decide di tornare indietro. Che significato ha per te quel gesto?
Che c’è un po’ di coraggio in lui perché questo gesto poi vuol dire che quel ragazzo verrà forse escluso dal gruppo però sa che sta facendo qualcosa di sbagliato e a un certo punto torna indietro. Poi il film non vuole essere didascalico quindi lo lasciamo sospeso su cosa succederà a Viola. Però intanto quel gesto è già un segno di coscienza, di consapevolezza nel dire “io non ci sto, io la penso con la mia testa e questo non è giusto”, quindi è un segno per dire che bisogna prendere consapevolezza per non contribuire a generare ancora più violenza.
Hai lavorato con due attrici molto diverse tra loro. Com’è stato dirigere due generazioni di attrici per interpretare un’unica anima spezzata?
Anche se è lo stesso personaggio, è come se ne fossero due diversi. Naturalmente lavorare con chi ha già fatto tanto e ha più esperienza significa sapere che ha tutti gli strumenti: si tratta solo di intendersi su quello che si può fare. Cinzia e Tommaso Ragno avevano tutti gli strumenti per cogliere il personaggio e farlo proprio, quindi devi lavorare solo su alcune direzioni, capire in quale vuoi andare. Non ho dovuto lavorarci molto, perché loro sanno come raccontare una verità. Nel caso di Beatrice, invece, che ha meno esperienza, non è stata la stessa cosa. Beatrice ha però un talento innato che le permette di saper fare le cose con facilità, pur senza aver studiato e senza avere ancora gli strumenti. È una specie di dono e Beatrice è dotata di questo.
Infine, credi che il cinema italiano oggi stia facendo abbastanza per raccontare con onestà la violenza di genere e le sue conseguenze?
Non so se è abbastanza, ma penso che ci siano dei buoni esempi. Credo che il cinema italiano sia vivo e produca parecchie opere interessanti. Si potrebbe sicuramente fare di più, con un’attenzione maggiore e un approfondimento in più. Però una cinematografia viva, comunque, è giusto che faccia tutto e sia differenziata: dal genere horror, al dramma sociale, alla commedia. Io, personalmente, nelle mie scelte sono più orientato verso un tipo di cinema che non vuole essere per forza una predica, ma che sappia intrattenere e raccontare. Perché penso che, se c’è una forma narrativa che emoziona, il messaggio arriva di più.
Cerco quindi di non farlo annoiando, ma intrattenendo – o spaventando – come nel caso di questo corto, che è abbastanza duro da guardare. Ma è quello che vuole essere, perché il tema è questo, ed era giusto raccontarlo così com’era.
Beatrice Stella: “Viola mi ha toccato nel profondo.”
Interpretare un personaggio così ferito come Viola non è semplice, soprattutto alla tua età. Come ti sei preparata?
È stato difficile, ma anche molto stimolante. Marco mi ha guidata con grande rispetto, così come Cinzia, che mi ha spiegato bene il ruolo sin dal provino. Sul set c’erano anche miei coetanei, tutti molto attenti e rispettosi. Quando avevo bisogno di concentrazione, si facevano da parte. È stata un’esperienza intensa, ma mi sono sempre sentita protetta.

Hai detto che Viola ti è rimasta dentro. Cosa hai sentito più vicino a te del suo dolore?
La sua semplicità, il fatto che fosse indebolita dagli altri, derisa, sminuita. La sua vergogna, la sua paura.
Ti piacerebbe continuare a recitare in storie che fanno riflettere e che affrontano tematiche così forti?
Sicuramente queste sono tematiche importanti, mi piacerebbe però fare anche altro perché la maggior parte dei progetti ai quali ho partecipato sono stati tutti drammatici, a parte una commedia, quindi mi piacerebbe spaziare magari in un horror o in un’altra commedia.