No Title è l’ultimo documentario di Ghassan Salhab, regista senegalese che attualmente insegna cinema in Libano, e che già nel lontano 1998 aveva affrontato il conflitto che ha raso al suolo il sud del paese con Beirut Phantom. Quell’opera rappresenta tutt’ora il suo lavoro più importante, ed è particolarmente struggente realizzare che quasi trent’anni dopo la sua produzione attinge dalla stessa fonte colma di disperazione, uscendone inevitabilmente più affaticata e disillusa.
“Non serve un titolo in presenza di questa desolazione.”
No title. Una traversata tra le macerie
Dopo un’introduzione all’insegna dello spaesamento, in cui un persistente schermo nero ci porta a riflettere sulla provenienza dei suoni che affiorano (e a chiedersi se per caso non ci siano problemi tecnici con la proiezione), inizia il vero e proprio viaggio che pone le basi per l’intima esperienza meditativa proposta da No Title.
Ci troviamo nel sud del Libano, più precisamente in una macchina che attraversa i desolati paesaggi urbani di una zona di guerra quiescente. L’andatura del veicolo lascia intendere una profonda stanchezza d’animo nel guidatore, in contrasto con il traffico che anima le strade e il costante pericolo rappresentato dai potenziali bombardamenti. Nel corso di questa traversata silenziosa, dove i pochi dialoghi hanno il solo scopo di evitare tamponamenti, la rete della cinepresa cattura il dolore di un territorio definito ormai unicamente dalle macerie, in cui ogni scorcio rimanda alla memoria di quello che era un tempo.
Al Middle East Now il film senza titolo
In soli 43 minuti, nel ricco panorama documentaristico di Middle East Now, questo film senza titolo si pone semplicemente come un mezzo per contemplare la resilienza di un Libano in ginocchio, oltre che riflettere sulle ferite di chi lo abita e sulla natura logorante di una guerra che sembra destinata a non avere mai fine.
No Title è un monito silenzioso e fugace, consapevolmente tutto il contrario del mondo in cui è ambientato. La sua dicotomia è al contempo il punto di forza e la debolezza di questa richiesta di aiuto in bottiglia lanciata nel mare del cinema, soprattutto considerato che giusto due mesi fa è stato premiato a Locarno l’incredibile Tales of the Wounded Land, una cronaca approfondita e poetica sulla stessa tragedia. Nonostante le modalità affini, il film di Abbas Fahdel si prende il suo tempo per dare una voce e un volto alle persone che ogni giorno si costringono a ingoiare le lacrime per quello che hanno perso, impegnati nella duplice fatica di ricostruire un fragile equilibrio e al contempo mostrarsi forti davanti ai figli.