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Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro

Daniele Luchetti e i trent’anni de ‘La scuola’

Al Pesaro Film Festival 2025 un omaggio alla pellicola diretta nel 1995 da Daniele Luchetti, a cui dedichiamo anche una breve filmografia

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La scuola, recensione di un lungometraggio di successo

Trent’anni e non sentirli. Correva infatti l’anno 1995 quando il lungometraggio La scuola di Daniele Luchetti usciva per la prima volta nelle sale. E fu subito successo.

Per la ricorrenza, l’autore verrà omaggiato nel corso della 61esima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.

Il film, tratto da alcuni romanzi di Domenico Starnone, mette in scena le vicende del professore di storia e italiano Vicenzo Vivaldi (Silvio Orlando) e dei suoi colleghi – tra cui la procace professoressa Majello, interpretata da Anna Galiena, e il perfido professor Sperone, incarnato da Fabrizio Bentivoglio – alle prese con l’ultimo giorno di scuola e l’inizio degli scrutini. Sarà questa l’occasione per dare spazio a dissapori, sentimenti celati e “piccinerie” di un corpo docente non sempre all’altezza del proprio ruolo.

Un poco rassicurante spaccato della scuola italiana

Ricorrendo a delle metafore a volte più esplicite (il crollo del soffitto della biblioteca scolastica), a volte più sottili (la fantasmatica presenza dell’alunno-“mosca” Cardini, emblema di una gioventù dinamica, talentuosa, ma sostanzialmente inascoltata), Luchetti propone uno spaccato della scuola italiana non di certo rassicurante. Il regista romano concentra il suo sguardo non già – o quantomeno non soltanto – sul gruppo degli studenti, ma su quello dei loro insegnanti.

Attraverso un tratteggio che nonostante le venature macchiettistiche si mantiene pur sempre credibile e realistico, l’autore ne rivela limiti e frustrazioni: i suoi docenti sono per la maggioranza demotivati, cinici, egoisti. Persino ignoranti, come nel caso del preside che scambia ‘La metamorfosi’ di Kafka per un film (“Mi dispiace, non l’ho visto”) e confonde l’espressione “in toto” con la più pittoresca “in totem”.

A costoro viene contrapposta la figura dell’idealista Vivaldi, il quale, tuttavia, non soltanto non introduce alcun elemento di speranza nel racconto, ma addirittura, dinanzi alla celebrazione dell’alunno-secchione e alla imminente bocciatura di quello più brillante ma problematico, è chiamato a pronunciare la frase che probabilmente racchiude l’intero senso critico della pellicola. Una frase dal sapore definitivo che sembra costituire la dichiarazione di fallimento di una scuola che “funziona solo con chi non ne ha bisogno”.

Da ‘La Scuola’

Un’opera ancora attuale

Insomma, il quadro luchettiano è alquanto desolante. Fatiscente tanto nelle sue strutture fisiche, quanto – soprattutto – in quelle morali. Immerso in una realtà che inizia a fare i conti con il vuoto culturale e le sue derivazioni. Tanto sconsolante quanto ancora attuale, se è vero che molte delle problematiche di allora rimangono ancora oggi vive e pulsanti.

Un quadro giocato, come nella migliore tradizione della commedia all’italiana, su di un registro grottesco e ironico che, come spesso accade nel cinema d’impegno civile di Luchetti (sospeso tra attualità e storia italiana), finisce per assumere un sguardo premonitore. Uno sguardo affidato a un Silvio Orlando in stato di grazia, che attraverso la sua verve dolceamara è in grado di imprimere il giusto ritmo al racconto e di valorizzare i brillanti dialoghi di una sceneggiatura realizzata dallo stesso Luchetti assieme a Sandro Petraglia, Stefano Rulli e Domenico Starnone.

Sarà questa affermazione personale a spingere lo stesso Orlando, due anni più tardi, ad accettare ancora una volta il ruolo di un insegnante nel film Auguri professore (1997) di Riccardo Milani.

I riconoscimenti

Si diceva del successo de La scuola. Un successo decretato non soltanto dall’ottimo riscontro di pubblico, ma anche dall’assegnazione di alcuni prestigiosi riconoscimenti, tra cui, il ‘David di Donatello’ 1995 per il miglior film e il ‘Globo d’Oro’ 1995 per la miglior sceneggiatura.

Inoltre, a riprova della sua forza e credibilità, nel 2014 La scuola verrà riproposto in teatro dallo stesso Luchetti con Silvio Orlando ancora una volta nei panni del protagonista.

Daniele Luchetti: una breve filmografia

La scuola rappresenta il quinto film diretto da Daniele Luchetti. L’autore, infatti, dopo aver frequentato la Scuola di cinema ‘Gaumont’ e svolto un proficuo tirocinio con Nanni Moretti – prima come attore in una piccola parte in Bianca (1983) e poi come aiuto regista ne La messa è finita (1985) -, aveva esordito alla regia già sette anni prima col lungometraggio (prodotto dalla ‘Sacher Film’ dello stesso Moretti) dal titolo Domani accadrà (1988).

Daniele Luchetti

Dal felice esordio con Domani accadrà al profetico Il portaborse

La pellicola, ambientata nella Maremma di metà Ottocento, narra le vicissitudini di Edo (Giovanni Guidelli) e Lupo (Paolo Hendel), due butteri alle prese con le conseguenze di una maldestra rapina e con una serie di incontri che cambieranno le loro vite.

Favola storico-filosofica girata ricorrendo a un tono ironico e leggero, Domani accadrà rappresenta un’opera prima di grande impatto. Il film, infatti, porterà lo stesso Luchetti a ottenere il ‘David di Donatello’ 1988 come miglior regista esordiente.

Due anni più tardi, il regista romano si mantiene su di un registro favolistico per realizzare la sua seconda pellicola dal titolo La settimana della sfinge (1990), dolceamara commedia sentimentale con Margherita Buy e Paolo Hendel.

A questa fa seguito, l’anno dopo, il ben più aspro e disturbante Il portaborse (1991), film interpretato da Nanni Moretti con cui vengono denunciati alcuni “vizi” della classe politica italiana. Coraggioso e profetico (di lì a poco, infatti, scoppierà lo scandalo ‘Mani Pulite’), Il portaborse sarà destinato a sollevare polemiche e dibattiti che animeranno l’intera scena italiana. Da par suo, la pellicola conseguirà un gran numero di riconoscimenti, tra cui i ‘David di Donatello’ 1991 come miglior sceneggiatura e come miglior attore allo stesso Moretti. Il portaborse, altresì, verrà insignito del ‘Ciak d’Oro’ 1992 per il miglior film e otterrà la nomination per la ‘Palma d’Oro’ al Festival di Cannes 1991.

Da Arriva la bufera a I piccoli maestri: dall’attualità alla storia

Nel 1992 è la volta di Arriva la bufera, grottesco lungometraggio che, proseguendo nello sguardo luchettiano sull’attualità italiana, ricorre a un linguaggio metaforico e a tratti surreale per raccontare la storia di Damiano Fortezza (Diego Abatantuono), un giudice milanese che, trasferito al Sud, deve destreggiarsi tra discariche abusive, malaffare e avances sentimentali. Come ne La pelle (1981) di Liliana Cavani, sarà un vulcano a sistemare le cose.

Dopo aver realizzato nel 1995 La scuola, nel 1997 Luchetti volge l’attenzione alla storia del nostro paese realizzando I piccoli maestri, pellicola incentrata sulla Resistenza e tratta dall’omonimo romanzo autobiografico di Luigi Meneghello. Vi si narrano le vicende di alcuni studenti universitari che decidono di opporsi al nazifascismo aderendo alla causa partigiana. Tra questi, Gigi (Stefano Accorsi), Simonetta (Stefania Montorsi) ed Enrico (Giorgio Pasotti).

Il ritorno al cinema con la commedia Dillo con parole mie, seguita da una riflessione sugli anni degli estremismi

Dopo una pausa cinematografica di sei anni, Luchetti torna alla regia nel 2003, alleggerendo i toni con il film Dillo con parole mie, commedia sentimentale interpretata da Stefania Montorsi e Marta Merlino, rispettivamente zia e nipote alle prese con un insolito triangolo amoroso sull’isola di Io, nell’arcipelago delle Cicladi.

A Dillo con parole mie fa seguito, quattro anni più tardi, Mio fratello è figlio unico (2007), film che, traendo spunto dal romanzo ‘Il fasciocomunista’ di Antonio Pennacchi, porta Luchetti a ripercorrere la recente storia italiana e gli estremismi che la percorsero attraverso le vicende (ambientate tra il 1962 e il 1973) di Manrico (Riccardo Scamarcio) e Accio (Elio Germano), due fratelli divisi dai caratteri opposti e dalle opposte ideologie. Commovente, intenso ritratto familiare che si fa emblema dei rapporti tra un’intera generazione, Mio fratello è figlio unico rappresenta a oggi uno dei maggiori successi di Daniele Luchetti. Il film (il cui titolo riprende l’omonima canzone di Rino Gaetano), infatti, non soltanto parteciperà alla sezione ‘Un Certain Regard’ del Festival di Cannes 2007, ma farà incetta di riconoscimenti a livello nazionale, ricevendo, tra gli altri, i ‘David di Donatello’ 2007 al trio Luchetti-Petraglia-Rulli per la miglior sceneggiatura (pure premiata col ‘Nastro d’Argento’ 2008) e a Elio Germano per il miglior attore. L’interprete romano, inoltre, per il suo Accio verrà premiato con il ‘Globo d’Oro’ 2007 e con il ‘Ciak d’Oro’ 2007, e otterrà la nomination come miglior attore all’ ‘European Film Awards’ 2007.

La nostra vita: il suggello della coppia Luchetti-Germano

Il felice connubio Luchetti-Germano non poteva non ripetersi nella pellicola successiva La nostra vita (2010), incentrata sul lutto subito dall’operaio romano Claudio (Elio Germano). Rimasto solo coi propri figli dopo aver perso per parto la moglie Elena (Isabella Ragonese), l’uomo si tuffa a capofitto nel lavoro per cercare di compensare il vuoto interiore con il denaro e gli altri beni materiali. Soltanto dopo un percorso ulteriormente doloroso, capirà che non si tratta della strada giusta.

Drammatico racconto dalle venature “loachiane” (nel senso di Ken Loach), La nostra vita rappresenta per Elio Germano l’occasione di dar vita a una nuova prova monstre che lo consacra a livello europeo. L’interprete, infatti, non soltanto farà incetta di premi in Italia – tra questi, il ‘David di Donatello’ 2011 e il ‘Nastro d’Argento’ 2010 come miglior attore -, ma arriverà a vincere, ex aequo con Javier Bardem, il premio per la miglior interpretazione maschile al Festival di Cannes 2010.

Da Anni felici a Io sono Tempesta, passando per Chiamatemi Francesco

Nel 2013, Luchetti propone un nuovo lungometraggio che, come già nei precedenti Mio fratello è figlio unico e La nostra vita, si inserisce all’interno delle dinamiche familiari. Non più una famiglia proletaria, ma una famiglia borghese: è quella formata dall’artista frustrato Guido (Kim Rossi Stuart), dalla moglie Serena (Micaela Ramazzotti) e dai loro due figli. Sono loro i protagonisti di Anni felici (2013), commedia amarognola dai rimandi autobiografici, ambientata nel 1974 (non a caso, anno del referendum sul divorzio) e giocata tra crisi di coppia e riconciliazioni.

Due anni più tardi, il regista romano realizza Chiamatemi Francesco (2015), film biografico sulla vita di Jorge Mario Bergoglio, da tutti conosciuto come Papa Francesco. A questo segue nel 2018 Io sono Tempesta, commedia che, ricomponendo per la terza volta la coppia Luchetti-Germano e proponendo una riflessione sul potere del denaro, narra le vicende dello spregiudicato imprenditore Numa Tempesta (Marco Giallini), il quale, finito ai servizi sociali in una cooperativa, viene a contatto col mondo dei poveri. Tra questi c’è Bruno (Elio Germano), giovane padre in cerca di riscatto. L’amicizia tra i due aiuterà il ricco Numa ad essere accettato tra i membri della stessa cooperativa, ma alcuni suoi “espedienti” rischieranno di rovinare tutto.

Da ‘Io sono tempesta’

Il senso della vita in Momenti di trascurabile felicità e le dinamiche familiari in Lacci

Nel 2019 l’autore torna alla forma-favola con il poetico e surreale Momenti di trascurabile felicità, film-adattamento dei due romanzi ‘Momenti di trascurabile felicità’ e ‘Momenti di trascurabile infelicità’ di Francesco Piccolo, qui anche nei panni di co-sceneggiatore assieme allo stesso Luchetti. Il racconto, virato su toni leggeri ma intelligenti, vede come protagonista Paolo Federici (un ottimo Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif), giovane ingegnere e padre di famiglia che, anche a causa della propria fatuità, rimane vittima di un incidente stradale. Ritrovatosi in paradiso, l’uomo ha la possibilità di tornare sulla terra per soli 92 minuti, accompagnato da un angelo custode (Renato Carpentieri). In questo breve lasso di tempo, Paolo non soltanto potrà sistemare tutte le sue pendenze, ma avrà modo di scoprire il valore assoluto della vita e di ciò che conta davvero.

Il 2020 è la volta di Lacci, film tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone con cui, approfondendo il discorso intrapreso con Anni felici, viene proposta, attraverso il rapporto nel tempo tra i coniugi Aldo (Luigi Lo Cascio) e Vanda (Alba Rohrwacher), una tanto amara quanto potente riflessione sulla famiglia borghese e sui condizionamenti derivanti dalle sue dinamiche. Dinamiche che, in fondo, restituiscono un quadro di ipocrisia e sostanziale infelicità.

Selezionato come film d’apertura alla Mostra del Cinema di Venezia 2020, Lacci è stato insignito del ‘Globo d’Oro’ 2020 per la miglior regia a Daniele Luchetti.

Da ‘Momenti di trascurabile felicità’

Da Raffa e Codice Carla, omaggi a Raffaella Carrà e Carla Fracci, a Confidenza, ultimo film di Luchetti

Dopo un’incursione nel mondo della televisione, per cui dirige la terza stagione della serie-tv ‘L’amica geniale’ ricevendo il ‘Premio Flaiano’ 2022 per la miglior regia televisiva, lo stesso Luchetti realizza per ‘The Walt Disney Company Italia’ il documentario Raffa (2022), opera che, attraverso una serie di interviste, ripercorre la vita e la carriera dell’indimenticabile, amatissima Raffaella Carrà.

Segue, l’anno successivo, Codice Carla (2023), docufilm-omaggio alla grande étoile Carla Fracci.

Risale invece al 2024 l’ultimo lungometraggio fiction del regista romano dal titolo Confidenza, racconto tratto dall’omonimo libro di Domenico Starnone, con cui si propone la storia di Pietro Vella (Elio Germano), professore in un liceo romano, e della sua ex allieva Teresa Quadraro (Federica Rosellini). Dopo una breve relazione amorosa, le strade dei due sono destinate a separarsi. Ma un segreto che si sono confessati reciprocamente continuerà a tenerli uniti nel corso del tempo.

Da ‘Confidenza’

In attesa di un nuovo film di Daniele Luchetti, Taxi Drivers vi invita a rivedere le opere dell’artista romano. Un artista che risalendo dall’attualità alla storia, ha attraversato le stanze del potere e quelle delle nostre case per proporci lo spaccato di un paese in continua, rapida evoluzione. Un paese in bilico tra dramma e commedia. Esattamente come i registri usati da Luchetti per descrivere l’Italia che è stata, quella che è, e quella che potrebbe essere.