C’è una forma di resistenza che non si combatte con le armi, ma con le storie. Una forma di resistenza che attraversa lo schermo, si insinua nelle immagini, vibra nelle voci dei personaggi, nei paesaggi feriti ma vivi, nelle strade polverose di Nablus o Gaza, nei campi profughi della diaspora. È una resistenza fatta di memoria, di bellezza, di cinema. Da questa intuizione – tanto semplice quanto rivoluzionaria – nasce Watermelon+, una nuova piattaforma di streaming interamente dedicata al cinema palestinese, concepita non solo come spazio di fruizione, ma come un vero e proprio archivio culturale dinamico, un luogo in cui preservare, condividere e, soprattutto, autodeterminare la propria narrazione.
La nascita di Watermelon+: perché l’anguria?
Watermelon+ è stata lanciata ufficialmente l’8 maggio 2025 ed è già diventata un caso internazionale. Dietro il progetto c’è una famiglia palestinese-americana con una lunga storia nel mondo dell’intrattenimento indipendente: Badie e Hamza Ali, fratelli e produttori, figli di Malik Ali, fondatore della MPI Media Group, storica società americana di distribuzione cinematografica fondata nel 1976. Insieme a loro, come direttrice creativa, c’è Alana Hadid, sorella delle supermodelle Bella e Gigi, ma soprattutto designer, attivista e donna profondamente impegnata nella promozione culturale della Palestina.
Il nome della piattaforma è, fin da subito, una dichiarazione d’intenti. L’anguria è un simbolo riconosciuto della resistenza palestinese: durante gli anni dell’occupazione, quando era proibito esporre la bandiera della Palestina, l’anguria ne divenne l’alternativa cromatica clandestina. Rosso, verde, bianco e nero: gli stessi colori, ma senza bandiera. Un gesto di sottrazione e di invenzione, divenuto negli anni un emblema della capacità del popolo palestinese di raccontarsi anche nell’assenza, anche nel silenzio.
Watermelon+ si colloca esattamente in questa tradizione: quella della creazione di significato là dove le narrazioni dominanti hanno cercato di cancellare identità, storie, voci. Ma lo fa attraverso un linguaggio preciso, potente, universale: il cinema. Fin dai suoi primi passi, la piattaforma si è definita non come semplice contenitore di titoli, ma come un archivio narrativo curato dai palestinesi per il mondo, un gesto di rivendicazione dell’autorialità e dell’autorappresentazione. Qui, la Palestina non è solo oggetto di sguardi esterni: è soggetto narrante, agente culturale, tessitrice del proprio racconto.
Watermelon+: un catalogo di prestigio
Il catalogo di Watermelon+ è sorprendente per la qualità e la varietà della proposta. Si va da opere già premiate e conosciute a livello internazionale, come The Present di Farah Nabulsi – candidata all’Oscar per il miglior cortometraggio – a documentari di grande impatto come Five Broken Cameras, co-diretto dal regista palestinese Emad Burnat e dal documentarista israeliano Guy Davidi, premiato al Sundance e nominato all’Oscar. C’è anche Omar, il thriller politico diretto da Hany Abu-Assad, che vinse il Premio della Giuria a Cannes nel 2013. E ancora, Theeb, il gioiello arabo ambientato nel deserto giordano durante la Prima guerra mondiale, e From Ground Zero, un documentario di produzione americana co-finanziato da Michael Moore.
Accanto a questi titoli noti, Watermelon+ propone anche una selezione di film meno conosciuti, opere prime, cortometraggi e documentari realizzati da giovani autori palestinesi, sia residenti nei Territori Occupati che nella diaspora, spesso esclusi dai circuiti mainstream o ostacolati dalla censura. È il caso, pee esempio, di The Encampments, un documentario che racconta le proteste pro-Palestina nei campus americani, incluso quello della Columbia University. Il film, pur girato e prodotto in tempi recentissimi, è diventato un simbolo dell’attivismo culturale contemporaneo e ha ottenuto ottimi risultati anche in sala, raccogliendo oltre 80.000 dollari nel primo weekend di proiezione a New York.
Dietro ogni film disponibile su Watermelon+ c’è un’idea forte di cura e di responsabilità. I fondatori del progetto hanno più volte sottolineato come l’obiettivo non sia soltanto distribuire contenuti, ma proteggere e valorizzare le opere, offrendo loro una casa permanente, una visibilità garantita e soprattutto la possibilità di essere viste in un contesto consapevole. Watermelon+ si propone come uno spazio in cui la libertà espressiva non è negoziabile, anzi, è fondamento stesso del progetto.
Watermelon+ come movimento culturale
Non si tratta solo di cinema. Intorno alla piattaforma si sta costruendo un vero e proprio ecosistema culturale, fatto di articoli, interviste, focus sui registi, contenuti editoriali e materiali di approfondimento. Un modo per accompagnare la visione con la riflessione, per nutrire la coscienza dello spettatore, per far sì che ogni film diventi non solo esperienza estetica ma anche atto politico, incontro umano, gesto di solidarietà.
Il prezzo dell’abbonamento è volutamente contenuto: 7,99 dollari al mese, o 79,99 dollari l’anno. Una cifra simbolica, pensata per essere accessibile e inclusiva. Come ha dichiarato Hamza Ali: abbiamo voluto rendere l’accesso al cinema palestinese possibile per chiunque, ovunque, perché crediamo che queste storie debbano essere viste. Non a caso, il motto della piattaforma è semplice e diretto: Palestine will be seen.
Guardando al futuro, Watermelon+ non ha intenzione di fermarsi. I fondatori stanno già lavorando a nuove produzioni originali, co-produzioni internazionali, documentari dal Sud globale e collaborazioni con festival indipendenti. L’ambizione è alta, ma non irrealistica: diventare una sorta di A24 del mondo arabo, una casa creativa capace di produrre e distribuire opere di qualità, autentiche, libere.
In conclusione
In un mondo sempre più polarizzato, in cui la narrazione ufficiale troppo spesso zittisce le voci scomode, Watermelon+ emerge come un’alternativa necessaria. È una piattaforma, sì, ma anche un atto di amore verso la cultura, verso la giustizia, verso la possibilità di raccontarsi da sé. È un invito a guardare, davvero. Non solo con gli occhi, ma con il cuore, con la mente, con la memoria.
Guardare un film palestinese su Watermelon+ è un gesto semplice. Ma, oggi, è anche un gesto rivoluzionario.
