È il 4 febbraio del 2005 quando Giuliana Sgrena, inviata de Il Manifesto, viene rapita a Baghdad da un gruppo jihadista iracheno. Pochi giorni dopo, il 15 febbraio, l’Associated Press Television News riceve una videocassetta con un videomessaggio di Sgrena, in cui la giornalista si rivolge al governo italiano e al compagno, Pier Scolari: “Chiedo a mio marito, chiedo a Pier, ti prego aiutami. Fai vedere tutte le foto che ho fatto agli iracheni, ai bambini colpiti dalle cluster bomb, alle donne. Ti prego, aiutami. Aiutami a chiedere il ritiro delle truppe, aiutami a salvarmi”.
È con queste parole, un estratto dal videomessaggio di Giuliana Sgrena, che si apre Goodbye Baghdad. Il cortometraggio, vincitore del concorso Cortitalia al Sedicicorto International Film Festival 2025, è l’esordio al cinema di finzione del regista e documentarista livornese Simone Manetti. Il film racconta un frammento della vicenda del rapimento: ripercorre il viaggio verso l’aeroporto di Baghdad di Nicola Calipari (Sergio Albelli) – agente del SISMI (servizio per le informazioni e la sicurezza militare) –, Sgrena (Galatea Ranzi) e Andrea Carpani (Alessio Praticò), alla guida della macchina, fino al momento in cui Calipari viene ucciso dal “fuoco amico” a un posto di blocco americano, durante l’ultima fase della liberazione.
Goodbye Baghdad
La scelta di portare sullo schermo un fatto realmente accaduto, per un documentarista che si avvicina al cinema di finzione, è quasi inevitabile. La vicenda di Sgrena è così sottoposta a un processo creativo in cui la sceneggiatura, eco di un episodio traumatico, risponde alle esigenze narrative classiche senza mai includere dettagli fittizi. Il risultato è coerente con la ricerca di verosimiglianza, una priorità di Manetti. La liberazione di Sgrena che, vent’anni fa, si svolse nelle ore notturne, nel film è riportata quasi interamente nell’oscurità. Il buio, da sottintesa esigenza narrativa, diventa il filtro naturale attraverso cui gli attori, dal volto seminascosto in penombra, costringono lo spettatore a una partecipazione inconsueta: della recitazione – nella semioscurità della macchina – affiorano le espressioni dei volti, accentuate dal buio come in un chiaroscuro.
Tutto ciò assume una connotazione quasi neorealista: l’intenzione documentaria di Manetti, che ha riportato un fatto reale dalla prospettiva della “zona d’ombra” che è la notte, è rafforzata da una vicenda inesorabilmente attuale.
Il minimalismo
All’interno dello spazio ristretto dell’abitacolo, la tensione dei tre personaggi sembra dilatarsi oltre misura; per questo, e nonostante si conosca l’epilogo, la suspense si mantiene anche in assenza di colpi di scena o altri espedienti narrativi. Goodbye Baghdad deve la sua intensità anche alla forma propria del cortometraggio che, intrinsecamente breve, costringe a scelte stilistiche che privilegiano un minimalismo estetico e dialettico: lo sguardo dei protagonisti, in un’alternanza di primi piani all’interno dell’automobile, attraverso i vetri e nel riflesso dello specchietto retrovisore, rivela l’immobilità del momento, quasi un’apnea emotiva.

Come intuì Abbas Kiarostami, che ha trasformato le riprese all’interno di un’automobile in una cifra stilistica, l’interno dell’abitacolo in movimento può rappresentare uno spazio di condivisione dell’interiorità dei personaggi. Quando si guarda fuori dal finestrino, gli oggetti sembrano muoversi a una velocità diversa a seconda del contesto; l’effetto complessivo è una discrepanza tra l’interno dell’abitacolo – il mondo interiore – e il mondo esterno, proiezione di aspirazioni o paure. In Goodbye Baghdad, il buio dell’abitacolo è lo stesso della notte di fuori: l’unica luce abbagliante è quella che precede la raffica di proiettili che ferirà gravemente Giuliana Sgrena, e ucciderà Nicola Calipari.
Le riprese del cortometraggio – nato come progetto di chiusura dell’anno accademico dell’Accademia di Belle Arti LABA, in collaborazione con gli studenti del corso di cinema – si sono svolte a Brescia. Con l’integrazione di VFX, in particolare nella sequenza in cui la macchina attraversa una città bombardata, è stato possibile trasformare una strada della periferia di Brescia in un contesto di guerra verosimile, coerente con il racconto del film. Gianluca Ceresoli è il direttore della fotografia.
Simone Manetti
Debutta alla regia con il documentario Ciao Amore, vado a combattere (Goodbye Darling, I’m Off to Fight). Al Torino Film Festival 2019 presenta il suo secondo documentario, dal titolo Sono innamorato di Pippa Bacca. Nel 2020 dirige la miniserie documentaria Il Forteto, sugli abusi e i maltrattamenti verso i minori ospiti della comunità. Seguono Marta – Il delitto della Sapienza (2021), Nel nome del Figlio (2022) e Pagato per uccidere (2023), gli ultimi due per Sky Crime. Nel novembre 2023 realizza Rigenerazione, docufilm sulla riforestazione in Guatemala. Nel 2024, Netflix distribuisce la sua docuserie in tre episodi dal titolo Il giovane Berlusconi.
