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‘Eterno Visionario’: Placido in viaggio nell’anima di Pirandello

Un film sull’orlo del sogno, dal 22 settembre su Sky Cinema e Now. La pellicola era stata selezionata tra i titoli italiano nella categoria International Feature Film Award agli Oscar 2026

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Locandina ufficiale del film Eterno Visionario di Michele Placido, con l’immagine stilizzata di Luigi Pirandello e gli attori principali.

Con Eterno Visionario, Michele Placido firma un film ambizioso e personale, in equilibrio tra cinema, letteratura e teatro. Prodotto da Goldenart Production con Rai Cinema, il film è distribuito da 01 Distribution e disponibile su Sky Cinema e Now dal 22 settembre. Un’opera interamente italiana che si muove nel territorio incerto del dramma biografico e psicologico, dove la ricostruzione storica lascia spazio all’immersione visionaria nella mente di Luigi Pirandello. Non a caso, la pellicola era in lizza per rappresentare l’Italia agli Oscar 2026 nella categoria International Feature Film Award.

Placido non racconta Pirandello in modo lineare o celebrativo. Piuttosto, ne attraversa le contraddizioni, i fantasmi, il dolore privato e l’ossessione per l’identità. Ne emerge un ritratto sfaccettato e inquieto, che sfugge alla cronaca per farsi viaggio interiore, reso sullo schermo con grande rigore visivo e libertà narrativa.

Scopri Eterno Visionario, il film di Michele Placido su Luigi Pirandello, disponibile in streaming su Now dal 22 settembre

Eterno visionario. Un treno che non porta solo al Nobel

Dicembre 1934. Luigi Pirandello (Fabrizio Bentivoglio) è in viaggio verso Stoccolma per ritirare il Premio Nobel. Ma il treno che lo conduce in Svezia si rivela fin da subito un dispositivo narrativo e mentale: i vagoni, le soste, i personaggi che incontra diventano stanze della memoria, soglie d’accesso a un tempo interiore, non più storico. Lo accompagnano un giovane scrittore di nome Saul Colin, figura enigmatica e quasi surreale (interpretata dallo stesso Placido), e la sua immancabile solitudine.

Tra le stazioni reali e quelle del pensiero, si consuma una resa dei conti personale, filosofica, artistica. Pirandello rievoca l’infanzia siciliana e il rapporto con il padre, rivive le lacerazioni coniugali con Antonietta (Valeria Bruni Tedeschi), incontra i suoi figli, riascolta le voci di Marta Abba (Federica Luna Vincenti) e degli attori che hanno dato vita alle sue opere. Ogni fermata è una voragine di memoria: presente, passato e teatro si mescolano fino a diventare un’unica, dolente narrazione.

La musa e la moglie, il doppio dell’intimità

Il cuore privato del film si regge su una tensione che non ha bisogno di essere esplicitata: quella tra la figura di Antonietta Portulano, moglie di Pirandello internata per instabilità mentale, e quella di Marta Abba, giovane attrice, musa, forse amore impossibile. Le due donne rappresentano due poli dell’esperienza emotiva del protagonista: una è il dolore che non si può lasciare, l’altra è la bellezza che non si può possedere. In mezzo, un uomo costantemente in fuga da se stesso, e al tempo stesso incapace di smettere di cercare un riflesso della propria verità negli occhi dell’altro.

Valeria Bruni Tedeschi restituisce una Antonietta mai ridotta a stereotipo: è corpo e voce che pretendono attenzione, dolore che chiede giustizia, presenza che sconvolge ogni equilibrio. È una prova misurata, solida, che convince per coerenza più che per intensità drammatica. Fabrizio Bentivoglio, nel ruolo del protagonista, interpreta un Pirandello sobrio, introverso, attraversato da inquietudine: la sua forza è nella sottrazione, nella capacità di restare sul crinale tra lucidità e smarrimento.

Ma sono soprattutto due attrici a emergere con forza. Federica Luna Vincenti, nei panni di Marta Abba, costruisce un personaggio sfuggente e affascinante, più evocato che raccontato, lasciando che l’ambiguità della relazione con Pirandello resti irrisolta. E Aurora Giovinazzo, nel ruolo della figlia Lietta, porta una verità emotiva che spicca nel tessuto onirico del film. Sono loro a dare respiro umano a una storia fatta di maschere, assenze e idealizzazioni.

La follia, la famiglia e la ferita della scrittura

C’è una scena che riassume, con semplicità e ferocia, il senso del dramma pirandelliano. È il confronto tra Luigi e il figlio Stefano (Giancarlo Commare), anch’egli scrittore. Seduti uno accanto all’altro, quasi senza guardarsi, i due si scambiano poche parole, pesanti come macigni. È lì che Bentivoglio, con una sobrietà che colpisce, pronuncia una delle frasi più dense del film:

«Noi scriviamo per vendicarci di essere nati».
Una confessione che è anche un manifesto, un rovesciamento del senso comune: la scrittura non come dono, ma come riparazione; non come celebrazione, ma come rivolta esistenziale.

Questa frase attraversa il film come un’eco, spiegando retroattivamente anche i silenzi, le nevrosi, i tradimenti e le fughe del protagonista. Perché in fondo, nel mondo di Pirandello – e nel film di Placido – scrivere non è mai un atto neutro: è un modo per lottare contro il vuoto, per difendersi dal caos, per dare una forma all’indicibile. In filigrana, si intravede anche un altro legame padre-figlio: quello, più implicito ma altrettanto carico, tra Placido e Pirandello, allievo e maestro. Se Stefano fatica a emergere dall’ombra del padre, Placido si affida a quell’ombra per costruire un omaggio che è anche affermazione autoriale, sfida e atto d’amore insieme.

La regia di Placido: omaggio intimo e visione frammentata

Michele Placido firma una regia coraggiosa, lontana dal biopic tradizionale. Il suo Eterno Visionario non punta a spiegare Pirandello, ma a farci abitare la sua mente: il tempo si frantuma, sogno e memoria si intrecciano, la realtà si fa teatro. È un film interiore, dove l’immagine non illustra ma evoca. La fotografia di Michele D’Attanasio, fatta di ombre, chiaroscuri e luci oblique, accompagna questa immersione psichica, costruendo un mondo visivo che riflette il tormento del protagonista.

Placido stesso appare in un piccolo ruolo, nei panni di un enigmatico impresario teatrale: una presenza discreta e simbolica, quasi fuori dal tempo, che racchiude il senso del suo approccio autoriale. È un cameo che potremmo definire adorante ma mai invadente — un gesto rispettoso, che restituisce tutta la misura del suo rapporto con Pirandello. Per Placido, questo non è solo un film su uno scrittore: è l’omaggio di un allievo a un maestro.
«Non volevo raccontare un’icona, ma un uomo vivo, fragile, pieno di contraddizioni», ha dichiarato.

E in questo, il film riesce: nell’omaggio c’è rispetto, ma anche intimità, come chi mette in scena un padre spirituale con pudore e gratitudine.

Il corpo della lingua

Accanto alle immagini e alle interpretazioni, è la lingua del film a costruire gran parte della sua identità. I dialoghi – spesso intensi, a tratti letterari – non cercano mai la pura verosimiglianza, ma agiscono come materia viva: parole che pesano, che aprono squarci interiori, che risuonano più come pensieri che come battute recitate.

La lingua pirandelliana, fatta di contraddizioni, paradossi e ritrosie, viene rispettata e reinventata, lasciando che ogni frase si porti dietro un’eco di teatro, ma anche un frammento di verità. Come se parlare, in questo film, fosse già un atto drammatico.

Un film che rifiuta certezze, ma non smette di cercare

Eterno Visionario non è un film che si presta a interpretazioni semplici, né si lascia addomesticare dal formato rassicurante del biopic. Al contrario: è un’opera che sfida lo spettatore a perdersi, a rinunciare alle certezze della narrazione lineare per entrare in un luogo più oscuro e profondo — quello della coscienza, del desiderio, della memoria.

Placido non cerca di “spiegare” Pirandello: lo evoca, lo insegue, lo mette in scena come si farebbe con un personaggio sfuggente. Ed è proprio questa ambiguità, questo cortocircuito tra l’uomo, l’artista e il suo doppio, a rendere il film vivo. Eterno Visionario è cinema che rischia, che sbaglia anche, ma che non si accontenta del già visto. È il ritratto di un maestro, sì — ma anche di un uomo spezzato, in cerca di verità in un mondo di maschere.

E forse è questo il punto: il vero omaggio non è la fedeltà, ma il coraggio di entrare nel conflitto. Placido lo fa con rispetto, con passione, e con una libertà che, oggi, vale come una dichiarazione d’intenti.

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Eterno Visionario

  • Anno: 2024
  • Durata: 1h 52m
  • Distribuzione: 01 Distribution
  • Genere: Dramma psicologico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Michele Placido
  • Data di uscita: 07-November-2024