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‘Emy Nails’ di Camilla Carè: l’universo sospeso di un salone per unghie

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Presentato nella sezione Onde Corte di Alice nella Città, Emy Nails è un cortometraggio firmato da Camilla Carè che ci porta all’interno di un microcosmo spesso invisibile: il lavoro delle onicotecniche. Figure professionali che, per molti, rappresentano non solo una cura estetica, ma anche un momento di conforto, ascolto e umanità. Tuttavia, queste lavoratrici non sempre ricevono il rispetto e la considerazione che il loro ruolo meriterebbe. È da questa riflessione che nasce la potenza visiva e narrativa del corto.

Emy nails. Un’estetica rarefatta e sospesa nel tempo

In soli 12′ Emy Nails scardina le convenzioni della narrazione cinematografica classica, immergendo lo spettatore in una temporalità dilatata e quasi ipnotica. La sceneggiatura è ridotta all’essenziale: dialoghi sussurrati, in italiano e cinese, tra le protagoniste, due giovani donne che lavorano in un salone per unghie. La regia costruisce un’atmosfera soffocante e claustrofobica, che riesce a rendere tangibile la fatica, la stanchezza che vivono queste lavoratrici.

Il centro estetico come microcosmo di sfruttamento

Nonostante l’ambiente visivamente colorato e luminoso, il senso di oppressione è onnipresente. Le clienti, spesso distratte e impazienti, appaiono come figure indifferenti, contribuendo a creare un contesto in cui le onicotecniche, interpretate da Elisa Wong (La città proibita) e Gea Wang, sono ridotte a strumenti piuttosto che considerate come professioniste. Il lavoro incessante, i gesti ripetitivi, il sudore che si fa spazio sotto le luci a raggi UV: tutto contribuisce a costruire una dimensione sospesa, quasi onirica, in cui la realtà si mescola con una forma poetica di alienazione.

Uno degli elementi più potenti del film è la polvere del gel per unghie che, fluttuando nell’aria come coriandoli, diventa metafora visiva di una bellezza effimera e malinconica. È un’immagine che racconta molto più delle parole:  il lavoro invisibile, la fatica che si dissolve in una polvere brillante che non lascia traccia. I lunghi silenzi, il ritmo sospeso, il sonoro ovattato: tutto concorre a un senso di atemporalità che avvolge lo spettatore.

Una denuncia sociale sotto la superficie glitterata

Emy Nails si fa portavoce di una denuncia delicata ma potente. Il lavoro dell’onicotecnica diventa simbolo universale delle condizioni precarie in cui molti giovani — soprattutto di origine straniera — si trovano a vivere e lavorare. Un’esperienza che, giorno dopo giorno, può portare alla perdita del senso di sé e della propria luce interiore. Attraverso glitter, gel semipermanenti e nail art, il corto mette in scena un disagio spesso ignorato o minimizzato, restituendogli dignità e profondità emotiva.

Un progetto nato da “Becoming Maestre”

Prodotto all’interno del programma di mentoring Becoming Maestre — ideato dall’Accademia del Cinema ItalianoPremi David di Donatello in collaborazione con Netflix — Emy Nails è un’opera che unisce sguardo autoriale e impegno sociale. Un racconto breve, ma capace di lasciare un segno profondo. Nella più glamour delle arene, il centro estetico diventa teatro di una realtà spesso taciuta, che Camilla Carè osserva con forte empatia.

Sebbene il ritmo dilatato della narrazione possa, a tratti, risultare eccessivo, e il minimalismo nei dialoghi non incontri sempre il favore del grande pubblico, queste scelte stilistiche contribuiscono a rafforzare l’atmosfera sospesa e alienante del racconto. Emy Nails invita a guardare oltre la superficie scintillante della bellezza, per scoprire l’umanità nascosta tra una limatura di unghie e una passata di top coat.

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