‘Kyiv Cake’: un dolce molto amaro

Kyiv Cake è un cortometraggio d’animazione presentato in anteprima italiana il 13 Novembre alla quindicesima edizione del Frontdoc – Festival Internazionale del Cinema di Frontiera di Aosta. FrontDoc si dedica da sempre al genere “cinema del reale”, promuovendo questo tipo di cinema fin dalla prima edizione.

Il corto è diretto da Mykyta Lyskov, regista e animatore ucraino, con diversi lavori e partecipazioni a festival internazionali come l’Annecy International Animated Film Festival, il Molodist Kyiv International Film Festival e il Clermont-Ferrand International Short Film Festival.

Lyskov, noto per il cortometraggio Deep Love (2019), realizza con Kyiv Cake un’opera contemporanea dal linguaggio visivo particolarissimo, capace di parlare della realtà ucraina con originalità e forza espressiva.

Kyiv Cake

Kyiv Cake segue la storia di una famiglia, raccontando le sue vicissitudini prima e dopo l’inizio della guerra russo-ucraina.
In un contesto sempre più difficile, segnato dalla povertà e dalla mancanza delle risorse, il figlio cresce e si confronta con la precarietà, la rabbia e la violenza quotidiana. La situazione si aggrava ulteriormente quando la guerra irrompe nelle loro vite, portando i protagonisti a dover fare i conti con il conflitto, tra il desiderio di fuggire dalla devastazione e la necessità di difendere la propria patria.

Stile d’animazione

Lo stile visivo di Kyiv Cake è completamente surreale, con un tono e uno stile comico spesso urticante. Oggetti quotidiani, come i contatori del gas e della luce, prendono vita, trasformandosi in demoni dalle lingue biforcute che reclamano il denaro della famiglia.

Le animazioni sono volutamente eccentriche, con anatomie deformate e caotiche, mescolando forma e contenuto in modo da popolare lo schermo con personaggi grotteschi coinvolti in situazioni paradossali.

Mykyta Lyskov fonde diversi stili comici, dallo humor più abrasivo e pesante allo slapstick, costruendo un racconto che alterna momenti di leggerezza a un sottotetto più profondo e amaro, offrendo riflessioni sull’assurdità di certi contesti quotidiani.