Cisgiordania, villaggio di Betania. La strada verso casa è interrotta da un check-point militare gestito da soldati israeliani. Passare dall’altra parte è operazione lunga e complessa, in quanto sono necessarie tutta una serie di motivazioni e giustificazioni che risultino attendibili. Anche solo per tornare alla propria abitazione, che da quel check-point dista appena qualche metro.
Yousef, padre di Yasmine, ne è consapevole, ma quel giorno è speciale: è il suo anniversario di matrimonio e vuole comprare un presente alla moglie. Per farlo deve recarsi fuori città, e quindi varcare uno dei tanti check-point sparsi nella regione, ed operativi dal lontano 1967. Lo fa tutti i giorni, per andare al lavoro: si è quasi abituato alla fila di macchine in attesa di ricevere il permesso per passare, a doversi spogliare per mostrare di non avere armi con sé. Si è abituato persino a rimanere rinchiuso in una gabbia sotto il sole in attesa di quella consueta decisione: se si può passare o meno.
Farah Nabulsi, regista di origine palestinese, in un cortometraggio di appena ventiquattro minuti, The Present, sceglie di mostrare l’umiliazione e il terrore quotidiani che vivono i palestinesi, quando tentano semplicemente di muoversi nella loro terra. Perché all’orrore ci si abitua, specie quando viene nascosto, o ancora peggio falsato nella sua effettività.
Il film, prodotto da Philistine Films, è risultato vincitore del premio BAFTA 2021 ed è stato candidato all’Oscar nella categoria miglior cortometraggio. Nabulsi è da poco tornata operativa con il film The Teacher, presentato nella sezione Fuori Concorso al Torino Film Festival di quest’anno. Il protagonista è l’attore Saleh Bakri, che interpreta Yousef in The Present.
Lo sguardo sul dolore
The Present è un film che mostra il dolore e le difficoltà vissute dal popolo palestinese nelle zone soggette a occupazione militare, e ci riflette sopra da una specifica prospettiva. Quella dello sguardo di una bambina, Yasmine (Maryam Kanj), figlia del protagonista. I suoi occhi, le sue espressioni facciali di sgomento e paura per ciò che succede intorno a lei, dirigono la cinepresa che non si limita a mostrare gli effetti della violenza, ma si concentra soprattutto sulla portata emotiva e traumatica di essa.
La crudeltà rimane impressa sul viso di Yasmine, e incastrata nella sua anima e nel suo cuore. La bambina non capisce perché il papà venga umiliato dai soldati israeliani, perché sia obbligato a spogliarsi o perché – ancora, come se questo non sufficiente – sia costretto a rimanere chiuso in una gabbia in attesa. Non può comprendere una storia lunga almeno cinquant’anni, che si ripete, seppur di fronte al negazionismo e all’indifferenza più generale.
Eppure sente. Yasmine ha paura, vorrebbe scappare da quel posto, nel quale qualunque movimento le è vietato, qualunque azione viene confusa con insubordinazione, e perciò punita. Ma sceglie di restare, perché al suo fianco c’è il padre – brillantemente interpretato da Saleh Bakri – che per quanto disperato, malconcio, e comprensibilmente avvilito, riesce a donare amore e vicinanza alla figlia. L’amore che Yousef dona a Yasmine, esplicitato dalla volontà di farle vivere una giornata spensierata di compere fuori città, non è altro che una silenziosa forma di opposizione. Sineddoche di una più grande forma di opposizione, e cioè Resistenza, che è quella attuale del popolo palestinese.
La follia nelle piccole cose
Nabulsi in The Present ha scelto di concentrarsi sui dettagli, che esprimono l’accensione e la propagazione della follia della violenza. Essi agiscono da scintille, che sprigionano aggressività. Ogni dettaglio, anche il più piccolo, significa sfiancante impedimento, in quello che è l’obiettivo di Yousef nella giornata del suo anniversario: comprare un nuovo frigo alla moglie Noor (Mariam Basha). Si parta dall’iniziale, interminabile attesa, per poter andare oltre il primo check-point. La piccola Yasmine, complice anche la paura per quanto vede e teme, non riesce a trattenere l’urina, finendo per bagnarsi. Nessuno si accorge di nulla, e la tensione comincia a divenire palpabile.
Varcato il primo check-point, la tensione si comprime, per dare forma a uno dei pochi momenti di distensione della narrazione. Pare che il peggio sia passato, e vediamo finalmente Yasmine sorridere al supermercato intenta a comprare tutti i dolciumi che desidera, con una corona da principessa in testa che le ha fatto indossare il papà. Solo in quel momento Yasmine è una bambina, e la regia sembra voler quasi allungare questa scena, per potersi concentrare sul sorriso della piccola, goderne, e in qualche modo proteggerlo. Ciò non è possibile, perché la realtà incombe presto e nuovamente, come una nuvola nera sulla testa dei protagonisti.
Un altro dettaglio, uno dei più atroci: la macchina che trasporta il frigo nuovo e sulla quale ci sono anche Yousef e Yasmine non può passare per la strada verso casa. Vi è un ennesimo blocco posto dall’esercito israeliano: si può procedere solo a piedi. Il ritmo della narrazione si fa di nuovo pesante, cupo, frustrante. La cinepresa si concentra ancora sugli sguardi dei protagonisti, tesi dal dolore, dalla paura; esasperati e affaticati da una volontà arbitraria esterna che limita la loro azione e il loro movimento, in ogni circostanza. In questa scena sembra gravare su di loro tutto il peso di un popolo – quello palestinese – martoriato. Un fardello che si rende evidente, in forma metaforica, dalla schiena di Yousef, dolorante e piegata: è la rappresentazione fisica di decenni e più di segregazioni e violenze, di cui la distruzione di Gaza è “solo” l’ultima delle evidenze.
Il trionfo dell’amore
La tensione in The Present raggiunge il suo culmine sul finale quando Yousef e Yasmine, ormai giunta la sera, sono di ritorno verso casa. Devono però oltrepassare l’ultimo check-point. Ad emergere è un terribile dettaglio: il frigo è troppo grande, non passa attraverso i cancelli. L’esasperazione a questo punto è totale. Yousef perde il controllo e, al termine di una narrazione che lo spettatore ha percepito, nel suo dolore e nel suo tormento, almeno il triplo rispetto ai ventiquattro minuti ufficiali, inveisce contro i militari israeliani, rivendicando il suo diritto a passare.
La sua casa è lì, a soli pochi metri da quel check-point che i protagonisti hanno attraversato il mattino: una giornata intera spesa per comprare un frigo a pochi chilometri dalla propria città. Eppure non possono passare, l’ordine è chiaro: bisogna tornare indietro. Nonostante sia buio, e Yasmine sia esausta. La tensione cresce, le voci si alzano, i fucili anche, e lo spettatore è pronto al peggio: gli spari contro Yousef possono arrivare da un momento all’altro.
In questo gran vociare, Yasmine non si vede più. Nel momento in cui il padre, terrorizzato, se ne accorge, la cinepresa comincia a cercarla. Ma non è lontano. É semplicemente sulla strada verso casa, mentre spinge il pesante carrello su cui è posizionato il frigo, e guarda di fronte a sé. Senza paura, con accanto il suo papà, che gli si avvicina naturalmente.
Una scena commovente e profondamente umana, che ha un solo significato: libertà dall’oppressione, nell’amore.

The Present, Nabulsi