Il documentario Action Item è in concorso al Festival dei Popoli, in programma dall’1 al 9 novembre 2025.
Fa parte della sezione Concorso Internazionale Discoveries, una parte dedicata a corti e mediometraggi realizzati da giovani filmmaker, con particolare attenzione alla sperimentazione e all’originalità delle forme.
Si tratta del secondo lungometraggio della regista Paula Ďurinová e ha debuttato contemporaneamente al Karlovy Vary International Film Festival, il più grande festival cinematografico della Repubblica Ceca, e al FIDMarseille. Il film ha recentemente ricevuto il Premio principale nella sezione International Feature Dox all’ultima edizione del DokuFest, in Kosovo.
‘Action Item’ : introduzione
Il film ha inizio con una lunga sequenza che si concentra su una ragazza in bici, che si muove attraverso le vie di Berlino. Inizialmente la scena comunica una certa calma: il suo volto è illuminato dal sole, il vento le scuote i capelli e, accanto a lei, scorrono veloci i frammenti della città: edifici, auto, passanti, strade…
Poi le immagini vengono raggiunte da un voice over: “È difficile dire quando sono iniziati i miei problemi.” Con questa frase comincia il suo monologo interiore, in cui ci spiega che, a causa dell’ansia persistente provata durante l’autunno, ha preso la decisione di iniziare a cercare un lavoro. Prosegue raccontando di un giorno in cui ha partecipato a una protesta, finendo per subire una dolorosa distorsione alla caviglia. Di quel giorno ricorda in particolare l’intervento delle forze dell’ordine e la violenza usata per allontanare i protestanti. Tornando a casa, la sua mente era così occupata da pensieri e preoccupazioni da non rendersi nemmeno conto di essersi fatta male. Se n’è accorta solamente un paio d’ore dopo. La parte che trova più disturbante è proprio il fatto di essere riuscita ad ignorare tanto a lungo la sofferenza iniziale.
Afferma di aver identificato in quell’evento un segnale di avvertimento: un importante indizio circa il suo reale stato d’animo.
“Non riuscivo a sentire alcun dolore fisico, perché ero troppo occupata a sentire altri tipi di dolore. Dolori che spesso significavano non sentire assolutamente nulla.”
Nel frattempo, nel corso del racconto, anche il volto della ragazza cambia: appare più agitata, gli occhi le diventano lucidi, mentre sembra rivivere emotivamente gli attimi di cui parla.
Questa è solo la prima di una serie di testimonianze, che portano ai temi centrali del corto, ovvero il burnout, l’ansia, la depressione, un profondo esaurimento fisico, emotivo e mentale che attanaglia sempre più individui nella società odierna.
La visione della regista
Paula Ďurinová, che nel documentario precedente, Lapilli(2024), aveva intrecciato in modo originale il dolore per la perdita dei propri nonni alla struttura delle formazioni geologiche, anche in questo caso trae ispirazione da un’esperienza molto intima e personale. L’idea è nata infatti diversi anni fa, in seguito a una fase di burnout che l’ha scossa profondamente. Dopo quel periodo, ha sentito il bisogno di dare un contesto a quanto accaduto, affidandosi alla terapia, partecipando a gruppi di supporto e iniziando a leggere articoli, saggi e testi di teoria critica del capitalismo, che mettevano in discussione la privatizzazione delle difficoltà legate alla salute mentale.
Prima di allora, aveva sempre pensato che quanto aveva vissuto fosse solo un problema personale e che quindi andasse affrontato come tale. Ha deciso quindi di partire dalla propria esperienza, limitata e invisibile, per poi cercare un punto di vista più ampio, in cui il vissuto del singolo potesse diventare parte di una riflessione collettiva.
In un’intervista rilasciata per FIDMarseille, ha affermato:
“Mi interessano i film che seguono un certo processo, e trovo terapeutico riflettere su qualcosa insieme al film, senza necessariamente arrivare a una conclusione. Con Action Item, volevo creare un momento di pausa, che permettesse di elaborare queste esperienze accumulate e per vedere cosa potesse venirne fuori.”
Un collage di emozioni
Action Itemnon è affatto un film che segue una narrazione lineare; al contrario, si tratta di un prodotto di non immediata comprensione. È necessario lasciarsi trasportare dal connubio iniziale tra immagini e voci narranti, per arrivare solo in seguito al reale significato dell’opera, un poco alla volta. È un viaggio complesso tra stili e formati diversi.
L’uso del voice over attraversa tutto il documentario e viene contrapposto a una serie di immagini, non sempre correlate tra loro, ma che dialogano con le esperienze raccontate. Si tratta spesso di figure sfocate, a volte persino indistinguibili o a bassa risoluzione. Sono anche presenti delle immagini di repertorio, riguardanti le proteste per la Palestina a Berlino, brutalmente represse dalle autorità tedesche.
Le voci sconosciute si susseguono, finché diventa possibile trovare e identificare dei punti in comune all’interno delle singole esperienze. Nel frattempo, sullo schermo, le immagini vengono distorte, ingrandite, tagliate, ridotte. Dei frammenti di realtà, che vanno ad unirsi alle sensazioni raccontate. L’elemento visivo assume quindi un significato simbolico, metaforico e talvolta descrittivo. È così che il movimento continuo e ripetitivo della giostra di un luna park viene associato al racconto di un’altra donna, che parla di alcuni episodi personali particolarmente critici, caratterizzati dall’incapacità di governare la propria mente e il proprio corpo. Sembra riferirsi a qualcosa di simile a un attacco di panico: parla di crisi di pianto, ansia, iperventilazione, incapacità di pensare con chiarezza o capire le proprie emozioni, paura di muoversi o toccare qualsiasi cosa.
Intanto, la corsa di un vagone nelle montagne russe, si fa sempre più concitata e rapida, come un ciclo continuo da cui è impossibile scendere.
L’esperienza individuale diventa collettiva
Action Item muta forma più volte e, nella parte centrale, la ragazza che all’inizio correva in bici ripete alcune delle frasi del suo racconto. In questo caso, non si tratta di un monologo interiore rivolto allo spettatore: sta invece leggendo e condividendo le sue esperienze con altre persone. Si trova in quello che sembra un gruppo di supporto o di autoaiuto.
Le voci acquisiscono ora un volto e l’esperienza singola e solitaria diventa comune. Ha inizio una lunga sequenza in cui vengono affrontati diversi temi.
Si parla, ad esempio, di depressione cronica e della percezione dei problemi mentali nella società odierna, in cui sembra esista solo l’essere malati o il non esserlo, senza sfumature o vie di mezzo.
Alcuni esprimono la volontà di fermare il tempo, per poter finalmente respirare e pensare. La sensazione è quella di essere troppo lenti per questo mondo, come se si seguisse un ritmo diverso. Il sistema è talmente veloce e inarrestabile da non sembrare adatto agli esseri umani. Tanto che, a volte, non si può fare a meno di “fingere di funzionare”, pur di sentirsi parte della società e delle categorie di appartenenza che ci vengono imposte.
Azione come reazione
Talvolta il film può apparire sbilanciato, con un ritmo alquanto scostante e frammentario, ma ciò che è realmente interessante è l’originalità del punto di vista e il modo di trattare l’argomento, nonché le domande che il documentario si pone e che fa porre allo spettatore.
Gli spunti di riflessione e le idee inserite nel film sono infatti moltissime. Il documentario è denso di concetti affascinanti, che inducono ad affrontare meditazioni più ampie. Uno dei messaggi più rilevanti è sicuramente quello di uscire dallo stigma delle malattie mentali, senza chiudersi in se stessi, ma al contrario, spingersi a condividere le proprie esperienze e difficoltà con qualcun altro, senza credere che debbano per forza rimanere nascoste.
Non viene proposta una soluzione, ma viene indicata una possibilità. Un tentativo di effettuare uno sforzo, attaccandosi alle proprie emozioni più forti, reagendo per trasformare il proprio malessere e la propria ansia in rabbia. Non una rabbia distruttiva, ma rivolta verso ciò che si considera ingiusto, per provocare una spinta all’azione.
La sofferenza personale diventa quindi malessere sociale e collettivo, portando alla reazione contro un sistema che ci vuole tutti uguali, costantemente funzionanti, produttivi e in movimento, come ingranaggi di grandi macchinari impossibili da fermare.
La regista
Paula Ďurinová è una regista, scrittrice e artista visiva di origini slovacche, che vive a Berlino. Il suo primo lungometraggio, Lapilli (2024), è stato presentato in anteprima al Karlovy Vary IFF ed è stato poi proiettato anche in altri festival prestigiosi quali DOK Leipzig, RIDM Montreal, Trieste International Film Festival, AFO Olomouc e Beldocs.
A Berlino ha lavorato come direttrice artistica della ACUD Galerie e ha studiato Arte e Media all’Universität der Künste, nella classe di Thomas Arslan.
Il trailer di ‘Action Item’
Action Item
Anno: 2025
Durata: 68'
Genere: Documentario
Nazionalita: Slovacchia, Repubblica Ceca, Germania