All’interno del concorso Progressive Cinema – Visioni per il mondo di Domani della Festa del cinema di Roma 2025 arriva anche Sciatunostro, quarto lungometraggio di Leandro Picarella. Il film, una produzione Qoomoon con Rai Cinema in associazione con Albedo Production Wellsee e con il sostegno della Regione Siciliana – Sicilia Film Commission, è un documentario che all’apparenza può sembrare un film di formazione.
In una piccola isola nel cuore del Mediterraneo, Ettore e Giovannino, due amici inseparabili di undici e sette anni, si preparano a vivere l’ultima estate insieme. Ettore, costretto a trasferirsi sulla terraferma per proseguire gli studi, lascia sull’isola un vuoto che Giovannino dovrà colmare. Attraverso l’archivio e la videocamera di Pino, un anziano video amatore, il tempo si fa memoria condivisa, e il soffio dell’isola – sciatu – diventa il respiro di un’intera comunità. (Fonte: KinoWeb)
Nel contesto della Festa del cinema di Roma abbiamo fatto alcune domande a Leandro Picarella, regista di Sciatunostro.
La contemporaneità in Sciatunostro di Leandro Picarella
Ci eravamo lasciati con Segnali di vita che mescolava, per certi versi realtà e finzione, e si legava in qualche modo a quello che aveva colpito un po’ tutti, cioè il covid. Mi avevi anticipato che stavi lavorando a questo film dicendomi che anche qui sarebbero arrivati i riflessi della nostra contemporaneità e in effetti sono presenti in tante cose. Prima di tutto, forse ancora più del precedente, mi sembra un film che sfida il presente intanto per il modo in cui lo realizzi. Con questi lunghi silenzi e queste immagini senza parole, ma solo con musica. Oggi siamo frenetici in tutto e fermarsi a osservare o riflettere è una cosa che non siamo abituati a fare. Questo film sembra dirci questo. Sei d’accordo?
Penso che sia un film a favore di un’umanità e di una certa idea di cultura e civiltà mediterranea, che è quella delle nostre origini, del nostro occidente, ma che in qualche modo abbiamo completamente dimenticato perché distratti dal troppo fare, dal troppo dire. Ogni tanto, però, ce ne ricordiamo e lo facciamo quando andiamo in vacanza nelle isole e ci diciamo quanto sarebbe bello fare questo, quanto sarebbe bello vivere qui. È un po’ il sogno del borghese medio di oggi quello di avere una casa su un’isola, poter staccare, perché tutto il resto ha ormai preso il sopravvento. Quindi questo film ci riporta a ricordarci chi eravamo prima di ingrigirci per le fasi della vita. Direi che è un film a favore di ciò che probabilmente ci siamo dimenticati di essere.

Hai ragione. Io intendevo sottolineare il fatto che oggi non siamo forse più abituati a fermarci e riflettere con calma, come questo film ci dice di fare.
Quello che dici è vero, non siamo più abituati, però questo film utilizza degli stilemi che vanno incontro a un’esigenza di richiamo, se vuoi, a una parte di noi che abbiamo nascosto. In questo senso vorrei che questo film arrivasse al più ampio pubblico possibile, perché in realtà parla a chiunque abbia vissuto un’esperienza come quella che raccontiamo nel film, perché il distacco prima o poi lo viviamo tutti, che sia da qualcuno o da qualcosa. Quindi Sciatunostro è un invito al pubblico a ragionare su certi argomenti, ma anche a godersi un film che ha un primo livello – quello di un’avventura estiva, di due amici, un classico film di formazione – ma che poi, accanto, ha altri livelli. C’è quello del tempo, attraverso Pino e l’archivio, ma c’è anche quello spirituale, quello dell’accettazione del distacco e delle cose che vanno accettate per come sono, senza giudizio.
Guardando il film a me è venuta in mente un’immagine: quella di una persona che sfoglia un album di fotografie e quindi di ricordi. Sembra di riguardare vecchie foto anche grazie al modo in cui mostri le immagini e all’escamotage di fondere passato e presente.
Sì, ma non per nostalgia di qualcosa che non c’è più, ma, al contrario, proprio per ricordarci chi siamo. Più precisamente cosa volevamo, cosa sognavamo quando eravamo bambini: Pino cosa sognava? E io? Per questo credo il film risuoni nel pubblico perché sono cose che ci appartengono in quanto categoria umana.
Il paesaggio e la musica
Elementi importanti nei tuoi film sono sempre il paesaggio e la musica.
Ecco, a proposito delle musiche, questa volta ho voluto realizzarle in modo indipendente, lasciandomi ispirare dalle sonorità che emergevano dall’archivio, andando a cercare vecchi synth dell’epoca ma tentando di creare un discorso proprio.
Allora doppi complimenti. In effetti la musica, a maggior ragione se scritta da te, e il paesaggio sono due elementi che ti contraddistinguono perché c’è un’attenzione sempre particolare. In questo caso specifico è come se l’isola parlasse e parla attraverso la musica. Anche se è comunque un film molto dialogato ci sono vari momenti in cui dai spazio all’isola e alla musica, facendoli diventare a tutti gli effetti il terzo e il quarto protagonista della storia.
Sì, è così. Il tema principale è nato proprio durante il montaggio di Segnali di vita, immaginando l’estate da trascorrere a Linosa e quel sentimento che mi prende ogni volta che la nave si stacca dalla banchina quando devo andare via.

La potenza delle immagini
Prima hai citato Pino e, a proposito di questo personaggio, mi è piaciuto molto il fatto che come spettatori si osservi ciò che sembra essere stato ripreso da lui. In questo senso si può definire un po’ il tuo alter ego? Naturalmente parlo di alter ego in quanto regista.
In realtà non credo, perché io non sono un archivista, nel senso che non sono un accumulatore di immagini, nonostante da bambino fossi comunque attratto dal mezzo. Sono, però, cresciuto con un cugino videoperatore di una tv locali di Agrigento e uno zio, videoamatore, bravissimi. Mio zio in qualche modo ha ispirato questo riflettere sul tempo e sulla vita che scorre attraverso le immagini. Quando ho conosciuto Pino è come se le due cose in qualche modo si fossero unite, soprattutto questo rito che tanti anni fa si aveva di vedere i filmati, delle vacanze, di qualsiasi cosa e che un po’ si è perso, perché ormai abbiamo tutto sul telefono. Quel tipo di immagini d’archivio, che sottovalutavamo, le davamo per scontate. In realtà oggi, alla luce anche dell’immaginario condiviso, che è quello dei social, dell’iperrealismo, ecco probabilmente quelle vecchie immagini assumono invece un valore storico, educativo, pedagogico importantissimo. Hanno la capacità di riportarci a un determinato tempo, funzionando come una macchina del tempo. Questa cosa è ancora più forte se avviene quando si parla di un piccolo luogo che vediamo trasformarsi. Così facendo noi vediamo lo scorrere del tempo sulla pellicola. In questo senso, sono immagini universali, immagini che magari Pino non ha girato con consapevolezza, ma come il suo personale cassetto dei ricordi, ma, nonostante questo, l’ha fatto, e sono felice che le sue immagini adesso vengano viste dal pubblico.
Rispetto a quanto le immagini siano pervasive nella nostra vita, penso che la storia che raccontiamo abbia anche un valore da un punto di vista dell’educazione allo sguardo. Sono formatore nei progetti Cinema a Scuola del Ministero. I ragazzi non immaginano quanto potere ci sia nelle immagini e sono entusiasti quando scoprono che possono loro stessi con pochi mezzi creare il loro immaginario e non essere solo pubblico passivo, in mano a un algoritmo.
Con Sciatunostro Leandro Picarella riflette sul cinema
Si dice sempre di studiare la storia per capire il presente, e in questo contesto mi sembra azzeccato. Tra l’altro, proprio in relazione a quanto hai detto alla fine si può dire che Sciatunostro parla di cinema perché è una riflessione sul valore delle immagini cinematografiche e del cinema come mezzo che mostra delle immagini che rimangono tali nel tempo.
Esatto. È l’essenza del linguaggio per immagini, è quello che diceva Paola Malanga alla conferenza stampa di presentazione della Festa del Cinema di Roma. La prima cosa che mi ha detto la direttrice artistica della Festa del Cinema di Roma è stata che Sciatunostro è un film sul cinema e questo mi ha convinto ad accettare subito l’invito, perché aveva capito perfettamente l’essenza del film.
Secondo me questa idea ce la mostri indirettamente all’inizio, con la scena in cui si fondono quasi le riprese con il reale, cioè quando lo sfondo del desktop si unisce all’isola. Come a richiamare proprio questa unione indissolubile.
Forse sì, indirettamente ho voluto dire questo. E sono contento tu l’abbia notato. Il lavoro al montaggio di Chiara Dainese è stato eccezionale e sono felice di aver lavorato con lei. È entrata subito nel mood del film e abbiamo condiviso tre mesi fianco a fianco bellissimi per realizzare Sciatunostro.

A proposito di significati attraverso le immagini, sono molto interessanti anche i protagonisti che hai scelto. Innanzitutto i due bambini che sono l’opposto sotto tanti punti di vista, e in secondo luogo il rapporto con Pino: loro sono due bambini e lui è anziano, il modo di vedere e riprendere il mondo è opposto, così come il guardare al passato e al presente perché rappresentanti di due epoche diverse. Anche questo, secondo me, è significativo di quello che dicevi.
Sì, lo è. È proprio come dici tu.
I protagonisti
Come hai trovato Ettore e Giovanni e anche Pino? Come li hai scelti?
Devo premettere che sono arrivato a Linosa vent’anni fa, per la prima volta. Avevo 19 anni ed ero capitato lì di passaggio. Dall’anno dopo è diventato un punto fisso, nel senso che ogni estate, quando posso, ma in realtà anche gli inverni, le primavere, gli autunni, vado a Linosa. Praticamente è un’isola che per me è casa. Si dice che ci sono dei luoghi che scegli e che ti scelgono; ecco, per me Linosa è questo, è più casa di casa. I primi anni ho vissuto l’isola come la vivono la maggior parte dei turisti, cioè mare, cibo, tranquillità. Solo dopo sono entrato all’interno della comunità e ho conosciuto tante persone che sono diventate parte della mia vita, tra cui anche i genitori di Ettore, una seconda famiglia per me. Praticamente ho conosciuto Ettore che aveva due anni, l’ho visto crescere come fanno gli zii (lui, invece di vedermi come uno zio, dice che sono il fratello maggiore). Quindi si è instaurato un rapporto e ho cominciato a intervistarlo nel 2021, lo stesso anno in cui incontravo le immagini d’archivio di Pino.
Poi nel 2016 è nato Giovannino, e quando l’ho visto tuffarsi da tre metri di scoglio a due anni e mezzo ho capito che questo bambino aveva delle cose che altri bambini non avevano: coraggio allucinante, prontezza, agilità e una dolcezza e un amore fuori dal comune. All’inizio il film doveva essere più centrato su Ettore, ma poi si è aperto qualcos’altro e ho avuto una folgorazione. Mi sono detto che lì c’era tutto, ancora di più quando ho ricevuto le immagini di Pino, che mi sono state proprio donate.
Alla fine hai avuto la folgorazione giusta perché il film riesce a far riflettere, come abbiamo detto, e a emozionare, seguendo l’estate di questi sue protagonisti, ma in generale vivendo quest’isola.
Sono veramente felice di aver fatto questo film perché è il mio film più personale, quello in cui ho messo più cose mie, della mia vita, libero da ogni riferimento storico, culturale, cinematografico, anche perché eravamo veramente in difficoltà sulla gestione economica, perché Ettore cresceva troppo velocemente, e non andava di pari passo con la ricerca dei finanziamenti. All’inizio delle riprese ero da solo, poi è arrivato l’aiuto regia, Renzo Scaturro, quindi è stato un film che è stato voluto fortemente, ma che aveva tutte le caratteristiche per non riuscire.
Il fatto che adesso sia a Roma, che in qualche modo crei questa emotività molto forte in chi lo vede, mi fa enorme piacere.
La poesia di Sciatunostro di Leandro Picarella
L’ho trovato anche molto poetico perché aiuta proprio a riflettere, si presta a tanti spunti. Ed è quasi, come il tuo precedente Segnali di vita, un film di finzione.
Ma infatti lo è. Sono entrambi film scritti, ma vissuti, e siccome sono vissuti veramente, allora emerge la verità delle cose, non la realtà. Perché se una cosa è vissuta veramente, con partecipazione, con presenza, allora è vera, non è reale. La realtà, quella che chiamiamo comunemente realtà, è l’iperrealismo delle videocamere del telefono. Ma non può essere solo quella, le immagini sono anche altro. Bisognerebbe lavorare su di noi per avere accesso ad altre cose oltre alla realtà e il cinema, ma direi l’arte in genere, è lo strumento che più di altri ci permette questo.

E questo film nello specifico ci aiuta in questo senso, ci aiuta proprio a fare una riflessione che vada in questa direzione.
Io ci ho provato, con i miei mezzi, con le mie possibilità. Con Sciatunostro cerco di dire qualcosa che mi sta molto a cuore e che ha a che fare con la vita di tutti noi, non solo con la mia.
Come giustamente dici, è un film che parla a tutti e credo che questa universalità sia un punto a favore. Prima ti ho chiesto dell’inizio, ma anche la fine del film è molto bella e poetica perché sembra volerci dire che quella che abbiamo visto può essere la storia di chiunque. Sembrano dei titoli di coda le riprese di tutte queste persone come a dire che ognuno di noi è il protagonista del proprio film che è la vita.
Esattamente. Ricordiamocelo ogni tanto. Viva la fantascienza, la commedia, viva il cinema fantastico, ma viva anche tutto il resto. Il fatto è che in realtà quando ce ne ricordiamo esultiamo, cioè siamo felici perché ci ricordiamo chi siamo.
Adesso il film è presentato in concorso alla Festa del Cinema di Roma, in attesa di capire quale sarà il responso del pubblico, hai già altro in mente?
Stiamo lavorando su diverse cose. Vedremo…
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli