Ci sono film che non gridano, ma scavano. Altri cannibali, esordio di Francesco Sossai, (disponibile su MUBI), è uno di questi. Film del 2021, viene vista come un’opera muta e nervosa, capace di insinuarsi sotto pelle con la stessa lentezza con cui la nebbia scende dalle Dolomiti. È un film che non cerca lo scandalo, ma la verità nascosta nel gesto più banale.
Siamo in una valle industriale, un luogo dove la montagna e l’acciaio convivono senza mai toccarsi davvero. Qui vive Fausto, operaio di mezza età, intrappolato nella routine del lavoro e in una famiglia distante. Un giorno, su internet, incontra Ivan, un giovane dottorando in filosofia. I due si danno appuntamento, e quello che inizia come un incontro tra sconosciuti si trasforma in un legame oscuro, in un esperimento ai margini della realtà.
Sossai costruisce il film come un lento rituale. Il bianco e nero scolpisce i volti, le fabbriche sembrano dormire come bestie addomesticate, e ogni pausa tra una frase e l’altra pesa più di qualsiasi azione. È un cinema dell’attesa, del non detto, dove la violenza non esplode ma fermenta.
Il titolo, Altri cannibali, non allude tanto alla carne quanto allo spirito. Non c’è nulla di gore o esplicitamente orrorifico, ma tutto parla di consumo: delle vite, del lavoro, della dignità. In questa valle sospesa tra natura e industria, gli uomini divorano il proprio tempo, le proprie illusioni, fino a diventare carne vuota. È un film che parla di cannibalismo sociale, della fame di senso che accompagna chi non trova più un posto nel mondo.
Una fame di vita anche nel silenzio
Fausto e Ivan rappresentano due polarità dello stesso vuoto: l’operaio e l’intellettuale, il corpo e la mente, entrambi mossi da una stessa noia, una stessa rabbia silenziosa. Il loro incontro è una collisione filosofica prima ancora che fisica, un modo per capire se l’abisso può essere condiviso.
L’opera ha qualcosa di ascetico, persino documentaristico: gli attori non professionisti, le luci naturali, la lentezza delle inquadrature restituiscono un senso di realtà sporca, quasi tattile.
Il realismo della solitudine
Nonostante la sua apparente freddezza, Altri cannibali non è un film senza cuore. È un film che ti chiede di guardare dentro la stanchezza, dentro la fame, dentro il desiderio che spaventa. E ti lascia con una domanda che non ha risposta. Cosa siamo disposti a fare pur di sentirci vivi, almeno una volta?
Nel panorama del cinema italiano contemporaneo, dominato da commedie o drammi sociali prevedibili, Altri cannibali è un corpo estraneo. È un film piccolo, ma coraggioso. Un atto di fede nella lentezza e nel silenzio. Unesordio che non si dimentica, perché ti costringe a guardare ciò che normalmente eviti: la banalità del male quotidiano, la fame che ci abita tutti.
Alla fine, dei “cannibali” non restano che due uomini, una valle e un silenzio. Ed è in quel silenzio che il film trova la sua verità più disturbante: siamo tutti, in fondo, un po’ affamati degli altri.