Casacalenda diventa ancora una volta un crocevia di cinema, memoria e sguardo contemporaneo. Il MoliseCinema Film Festival, giunto alla sua 23ª edizione, è uno dei più importanti e longevi appuntamenti culturali dell’Italia interna. Coniugando cinema d’autore e partecipazione locale, MoliseCinema continua a interrogare il presente attraverso film, incontri, residenze di scrittura e progetti educativi che coinvolgono tutto il territorio.
Abbiamo intervistato il suo direttore artistico Federico Pommier Vincelli, professionista impegnato nella promozione della cultura storica e cinematografica. Dal 2013 è membro del Consiglio direttivo di AFIC e ha ricoperto ruoli significativi in varie associazioni culturali e istituzioni, tra cui il Senato della Repubblica. Con lui abbiamo parlato di Gaza, di piccoli paesi, della scuola, ma anche di cortometraggi, residenze itineranti e Mediterraneo.
La 23° edizione
Quest’anno aprite con Gaza, omaggiate Sonia Bergamasco, intitolate il teatro a Flavio Bucci e ospitate opere italiane forti. È un’edizione che sembra tenere insieme memoria e ferite aperte. Era questa la direzione voluta o è nata dal dialogo con i film e gli artisti?
Sì, diciamo che sono vere entrambe le cose. Abbiamo voluto aprire il festival con un evento, un messaggio, un piccolo segnale dal Molise sulla drammatica situazione di Gaza, del Medio Oriente e delle guerre in generale che purtroppo stanno tornando all’ordine del giorno.
E lo facciamo però sempre con uno spettacolo, con un grande attore come Lino Musella, che interpreterà appunto questo reading di versi di Mahmoud Darwish, uno dei più importanti poeti arabi. È proprio un segnale di pace che vogliamo mandare dal festival.
E poi sì, il nostro festival è sempre stato caratterizzato anche per l’attenzione ai temi della contemporaneità. Il cinema è anche un modo per rendersi conto di quello che succede nella realtà, non solo per evaderne.
Molti dei film che presentiamo hanno questa caratteristica. Ma il festival è anche e soprattutto orientato alla scoperta e alla valorizzazione della qualità artistica, cinematografica e culturale in generale.
Sicuramente Sonia Bergamasco, a cui dedichiamo il nostro volume annuale di studi e testimonianze, rappresenta bene questa qualità artistica a tutto tondo che ci piace far conoscere e valorizzare: è una grande interprete di cinema, di teatro, è una musicista, è una performer.
E poi c’è anche il tema della memoria, che è sempre stato molto forte: lo sguardo retrospettivo sul nostro cinema ma anche sulla nostra storia. E sicuramente l’intitolazione del cinema di Casacalenda a Flavio Bucci — il nostro luogo simbolico — è un evento particolarmente significativo.
Fare luce sul cinema locale
La sezione “Girare il Molise” e la Rete Adriatica mettono in primo piano autori molisani e indipendenti. Quanto è difficile oggi evitare che questi corti restino confinati nella “nicchia” festivaliera?
Sì, questo è anche un nostro obiettivo: promuovere giovani talenti, registi, autori, produttori che sono nella nostra zona del Molise ma anche, in generale, che operano in aree più decentrate, non nei grandi centri produttivi ma nelle cosiddette aree interne o periferiche.
Proprio per questo abbiamo stabilito — da qualche anno ormai — una rete, un gemellaggio tra festival dell’area adriatica: Marche, Abruzzo, Molise, Puglia. Tutto il medio Adriatico è coperto da questa rete.
È un progetto molto interessante, destinato a favorire i nuovi protagonisti del cinema locale di queste regioni. Ognuno partecipa con un concorso di cortometraggi che culmina con l’assegnazione di un premio finale della rete. È un’iniziativa molto bella di scambio, condivisione e promozione.
Però sì, come dice, il problema resta quello della distribuzione: i corti fanno fatica a trovare spazi diversi dai festival. I festival restano spesso l’unica piattaforma.
Per motivi culturali e di programmazione, si vedono pochissimi corti sulle piattaforme o in TV — per non parlare delle sale cinematografiche, dove è quasi impossibile vederli.
Si parla da anni di abbinarli ai lungometraggi, a volte succede, e quando accade sono sempre molto apprezzati. Ma c’è un po’ di pigrizia, anche da parte di chi gestisce le sale, nel dare loro spazio.
Il cinema come scuola
Torna il MoliseCinema Scuola, con il progetto “Paese Mio”. Secondo lei, cosa può insegnare il cinema che la scuola non riesce più a trasmettere? E cosa può imparare un festival guardando attraverso gli occhi di chi inizia ora?
Questo è un lavoro che facciamo durante tutto l’anno, al di là del festival, ma che trova poi visibilità anche all’interno del festival stesso.
Svolgiamo progetti di alfabetizzazione alla cultura e al linguaggio del cinema nelle scuole dei piccoli centri del Molise.
Quest’anno abbiamo portato avanti il progetto “Paese Mio”, che ha coinvolto oltre 400 ragazzi di tre scuole molisane. I ragazzi hanno partecipato con grande entusiasmo sia alle visioni guidate in sala — con i nostri esperti — sia ai laboratori di audiovisivo e produzione assistita.
È stato molto divertente per loro, ma anche molto formativo. La prima sera del festival presenteremo il risultato di uno di questi laboratori: un piccolo remake di C’è ancora domanidi Paola Cortellesi. I ragazzi hanno rigirato a modo loro alcune scene, ed è venuto molto bene, piacevole e coinvolgente.
La stessa Cortellesi ha apprezzato moltissimo e ha mandato loro un messaggio di affetto e incoraggiamento.
MoliseCinema per creare ponti
“Courts entre 2 rives” nasce come residenza itinerante che attraversa quattro sponde del Mediterraneo – Corsica, Marocco, Tunisia, Italia. Lei crede che proprio nei formati nomadi e transitori risieda oggi una nuova modalità di “fare cultura”? E che ruolo può avere il MoliseCinema Film Festival in questa cartografia più ampia del Mediterraneo?
Assolutamente sì. Io penso proprio questo. Penso che i festival servano anche a questo: a creare ponti, a scoprire scambi, connessioni, possibilità di visioni comuni, sia con altri festival che con artisti che vivono in altre parti del mondo.
Questo progetto riguarda il Mediterraneo, le sue due sponde — quella nord e quella sud, europea e nordafricana — e mette insieme quattro festival: noi (MoliseCinema), un festival corso a Bastia, uno marocchino e uno tunisino.
Ognuno seleziona, tramite bando, dei giovani sceneggiatori e registi che partecipano durante l’anno a una residenza itinerante di scrittura cinematografica.
Ciascun partecipante viaggia negli altri paesi: si ritrovano tutti insieme in ognuno dei festival, e durante il festival — seguiti da un tutor — sviluppano i loro progetti sia individualmente sia in forma comune.
È un modo concreto per far circolare idee, contenuti, persone, e per scoprire nuove opportunità per questi giovani.
(Stanno arrivando proprio ora i ragazzi che iniziano la residenza…)
La progettualità di MoliseCinema
“Piccoli paesi, grande schermo” è il vostro slogan, ma potrebbe essere letto anche come una forma di resistenza culturale. È ancora oggi possibile pensare a un cinema che non dipenda dai centri, dalle piattaforme, dalle dinamiche di mercato?
Sì, sicuramente. È stata fin dall’inizio la nostra scommessa.
Il nostro tentativo è stato proprio questo: portare il cinema e la cultura cinematografica nei piccoli centri, nei piccoli paesi. Cercare di riattivare spazi, cinema, arene per una visione collettiva del cinema sul grande schermo.
Il festival ha ormai 23 anni di storia e ha sempre espresso questa esigenza: affermare che le cosiddette aree interne, i piccoli centri, non sono marginali.
Sono invece luoghi ricchi di energie culturali, sociali, creative, che devono essere valorizzate. Sono una risorsa per il Paese e vanno sostenute molto di più.
Il nostro festival fa parte di questa progettualità, e cerchiamo di portarla avanti da tanto tempo.