Su Amazon Prime Video può capitare di imbattersi in un curioso film: La persona peggiore del mondo (2021). E possiamo asserire con sicurezza che, malgrado la sua poca notorietà in Italia, è un film che vale la pena recuperare. I colori crepuscolari della Norvegia, un trio di personaggi ben caratterizzati e una fitta rete di sentimenti che non vi lasceranno con le idee chiare, fino alla fine del film. Abbiamo provato in questo approfondimento a tirare le fila di questa dark comedy, tra analisi filosofiche e qualche considerazione tecnica.
La vita che pulsa nella precisione formale
La persona peggiore del mondo, diretto da Joachim Trier, fa parte della ‘trilogia di Oslo’( con gli annessi Reprise e Oslo, 31. August). Non è solo per la magistrale interpretazione della protagonista, Renate Reinsve, che ha vinto la Palma d’Oro a Cannes nel 2021, e neanche per la Nomination agli Oscar come Miglior film straniero, che questa commedia agrodolce può dirsi validissima. É piuttosto la sfida concettuale in cui il film mette lo spettatore. La sceneggiatura è fatta di apporti para testuali che promettono di guidare: il titolo connotativo, un indice dichiarato (prologo, 12 capitoli, epilogo) una voce narrante extradiegetica che commenta e informa. Tutti ingredienti che rendono il film strutturato, o solo apparentemente. In realtà ci si trova ad immergersi in una storia con pochi punti saldi, e un ritmo disomogeneo. Capitoli lunghi e vuoti di contenuto e altri brevi e densamente significativi. Il caos contenutistico è il riflesso della psiche di Julie: una ragazza persa, confusa, piena di estro creativo e di idee, ma anche di fragilità e di irrisolvibili dubbi esistenziali. Un pastiche intero per un’unica grande domanda: chi è la persona peggiore del mondo? e chi siamo noi per poter rispondere?
La tortuosa trama del film
Julie è una giovane studentessa, alla ricerca di sé stessa e della professione a lei più affine. La sua vita cambia per sempre quando conosce il fumettista di successo Aksel Willman (Anders Danielsen Lie), molto più grande di lei, ma con il quale istaura una rapporto di forte complicità. Percorso individuale e di coppia si intrecciano per una comune ricerca di equilibrio esistenziale. L’armonia precaria che tenta di costruire viene presto compromessa dal pensiero di dover avere figli, proprio in una fase in cui Julie non si sente pronta. I dubbi notturni che la rendono fragile e taciturna la spingono ad allontanarsi da Aksel. La fine giunge quando Julie si imbuca ad una festa e incontra Eivind (Herbert Nordrum) un giovane barista dai modi gentili che la spinge a desiderare una vita più libera dai doveri sociali.
La persona peggiore del mondo: la sfida alle convenzioni sociali
E allora scagli la prima pietra chi è senza peccato. La sceneggiatura del film sembra gettare lo spettatore in una situazione di estremo disagio, dietro gli occhi di chi vuole vivere l’amore senza remore, ma che lascia dietro di sè un passato di dolore irrisolto. Entrando nella vita di Julie ci si imbatte in tanti stigmi sociali: la scelta di una buona facoltà accademica, un lavoro dignitoso, la vita di coppia, il tempo giusto per avere figli. Tuttavia l’emotività della protagonista stride con il paradigma sociale, e con lei riconosciamo l’artificiosità dell’ opinione comune, imparando persino a disinnescarla. Julie non vuole avere figli, va a convivere con un uomo molto più grande di lei, e quando le cose le vanno strette ha il coraggio di lasciare tutto e ricominciare. Sembra il ritratto perfetto di un’eroina del cinema, coraggiosa e dalla grande dignità morale. E’ qui che il film però cambia direzione, stravolgendo la nostra visione di Julie. Le scelte che prende sono istintive, autentiche ma sono altrettanto morali?

La scelta come libertà o prigionia?
Quando Julie incontra Eivind tenta con fare infantile di non commettere un ‘vero tradimento’, fermandosi a gesti innocenti e sguardi fugaci. C’è però una scena del film, divenuta ormai cult, in cui Julie va in cucina dal suo fidanzato Aksel e immagina di mettere in pausa il mondo. Scappa di casa e con un trucco di magia filmica assistiamo al congelamento di tutto ciò che le sta attorno. Corre per le strade di una Oslo imbalsamata: ferme le foglie degli alberi, fermi i pedoni in strada. La città diventa d’un tratto innocua, esente da giudizi nei suoi confronti. Si reca così nel bar in cui Eivid lavora e vive senza rimorsi un pomeriggio spensierato con lui. La psiche predomina la logica e attua quei meccanismi di autodifesa per rendere il mondo più buono nei suoi confronti. La vita reale però è diversa. La protagonista deve fare i conti con ciò che c’è di più arduo: comunicare ad Aksel la sua scelta. Inizia qui una nuova fase di vita. Da una parte la scelta la rende libera, seppur con il rancore di aver spezzato il cuore all’uomo che la ama, dall’altra parte la vita agognata deve ora soddisfare il peso delle sue aspettative.

Kierkegaard al tramonto
Non pecchiamo di eccessiva lente filosofica se a tal ragione chiamiamo in causa gli insegnamenti di S. Kierkegaard che di questa fenomenologia della scelta ce ne parla molto prima, per coincidenza, proprio in un paese nordico: la sua amata Danimarca. Più di due secoli di differenza per ritrovarsi allo stesso punto. Il padre dell’esistenzialismo e il personaggio di finzione de La persona peggiore del mondo, si trovano impigliati nello stesso nodo esistenziale, maneggiando quasi la stessa dialettica. Guardarsi vivere è la vera condanna, come fare per vivere davvero? Il libero arbitrio non è sempre garanzia di felicità, e fare il conti con il suo fallimento può essere la più frustrante delle delusioni.
Kieerkegaard: «Ciò che in fondo mi manca è di veder chiaro in me stesso, di saper “ciò che io devo fare”, e non ciò che devo conoscere. […] Ciò che importa è di trovare una verità che sia verità per me, di trovare l’idea per la quale io possa vivere e morire.»
Julie: «I feel like a spectator in my own life. Like I’m playing a supporting role in my own life»
I personaggi maschili: tra idealismo e vita reale
I due uomini con cui Julie fa i conti rappresentano le due dimensioni a cui aspira e che vorrebbe in ambo modo per una completezza personale. Aksel è l’uomo che stima, a cui vorrebbe somigliare. Riluce di estrema concretezza e dimostra di possedere il pensiero analitico che Julie desidererebbe avere. Eivind invece è la fuga. Non ci vuole infatti molto prima che la libertà, nella sua fulgida bellezza, faccia pagare il conto a chi si innamori con troppa fretta. La donna vuole vivere la sua vita dall’interno, ma finisce per pagare le conseguenze di una vita senza bussola. Cos’è sbagliato? Vivere e sbagliare, mettendo il mondo in stand by, o assumere un approccio razionale sulle cose per armonizzare l’io e il super io? Al di là di un’analisi freudiana il film riesce senza fatica a catapultarci in situazioni sempre familiari, narrate con maestria, sperimentazione, e intelligenza emotiva. Così il mosaico di emozioni trova un posto speciale nella memoria dello spettatore, che non sempre ne esce con delle idee chiare, ma di certo con la sensazione di aver vissuto con autentica libertà la vita. E forse la riuscita del film sta proprio nella sua storia esente da giudizi morali e che con intenzione catartica libera dalle etichette la vita dell’individuo. L’ironia della voce narrante e la recitazione degli attori rendono questo film una vera altalena di emozioni.
Un gioiello filosofico unico ed esteticamente perfetto.
Evanescenza tematica attraverso l’uso della luce
Le scene sono quasi sempre girate all’ora del tramonto. Il tramonto simbolo della transizione è l’ennesimo archetipo che corrobora la lente bifocale di questa storia: il tramonto come fine o come promessa di un nuovo giorno? La funzione protrettica del film sta tutta nell’indefinitezza di un giudizio morale e di conseguenza l’estetica porta su di sè i segni di una realtà quasi atemporale, evanescente, priva di contrasti. Notevole anche l’uso sperimentale della regia che rallenta e dilata il tempo nella scena della fuga mentale, per armonizzare pensiero e realtà, in un’unica esperienza immaginifica, resa quasi possibile. La luce fatica a riscaldare, il tramonto dalle tinte pastello accompagna la fuga ma segnala anche l’ansia del sopraggiungere della notte (parte del giorno in cui Julie incontra Eivind).

Il finale e il memento mori
Il finale è il luogo consolatorio dell’intera storia, nonostante sia sscandito dalla notizia della malattia di Aksel. Dopo la pioggia a cascata con cui il film travolge lo spettatore, l’epilogo sembra essere la vera quiete dopo la tempesta. Nell’epilogo molte cose sono cambiate. Si ha la sensazione di aver vissuto per anni accanto ai personaggi. La donna è inaspettatamente incinta e la relazione con Eivind è giunta quasi al capolinea. Julie va a trovare Aksel, malato terminale per un tumore al fegato. I due fanno un bilancio della loro vita e della relazione che hanno avuto in passato. Il memento mori consente ad entrambi di godere delle poche ore che restano, senza l’ansia di definire il proprio rapporto. Quel momento inaugura un cambio di prospettiva nella mente di entrambi. Godersi il presente sembra essere l’unico imperativo dell’esistenza per viverla davvero. Agire con audacia ma anche con una conoscenza profonda di sè stessi e dei propri desideri. Aksel parla di lei come dell’amore della sua vita. ‘Sei davvero una brava persona’ le dice, ed è così che nel ricordo di colui che la ama il titolo si sgretola in mille pezzi. Non c’è mai un giudizio univoco su una persona, che è fatta di numerosi atti illogici e per questo ingiudicabili. Tutto rallenta e resta una dolce rassicurazione: c’è sempre qualcuno nel mondo che ricorda qualcosa di bello di noi, prima di andarsene, ed è un privilegio riuscire a scoprirlo.
Aksel: Sono sicuro che ricordo molte cose di te che tu hai dimenticato. (…) Sei davvero una brava persona.