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Prime Video Film

‘The Assessment’: genitori sotto osservazione

In un futuro asettico la famiglia è un privilegio da meritare. Un dramma psicologico che seziona intimità e controllo

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Disponibile gratuitamente su Prime Video, The Assessment è un dramma distopico che indaga il confine tra amore, idoneità e controllo sociale. C’è un punto, ben preciso, in cui la tensione scivola via. All’improvviso, non siamo più semplici spettatori, ma complici di quello sguardo, distorto e gelido che tutto osserva, misura, e valuta. E l’amore ci appare come un freddo esperimento da laboratorio.

Fleur Fortuné firma la regia del suo primo lungometraggio che non è solo un film; è una lente sul rapporto tra intimità e controllo di una coppia che vive all’ombra di una società che ha delegato a un algoritmo il diritto di procreare.

Un collasso climatico ha lasciato una parte di umanità nel “vecchio mondo”, dove la vita non vale più nulla, mentre, per entrare a fare parte della “zona nuova” serve dimostrare di essere degno. E cosa c’è di più valutabile della possibilità di diventare genitori?

La casa come esperimento: scenografia di un amore sezionato

Mia, interpretata da un’intensa, emotiva e vulnerabile Elizabeth Olsen e Aaryan, trattenuto e razionale, interpretato da Himesh Patel, si sottopongono ad un test di idoneità per poter ottenere un figlio sotto la supervisione di Virginia, figura enigmatica, a tratti inquietante, interpretata da Alicia Vikander.

Il test diventa nel giro di poco tempo un teatro. La casa si trasforma in una gabbia in cui ogni verità sull’identità dei personaggi non può fare a meno di venire a galla. Il film si muove come un incubo rallentato. L’effetto distopico è tutto nei corpi, nei silenzi, nei movimenti misurati. In ognuno di questi c’è controllo, ma non è mai urlato. Sta nel modo in cui Virginia inclina la testa quando guarda Mia, nelle pause tra una domanda e l’altra, nei panni stirati e nei pasti cronometrati. Fortuné imposta il racconto con la precisione di un test psicologico. Lo spettatore diventa osservatore secondario, incastrato nel gioco, e non può fare a meno di vedere come va a finire.

Alicia Vikander: la spietatezza della fragilità

La grandezza di Vikander in questo film sta nel modo in cui riesce a costruire un personaggio disumano, quasi alieno, e allo stesso tempo spezzato nel profondo. Virginia è l’algoritmo e il trauma. Algoritmo con un cuore che ha smesso di battere perché qualcuno le ha insegnato che amare significa valutare, e che piangere è un fallimento funzionale. La sua maschera si incrina lentamente, e quando succede non c’è liberazione: c’è solo disagio. È una battaglia fatta di sguardi, esitazioni, domande che sembrano uscite da un questionario clinico ma che scavano negli strati più intimi dell’anima. Cosa significa essere adatti? Chi stabilisce cosa sia “un buon genitore”? The Assessment non dà risposte, ma ci lascia la sensazione che la vera violenza sia nell’impossibilità di scegliere da soli chi vogliamo essere.

La musica: eco di un’emotività repressa

La colonna sonora firmata da Emilie Levienaise-Farrouch è parte integrante della struttura drammaturgica. Reprime le emozioni, le frena e le sospende in un tempo artificiale. Ogni suono sembra provenire da un futuro che ha dimenticato cosa sia il calore: sussurri elettronici e rumori ovattati. In una delle scene chiave, uno scambio muto tra Virginia e Mia, la musica si riduce a un tremore, un’oscillazione impercettibile, quasi un battito fantasma. E lì capiamo che non ci sarà un’esplosione liberatoria, perché questo mondo non prevede esplosioni. Solo valutazioni.

Il cuore spezzato della macchina

L’anima del lungometraggio non risiede nel test, né nella casa, né nella coppia. Ma sta in un momento di fragilità devastante che apre gli occhi allo spettatore su un’altra prospettiva: Mia si reca dalla valutatrice per capire il reale motivo del fallimento del test.

Il film, e Virginia, si spogliano dell’impalcatura e delle vesti cliniche e ci mostrano il volto tragico della narrazione. Virginia è “solo” una madre in attesa di un figlio che non arriverà mai. Ha perso la figlia quando aveva solo otto anni. Vive, o forse sopravvive, sola, in una gelida stanza. Eppure, continua a valutare gli altri, nella speranza che le venga concesso un altro figlio. Virginia non è solo una vittima, ma parte dell’ingranaggio della stessa macchina che l’ha svuotata.

Non è solo la vittima di un sistema crudele: è l’ingranaggio della stessa macchina, in cui ripone ancora le sue speranze, che l’ha svuotata. Quella confessione non salva nessuno. Ma rende tutto più insopportabile. Non ci sono più buoni o cattivi: solo esseri umani che si valutano a vicenda nel disperato tentativo di essere scelti. E quando il sistema non ti sceglie mai? Allora resta solo il silenzio. O un gesto finale. Che non libera, ma rivela.

The Assessment può apparire inizialmente come un film asettico, ma in realtà è proprio il tradimento della sua freddezza a stupirci. Ci schieriamo subito dalla parte dei giudicati, e ci svela che, in realtà anche chi giudica è prigioniero del sistema. Siamo condotti a chiederci: cosa siamo disposti a sopprimere di noi stessi per essere ammessi in un futuro che forse non ci vuole? È una promessa, e una domanda, alla quale non vi è risposta. Ma che continua a farci sperare, anche quando ci ha tolto già tutto.

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