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In Sala

Perché ‘L’Uovo dell’angelo’ è oggi un poema visivo vitale?

La collaborazione tra Mamoru Oshii e Yoshitaka Amano costruisce un universo gotico, organico e morente, in cui ogni micro-movimento diventa la testimonianza fragile di un tempo che non guarisce.

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L’Uovo dell’angelo, film d’animazione nato nel pieno boom degli OAV (Original Video Animation), un’espressione giapponese utilizzata per indicare gli anime pubblicati direttamente per il mercato home video. Si tratta di una pratica che escludeva sia la trasmissione televisiva sia la proiezione cinematografica, poiché il pubblico era disposto ad acquistarli immediatamente nei negozi. Questo salto diretto verso il consumo privato garantiva ai registi un margine molto più ampio di libertà creativa. Nel 2025, in occasione del quarantennale, Lucky Red distribuisce in versione restaurata in 4K il film al cinema, permettendo dunque ad una nuova generazione di spettatori di riscoprire una gemma degli anni ottanta.

Mamoru Oshii ci immerge in una filosofia visiva che non ha bisogno di molte parole, distante dai dialoghi complessi di Ghost in the Shell. Qui ci troviamo in un mondo crepuscolare e decadente, dove una bambina pallida vaga solitaria tra le rovine di una città, mentre custodisce gelosamente un uovo misterioso sotto la sua veste. La sua esistenza è scandita da un rituale ripetuto: raccogliere l’acqua in innumerevoli ampolle di vetro. Finché non arriva un soldato errante, di cui non conosciamo la provenienza, e i due iniziano un viaggio silenzioso attraverso una città ormai fantasma.

La musica come respiro, il silenzio come linguaggio in L’Uovo dell’angelo

L’opera sembra inizialmente guidata quasi esclusivamente dalla colonna sonora di Yoshihiro Kanno, un tessuto sonoro di cori lirici inquietanti e suoni ambientali amplificati. Un suono privo di dialoghi, come abbiamo visto di recente in Flow, il film che vinse l’Oscar nel 2025, come miglior animazione. Ma questa sospensione viene presto spezzata: Shōnen, il coprotagonista, rompe il silenzio, anche se solo per pochi attimi.

Le battute scambiate tra Shōjo e Shōnen sono ridotte all’osso, il silenzio diventa uno strumento musicale, crea tensione, spazio mentale e soprattutto profondità emotiva. Siamo dinanzi ad un’opera che privilegia l’esperienza sensoriale rispetto alla trama, costringendo lo spettatore a diventare parte attiva del mondo animato.
L’assenza di spiegazioni verbali invita a interpretare gesti, sguardi e simboli. Un silenzio che porta con sé la solitudine esistenziale dei personaggi: due archetipi che vagano in un mondo morto, in cui l’umanità sembra aver fallito.

l'uovo dell'angelo recensione

Un’interpretazione, in parte confermata dal regista, vuole il film come allegoria della perdita della fede. Oshii considerò in gioventù il seminario, ma perse la fede cristiana poco prima di realizzare L’Uovo dell’angelo. Come racconta lui stesso:

“Leggo la Bibbia fin dai tempi in cui ero studente. La uso come prototipo per le mie storie; non per ragioni religiose, ma per ideologia e ispirazione letteraria.”

Nel film la ragazza rappresenta l’innocenza, la fede cieca: custodisce l’uovo credendo che dentro ci sia qualcosa di prezioso, pur non avendone prova. Un uccello? Un angelo? Un futuro? Quando l’uovo si rompe, nulla si rivela come lei sperava. Shōnen, l’apparente soldato, al contrario, incarna la ragione scettica, porta un’arma a forma di croce, come se il peso della religione fosse diventato lo strumento di distruzione della fede stessa.

L’acqua, le ampolle e il rito funebre

Shōjo attraversa a piedi scalzi la città grigia e gotica, con l’uovo nascosto sul ventre. Durante il cammino raccoglie l’acqua nelle ampolle: non compie un gesto banale, bensì un vero e proprio rito funebre per il mondo. L’acqua è l’unico elemento capace di mutare, di scorrere, in una città pietrificata. Le ampolle, numerose, oramai parte del suo rifugio, ricordano un laboratorio alchemico, quasi una forma di stregoneria visiva.

Non a caso inizia a piovere e la città viene lentamente sommersa. Nella simbologia, l’acqua rappresenta purificazione, rinascita, ma anche lo scorrere inesorabile del tempo. Le ampolle segnano i giorni trascorsi nell’attesa del miracolo: la schiusura dell’uovo.

L’Uovo dell’angelo e il passato che divora il presente

Il cambiamento appare sempre più lontano, tutto sembra un ricordo, proprio come i cacciatori che inseguono i pesci-ombra. Ombre che si muovono sulle case, su cui gli uomini scagliano le loro armi. Ma ciò che ottengono è solo distruzione. La bambina lo afferma chiaramente:

“Non ci sono pesci.”

Gli uomini danno la caccia al passato, inseguono un dogma religioso che non esiste più. Rappresentano un’umanità che sacrifica il presente per inseguire un fantasma. Rappresentano il contrario della protagonista: lei protegge silenziosamente l’uovo, simbolo del possibile futuro; mentre loro distruggono rumorosamente il presente inseguendo un passato irraggiungibile.

L’uovo stesso crea sotto la veste una protuberanza, una sorta di gravidanza simbolica. Oshii gioca con l’iconografia della Vergine Maria: la ragazza sembra custodire un “salvatore” non ancora nato. Lo tiene al caldo, se lo stringe nel sonno, si spaventa quando crede di averlo perduto. La sua identità non è più quella di bambina: è diventata custode. Sembra proprio che il mondo in cui appartiene le abbia negato la libertà e soprattutto il diritto di essere giovane. Ormai senza l’uovo non ha scopo. La sua è una fede statica e cieca, forse illusoria, ma si tratta pur sempre dell’unico frammento di umanità rimasto in un mondo di pietra e ombra.

L’estetica di un mondo morente e il fallimento commerciale

L’estetica del film nasce dalla fusione tra la regia contemplativa di Mamoru Oshii e il character design di Yoshitaka Amano, celebre illustratore noto anche per il celebre videogioco Final Fantasy. Difatti in alcune scene gli alberi assumono la forma di vene o radici. Amano a tal proposito dichiara di aver disegnato tali soggetti ascoltando la musica, immaginando un mondo che assume le sembianze di organismo vivente in via di estinzione.

L’animazione privilegia i micro-movimenti: il fluire dei capelli, il leggero sollevarsi di una mano, il riflesso dell’acqua. Tutto enfatizza la stasi, il peso del tempo che scorre. La palette cromatica è cupa e decide di abbracciare il  nero, ciano, grigio, blu profondo, in contrasto netto con il bianco spettrale della pelle della protagonista e dell’uovo stesso. Proprio per creare un contrasto netto con l’oscurità circostante, in un mondo che sembra espirare lentamente.

Quando L’Uovo dell’angelo uscì nel 1985  fu un disastro commerciale. La critica non riuscì a comprenderla, poiché non vi percepiva una storia tradizionale. Il risultato? Oshii faticò per anni a trovare nuovi incarichi. Eppure oggi  l’opera viene considerata un capolavoro del cinema lento e del surrealismo animato. Un film distopico e poetico che, in un’epoca satura di spiegazioni e dialoghi veloci, viene finalmente rivalutata come un’esperienza meditativa e profondamente esistenziale.

Dal 4 al 10 dicembre 2025, in versione restaurata in 4K al cinema.

L’Uovo dell’angelo

  • Anno: 1985
  • Durata: 71
  • Distribuzione: Lucky Red
  • Genere: animazione
  • Nazionalita: Giappone
  • Regia: Mamoru Oshii