Nel blu dipinti di rosso è l’ultima fatica cinematografica del regista Stefano Di Polito, presentata in anteprima alla 43ª edizione del Torino Film Festival. Il documentario, insieme nostalgico e sorprendentemente attuale, compie un viaggio a ritroso di oltre settant’anni, riportandoci alle origini di un movimento musicale oggi troppo poco ricordato: quello dei Cantacronache.
Un progetto controcorrente
Nati nel 1958 e attivi fino al 1963, i Cantacronache furono un collettivo di parolieri, musicisti e intellettuali che decisero di opporsi alla tradizione sanremese dell’epoca. L’obiettivo era chiaro e rivoluzionario: scrivere canzoni che raccontassero la verità, senza abbellire la realtà e senza nascondere le crepe sociali del Paese dietro melodie rassicuranti. Il loro archivio – ricchissimo di registrazioni, testi, appunti e testimonianze – è riuscito a sopravvivere fino a oggi, diventando il motore del lavoro di Di Polito.
Il documentario ci insegna che la loro musica non nasceva per intrattenere, ma per far riflettere. Era una forma di resistenza culturale, un modo elegante e pungente per portare alla luce questioni scomode attraverso l’ironia e la lucidità politica.
Gli ultimi testimoni
Tra i principali protagonisti di quel mondo rimangono Fausto Amodei ed Emilio Jona, gli ultimi custodi di un’epoca e di un modo di fare musica unico. È proprio grazie ai loro racconti che il regista decide di coinvolgere Magda Film nella produzione, comprendendo l’urgenza di riportare alla luce questa storia.
Alla presentazione ufficiale al TFF, Jona – unico superstite presente in sala – ha condiviso aneddoti vivaci e ironici sulla sua vita e sul collettivo. Amodei, scomparso nel settembre precedente, ha comunque lasciato nel film una preziosissima testimonianza finale.
Un’eredità sorprendentemente attuale
Guardando il documentario, diventa evidente quanto il progetto dei Cantacronache sia oggi più attuale che mai. La loro ironia sottile, la loro capacità di denunciare con eleganza e precisione, sembrano parlare direttamente alla nostra società contemporanea, spesso edulcorata e poco avvezza – soprattutto tra i più giovani – a un’esposizione politica chiara e consapevole.
I Cantacronache non volevano solo scrivere canzoni: volevano far penetrare idee, ispirare pensiero critico, portare una riflessione socialmente necessaria.
Radici del cantautorato italiano
Il film mette in luce anche l’influenza profonda che i Cantacronache hanno avuto sulla generazione successiva di cantautori. È impossibile non cogliere l’eco delle loro scelte narrative nelle opere di autori come Fabrizio De André, che proprio da loro trasse ispirazione per sviluppare un linguaggio musicale più consapevole e impegnato.
Non meno affascinante è la presenza, nell’universo dei Cantacronache, di penne illustri come Italo Calvino, che collaborò con il collettivo donando testi e idee. Di Polito, nell’allacciare il passato al presente, chiama in causa anche un artista contemporaneo come Willy Peyote, erede ideale di quella tradizione di canzone-denuncia.
Un viaggio dolce, necessario, prezioso
Con un ritmo lieve ma coinvolgente, Nel blu dipinti di rosso condensa un’ora e poco più di storia della musica italiana in un racconto che scorre con delicatezza e appassiona. Non si attende la fine per stanchezza, ma per curiosità: per scoprire sempre di più su un gruppo che ha inciso profondamente nella nostra cultura e che merita di essere ricordato, studiato, celebrato.
Il documentario di Di Polito è molto più di un omaggio. È una riappropriazione collettiva di un capitolo essenziale della nostra memoria artistica. Un capitolo di cui possiamo andare fieri, e che oggi – forse più di ieri – ci ricorda quanto la musica possa ancora essere uno strumento per comprendere il mondo.