Poche cose si possono rimproverare a uno come Peter Mullan, del quale oltre a Neds abbiamo rivisto in pellicola e con entusiasmo immutato il sublime, devastante Magdalene, film il cui incipit costituisce a nostro avviso una delle più vibranti sequenze del cinema contemporaneo.
Giusto una pecca ci sentiamo di attribuire al tostissimo attore e cineasta scozzese: aver diretto, nel corso degli anni, non moltissime opere. E per quanto ciascun lungometraggio da lui girato sia risultato poi di rara potenza, la possibilità offerta dal 37° Bergamo Film Meeting di recuperare anche la sua produzione breve è stata da noi particolarmente apprezzata.
La cosa notevole, nei cortometraggi del Mullan regista, è il vedervi compressi gli stilemi che ne caratterizzeranno in seguito i film più maturi: veraci ambienti popolari, rabbie represse, personaggi in lotta con se stessi e col mondo, darwinismo urbano dai risvolti crudeli e disperata ricerca di un’umanità residua anche nei contesti più depressi e abbrutiti.
Fridge (1995), in particolare, appare già come un sintetico, crudo manifesto della sua poetica. Homo homini lupus. Girato in un bianco e nero dai toni ruvidi che ne enfatizza ancor di più le atmosfere, il corto esplora gli spenti, squallidi ambienti di una classica periferia del Regno Unito mettendo in scena una prevedibile, ancorché sconsolata, competizione tra gli ultimi della società: alcuni barboni stanno rischiando grosso per le continue bravate di una gang di teppistelli, quando la situazione si ribalta completamente. E il dramma che vede uno di quei piccoli vandali rinchiuso per sbaglio in un vecchio frigorifero abbandonato in cortile, senza che nessuno sul momento riesca ad aprirlo, diventa il pretesto di una lotta contro il tempo, in cui confluiscono claustrofobia, stati di angoscia, indifferenza collettiva e slanci, a dire il vero non molti, di solidarietà. Istintivo senso del cinema, amore per i personaggi e conoscenza dell’animo umano fanno di questo piccolo film una aurorale dimostrazione della grandezza di Peter Mullan.