Si intitola Cumpartia è richiama la condivisione il documentario, all’interno del concorso italiano del Festival dei Popoli 2025, di Daniele Gaglianone. Una riflessione sul rapporto con le proprie radici, sul rapporto fra generazioni, sul cosa significa essere figli e su come si vedono i padri e le madri, tra malinconie del passato e l’energia necessaria ad affrontare il presente.
Nella cornice del festival abbiamo fatto alcune domande al regista di Cumpartia Daniele Gaglianone.
Cumpartia di Daniele Gaglianone
Come sei entrato in contatto con Ivan e com’è nato Cumpartia?
Il film mi è letteralmente nato davanti agli occhi, nel senso che non era proprio previsto. Io stavo conducendo, per la terza volta consecutiva, un laboratorio con giovani filmmaker a Carbonia, in Sardegna. Si tratta di un laboratorio in cui di solito si lavora individuando un soggetto. Poi io mi dedico ai ragazzi e li aiuto a fare un lavoro di reazione, di scrittura e di realizzazione di un documentario di mezz’ora circa.
Quando ho conosciuto Ivan sono rimasto molto colpito proprio da lui come persona e dal rapporto che aveva con la terra. Lui era appena tornato dalla Francia per fare il vino con i genitori e durante il primo giorno di riprese che, come capita, di solito sono io a condurlo, ho fermato tutto dopo la seconda inquadratura e ho capito che quello sarebbe stato il mio prossimo film, non quello del laboratorio. Ho detto ai presenti che sarebbero diventati la mia troupe e così è nato. Praticamente è successo che a un certo punto mi sono cinematograficamente innamorato di questa situazione. A me sembra un film molto malinconico, però allo stesso tempo anche molto vitale e gioioso ed è pervaso da una voglia di fare, di vivere che è anche il risultato di questo approccio, di questo innamoramento che ho avuto.
E così come nasce l’idea nasce anche il film, nel senso che inizia proprio nel bel mezzo dell’azione. Non c’è un prologo o un’introduzione, ma entriamo subito nel vivo della storia.
La storia è quella di un ritorno a casa, di una persona di 30 anni che dopo essere stata per tanto tempo via da casa ha deciso di ritornare e si ritrova in una specie di limbo. Forse è tornato con il corpo, ma probabilmente non è ancora tornato con tutto il resto e quindi è un film che parla di cose primarie, essenziali, di cosa sono le radici, cosa vuol dire la tua terra, cos’è una casa, cosa vuol dire andare via di casa, ma anche tornare, cosa vuol dire essere un figlio, ma anche essere dei genitori.
I luoghi
Visto che hai fatto riferimento al corpo, nonostante sia molto presente il luogo e il paesaggio in Cumpartia, in realtà c’è anche una grande attenzione al corpo. Spesso ci sono inquadrature da lontano dove il corpo appare in fondo, anzi quasi sparisce, privilegiando ciò che lo circonda, quasi a sottolineare la presenza di quella solitudine che aveva temporaneamente abbandonato andando via, ma che ritrova non appena torna a casa.
Sì, è vero. È un film semplice e denso, che si interroga. A me, nello specifico, ha guidato un’affermazione di Garcia Marquez, di cui mi sono ricordato, rispetto ai viaggi in aereo. Lui diceva: io detesto viaggiare in aereo perché con il viaggio in aereo si sposta solo il corpo, tutto il resto ci mette una settimana ad arrivare. Ecco, secondo me la condizione di chi ritorna dopo tanto tempo è un po’ questa. Forse in quel caso non si tratta di una settimana, si tratta anche di più tempo e mi sono detto che dovevo cercare di raccontare questo suo ritorno ovviamente costruendo una struttura del racconto in cui lui è tornato ma è come se fosse ancora un po’ una specie di fantasma, una presenza e non, dove i suoi genitori ci sono e non ci sono. E solo alla fine li facciamo incontrare.

A proposito di questo incontro, volevo chiederti del lungo dialogo che ha a tavola con i genitori. In qualche modo anche la tavola la possiamo identificare come un luogo che di norma è sinonimo di compagnia. C’è quindi una contrapposizione tra la malinconia alla quale accennavi all’inizio (e alla solitudine) e una nota di speranza perché nonostante tutto, quando torna a casa trova compagnia.
Esatto. Secondo me Cumpartia è un film anche di grande vitalità, un film su una prossima generazione, un film sul futuro, sulla necessità di dover credere al futuro. Ma è anche un film su qualcuno che pensa al futuro e che deve fare i conti con il passato.
Daniele Gaglianone: cosa significa cumpartia
Importante è anche la scena che svela il significato di cumpartia: condividere (con tuo fratello). Nonostante questo non si vedono tante persone nel film. Sembra quasi essere un film dove le persone sono secondarie, a discapito del paesaggio.
Il disvelamento di cumpartia è venuto abbastanza spontaneo perché Cumpartia è uno dei vini della loro piccola azienda. Quando lui poi ci ha spiegato il perché ha dato il nome a questo vino ho pensato subito che fosse un titolo perfetto perché rimanda sia alla solitudine che alla condivisione, alla necessità di condividere le cose della vita con le persone importanti, che siano i figli, i fratelli, i compagni, i genitori.
E infatti è molto commovente anche la scena in cui lui è da solo e riflette e poi, in contrapposizione, alla fine riesce a rialzarsi proprio perché c’è qualcuno con lui.
Credo che in questo senso Cumpartia sia una piccola grande sorpresa nel senso che sorprende e coglie un po’ anche in contropiede perché è un film veramente minimalista che, però, ti attraversa e ti fa fare i conti con dei temi enormi come le radici, l’essere un figlio, l’essere un padre. Al di là di questo credo che sia un film che parla di qualcosa di universale, ma anche un film dove il rapporto con la terra e con l’essere sempre costretti a vivere una situazione precaria diventa fondamentale. Credo che la Sardegna sia uno dei luoghi dove questo attaccamento alla terra da parte di una popolazione che comunque spesso è stata ed è ancora costretta ad andare via per sopravvivere è proprio dentro di loro.
Tante tematiche
Questo potrebbe quasi essere il riassunto del film che sembra voler raccontare una cosa, ma che, nonostante i pochi personaggi e le poche parole, nasconde molto più di quello che si può pensare.
La cosa incredibile, secondo me, è che è un film molto denso, ma girato letteralmente in tre stanze e in tre location: due fuori casa e una in un parcheggio.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli
Per l’intervista e le foto si ringrazia Davide Ficarola, Valentina Messina e Antonio Pirozzi, ufficio stampa del Festival dei Popoli