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Cult

‘La decima vittima’ – sessant’anni dall’inizio della Grande caccia

Una visione a cavallo tra stili ed epoche, il film di fantascienza di Elio Petri che 60 anni fa divise pubblico e critica

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A sessant’anni dall’uscita de La decima vittima, unicum per genere e stile nella filmografia di Elio Petri, è bene tornare a parlare di un’opera ormai poco discussa. Nonostante l’uscita nel 2021 della nuova edizione restaurata in 2K del film, che ha certamente dato nuova linfa vitale a un’opera ormai dimenticata, il fantasy distopico del regista di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) resta tuttora ai margini del dibattito italiano. 

 

Elio Petri, La decima vittima

La decima vittima, Elio Petri

Quasi un cult 

La reinterpretazione del racconto di fantascienza The Seventh Victim (1953), dal quale furono prese in prestito le tinte distopiche anticipatrici di alcune tematiche orwelliane, costituisce un’opera seminale. Dal tema della Grande caccia come valvola di sfogo, antesignano di Battle Royale (2000) di Kinji Fukasaku, a quello della spettacolarizzazione della violenza, prevedendo le questioni della cosiddetta Tv del dolore, il mondo co-scritto da Petri intreccia stimoli visivi e intellettuali. Nonostante ciò, la sua estetica pop naif, che cercando di tendere al futuro si rifà ad un immaginario fantascientifico che da lì a poco sarebbe diventato obsoleto, sommato a una scrittura a tratti ripetitiva, ha reso il film indigesto a molti. Occorre allora, per mostrare le ragioni di questa sua unicità, cercare di andare oltre le più immediate categorie di interpretazione. 

Distopia all’italiana 

Nonostante la lunga e travagliata vicenda produttiva del film, una complessa gestazione che diede vita ad una polifonia di (ri)scrittori, dal più noto Tonino Guerra al meno celebre Ernesto Gastaldi, l’impronta più chiara resta quella di Ennio Flaiano. Come è noto, l’opera di Petri presenta più di una differenza rispetto al racconto di Robert Sheckley, una distanza che rende il film più affine alla commedia all’italiana che al cinema di fantascienza. La scelta di ambientare la storia a Roma, la città del Fellini che è qui citato come per caso, è determinante per comprendere l’unicità del film.

Le dissonanza che possono emergere ne La decima vittima, specialmente se si contestualizza l’opera nella filmografia di Petri, che anche nelle opere più grottesche non raggiunge mai questo aspetto naif pop, sono causa dell’ombra lunga di Fellini per mano del suo storico collaboratore. Non è un caso se Un tranquillo posto di campagna (1968), l’altra opera più marcatamente di ispirazione “francofortese” del regista romano, che vede alla scrittura del soggetto il solo Guerra, si muova in una zona di maggiore astrazione. 

La decima vittima, Elio Petri

Immagini senza immaginazione 

Resta da chiarire, in un film che sembra più affine  a Terrore nello spazio (1965) che a 8 ½ (1963), dove si nasconde l’estro onirico felliniano? In modo laconico, si potrebbe allora rispondere: nel Rimosso! La società che è raccontata nel film, al di là della Grande caccia in sé, sintomo spettacolare e spettacolarizzato di un male più profondo, è popolata da un’umanità sterile nella fantasia. Quel modo di pensare, di riscrivere il pensiero e le sue immagini, che ha reso grande proprio il cinema di Fellini.

Seppure il film si apre con l’enunciazione delle regole del sadico gioco, una doppia visione che parla della spettacolarizzazione attraverso lo spettacolo, l’unico vero comandamento è “non ci deve essere nessun mistero, ma neppure il desiderio della sua rivelazione”. La visione del mondo che rende possibile la Grande caccia è totalizzante, una forma di transumanesimo sociale nel quale la devianza è eradicata: tutto ciò che nel comportamento o nella biologia dell’uomo non è conforme all’utile, riceve lo stesso trattamento. Tutto, laddove non mostra il suo oggettivabile valore, viene automatizzato, che si tratti dell’amore, della riproduzione, del sesso o della vecchiaia. 

Elio Petri, La decima vittima

Quale dolce vita?

Proprio in questi elementi da rimuovere, laddove una forma di positivismo cinico sembra inesorabilmente globale, entra in gioco la “solitudine del satiro”. Osservatore acuto e ironico, Flaiano trova nell’ambiente distopico romano lo sfondo perfetto per delineare, usando le sue stesse parole, il fenomeno definibile come “antropomorfismo americano”. Come Baruch Spinoza criticava l’eccessiva vicinanza dei caratteri del divino agli affetti umani, allo stesso modo lo sceneggiatore romano mette a nudo la religione del suo tempo.

Dove risiede allora il comico, tale da avvicinare il film ad un’opera di Risi? La satira è fatta attraverso il lato anti felliniano della Roma che ospita il Ministero della Raccolta Anziani, in tutti quegli aspetti propri del modus vivendi “tradizionale” italiano. A questo proposito, risulta esemplare la scena nella quale, nascosti in una stanza segreta, vengono scoperti gli anziani genitori del Marcello. Allora la preda, interpellata sul fatto, spiega che non ha consegnato i genitori alle apposite autorità affermando che 

“In Italia siamo per la famiglia patriarcale, qui non li consegna nessuno!”

Elio Petri, La decima vittima

La coscienza infelice 

Il risultato è una comicità tragica che mostra come, nel boom economico o nella distopia post atomica, l’Italia tenda a opporre al mondo una resistenza senza coscienza, un ripiegamento nostalgico su di un passato ormai incancrenito nella abitudini. Un provincialismo clericale, evidenziato nel film dall’opposizione del Vaticano alla pratica della Grande caccia, che deflagra in una battuta del personaggio di Marcello. Quando infatti Caroline (Ursula Andress) chiede stupita alla sua preda come mai, a discapito della diffusa “promiscuità matrimoniale”, lui si sia sposato una sola volta, un Marcello Mastroianni biondo platino risponde 

“Sai cos’è la Sacra Rota?”

 

La decima vittima

  • Anno: 1965
  • Durata: 90'
  • Distribuzione: Interfilm
  • Genere: fantascienza
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Elio Petri
  • Data di uscita: 01-December-1965