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The Stranger: l’immigrazione, il razzismo e un iPhone. Intervista a Salvatore Ruocco

Salvatore Ruocco è una bella promessa. La sua storia personale, innanzitutto. Dal mondo della boxe, dentro il buio dei match clandestini, ad una scuola di recitazione e ai primi set cinematografici

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L’immigrazione e il razzismo si possono ancora mostrare per quello che realmente sono. Salvatore Ruocco, attore italiano in ascesa, ha vinto la scommessa di esperimento-racconto. La sua prima regia all’insegna di un iPhone fa riflettere e allontana i più banali stereotipi e i più comuni pregiudizi, restituendoci tutta l’umanità di cui abbiamo bisogno.

Salvatore Ruocco è una bella promessa. La sua storia personale, innanzitutto. Da Scampia e il mondo della boxe, dentro il buio dei match clandestini, ad una scuola di recitazione e ai primi set cinematografici. La sua presenza davanti alla macchina da presa è diventata sempre più necessaria, in primis per se stesso. Un esordio importante in Napoli Napoli Napoli di Abel Ferrara, poi Là-bas – Educazione criminale di Guido Lombardi (migliore Opera Prima alla 68esima edizione del Festival di Venezia), L’Intervallo di Leonardo Di Costanzo (pluripremiata pellicola, presente alla 69esima edizione del Festival di Venezia), il cortometraggio Ciro di Sergio Panariello, Premio Speciale della Giuria ai Nastri d’Argento 2013, fino al ruolo di coprotagonista in Take Five di Guido Lombardi, passando di nuovo per Abel Ferrara (Pasolini, Abel’s Grandfather). Si è anche affacciato alla tv diretto dai Manetti Bros, protagonista insieme a Serena Rossi di una puntata della seguitissima serie Rex. Il cinema pare essere dentro il DNA di Salvatore Ruocco da sempre e non solo nella veste a lui più congeniale, quella di attore. La curiosità e l’attaccamento a Napoli, nelle storie umane che la attraversano ogni giorno, lo ha portato anche ad immedesimarsi con l’occhio che racconta. In cantiere, The Stranger: un breve esperimento di doc sociale curato nell’ideazione e nella regia, pronto ad affrontare anche i Festival.

Cominciamo da ciò che più ti completa e ti rappresenta: cosa vuol dire per te essere un attore?

É un lavoro difficile, lo dico sempre a chi vuole intraprendere questa strada. Bisogna essere forti, tenaci e fare tanti sacrifici. Non arrendersi alla prima porta che ti sbattono in faccia. Non sentirsi mai arrivati, e studiare sempre. Un attore impara e si forma continuamente … Insomma, bisogna avere i piedi ben saldi per terra. Poi viene il bello, quello di vivere tante vite… Così diverse e affascinanti, che ti fanno anche conoscere meglio te stesso.

Sei arrivato nel mondo dell’arte e dell’immaginazione passando da un reale crudo e vivido: il tuo lavoro nel cinema cosa si porta appresso degli anni di Scampia e della boxe, della violenza, di una vita senza uscite di sicurezza?

I più grandi attori, soprattutto quelli americani provengono dal ghetto. Oggi il mio ring è l’arte. Quei graffi che la strada mi ha procurato, mi hanno fatto crescere.

Stare sul ring è un modo di mostrarsi senza filtri ad un pubblico. Questa esperienza ti ha agevolato nei primi approcci al teatro e al cinema?

Quando sei sul palcoscenico di un teatro ci sono tantissimi occhi che ti osservano mentre ti esibisci. Senti quel calore del pubblico che ti sfiora il corpo. Anche recitare davanti alla macchina da presa mi genera la stessa passione e tensione: devi tenere la guardia ben alta, se no rimani fregato.

Abel Ferrara è sicuramente una figura fondamentale per te. Cosa ti ha insegnato, cosa continua a trasmetterti?

Abel Ferrara è un vulcano di idee. Ogni volta che lavoro con lui, divento una spugna che assorbe tutto. Amo il modo in cui gira un film. Ci vediamo spesso, ed è sempre bello dialogare. Ho alcuni progetti che mi porteranno ancora al suo cinema, ma si pensa e parliamo sempre di Abel’s Grandfather in cui mi ha affidato il ruolo del protagonista, suo nonno da giovane. Una grossa responsabilità, ma anche una immensa soddisfazione professionale. Il film è già pronto, vanno soltanto risolti dettagli produttivi e distributivi, speriamo di non attendere molto per la sua uscita.

Veniamo a The Stranger. Quali esigenze ti hanno spinto a realizzarlo, cosa volevi comunicare?

Credo che il razzismo si alimenti della prepotenza di questo mondo, oggi più che mai. Anche se in questo momento storico non lo definirei più razzismo, bensì ignoranza. Siamo nel 2018 e c’è ancora chi guarda al colore della pelle in un essere umano, ti rendi conto?

The Stranger affronta in 10 minuti una questione sociale tra le più drammatiche ed attuali per il nostro Paese: l’immigrazione. L’hai raccontata da una prospettiva intima, di incontro e di confronto, attaccato ad un territorio che ben conosci: Napoli. Come hai scelto il protagonista?

Il protagonista è uno dei tanti superstiti che hanno subito atti di razzismo, di odio. Ho messo l’accento su uno specifico episodio, ma ne potremmo elencare tantissimi. Io sono contro ogni forma di razzismo, di discriminazione. Quando mi raccontano queste storie, vengo immediatamente toccato, non posso far finta di nulla e andare avanti. In qualche modo devo reagire.

L’“artificio” davvero riuscito, che rafforza il tuo punto di vista oggettivo e insieme soggettivo sullo ‘straniero’, è stato l’uso dell’iPhone. Perché hai deciso che quello doveva essere il tuo occhio?

Alcuni critici cinematografici che hanno visto il documentario non credevano che l’avessi girato con un iPhone. Filmare con un iPhone non è affatto semplice, tenuto conto del peso quasi piuma di questa piccola macchina delle meraviglie. Un giorno ero a pranzo da Abel Ferrara e si parlava, tra le altre cose, del fatto che in America è normale imbattersi in film girati con iPhone, premiati addirittura. Così in me si è accesa una luce. Volevo raccontare una storia senza mezzi eccessivi. Per The Stranger, mi sono avvalso soltanto del lavoro della  montatrice Alessandra Carchedi, che è stata davvero molto brava. Sulla carta, avrei potuto mettere in piedi una troupe senza problemi. Ma ho voluto rischiare!!!  Ci sono registi che sprecano un sacco di soldi per fare un film, solo perché sono esigenti. Però alla fine creano prodotti mediocri. Eppure dovrebbero sapere che i migliori capolavori sono stati realizzati con pochi mezzi. Io credo che prima di una grande troupe, bisogna possedere un grande cuore per fare del cinema.

Napoli è centrale in questo racconto. Nel presente, come nel passato. Secondo te, Napoli può definirsi ancora una città dell’accoglienza?

Napoli si è divisa a metà. Alcuni hanno paura dell’uomo nero… Credo che quella parte razzista debba smettere di credere alle favole e capire che il fenomeno dell’immigrazione è inevitabile e ciclico: una necessità dal punto di vista economico, politico e sociale. Stranieri lo sono stati anche i nostri nonni, i nostri parenti, i nostri conoscenti emigrati negli anni ‘30 in America, Australia, Argentina… Indubbiamente la questione è enorme, ma razzismo ed immigrazione non devono stare sullo stesso piano. Mai.

Quale sarà il destino di The Stranger? Rimarrà un lavoro a sé stante oppure farà parte di un progetto di più ampio respiro?

Ho diretto The Stranger per sensibilizzare chi lo guarderà rispetto a un tema atavico: la paura dell’altro, del diverso. É nato per il web, per pubblicarlo su qualche vetrina online importante: L’Huffington Post Italia, La Repubblica… Guardandolo, però, alcuni giornalisti mi hanno fatto riflettere. Quindi attendo. Forse qualche Festival… mah chi lo sa! Di certo non abbandonerò questa mia nuova dimensione creativa: presto mi cimenterò in un’altra regia. Una storia molto toccante.

Nella veste di attore, sarai presente anche a questa edizione del Festival di Venezia. Veleno di Diego Olivares, film di chiusura della Settimana della Critica, ti vede partecipare con un cameo. Cosa altro bolle in pentola al cinema per il tuo futuro prossimo?

Ormai sono abituato ai Festival. Tutti i film a cui ho partecipato sia da protagonista che in ruoli secondari hanno avuto visibilità in appuntamenti importanti: da Venezia a Cannes, a Toronto…

Sì, nel mio futuro prossimo sono già in scaletta progetti molto interessanti con registi ed attori di calibro. Si aspetta solo di partire. Per ora non posso dire di più. Ho anche in sospeso una pellicola a Parigi, che abbiamo iniziato un po’ di tempo fa…