Visioni dal mondo

‘Nemo’s Garden’, il giardino sommerso in fondo al mare

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Cosa succede quando la crisi alimentare del futuro trova una risposta sul fondo del mare? E cosa significa coltivare la terra laddove la terra non c’è, dove ci ritroviamo circondati unicamente da H2O? Nemo’s Garden, il documentario di Fabio Palmieri (2025), presentato in concorso all’11ªedizione di Visioni dal Mondo, racconta la storia di una famiglia ligure che, tra tecnologia, poesia e memoria, prova a costruire un giardino subacqueo. La conquista di un’utopia, tra serre subacquee, cupole trasparenti e un laboratorio che sembra uscito da un pianeta alieno. Una forma aliena in grado di fondersi con l’ambiente circostante.

“Dovevamo essere accettati dall’ambiente acquatico.”

Da subito, i rumori dell’acqua e il respiro umano in immersione raccontano la convivenza fragile con un elemento che non appartiene all’uomo ma che si fonde con uno degli elementi più primitivi: l’agricoltura.

“Il giardinaggio costituisce un esercizio spirituale.”

Ci ricorda la filosofia giapponese: non solo per nutrire ma per avvicinarsi alla vita stessa. Una crescita interiore che porta il soggetto alla ricerca del proprio Ikigai, la “ragione d’essere”, facendo leva sul doppio: la coltivazione è sia fisica che interiore. In questo caso anche famigliare. Luca infatti si ritrova a coltivare il sogno tramandato dalla sua famiglia.

Una città aliena, un sogno di famiglia

La costruzione di Nemo’s Garden è iniziata nel 2012, ma nella mente molto prima, anche lì appariva come un viaggio fantascientifico. Uomini che fluttuano nel turchese dell’acqua, cupole che spuntano come bolle in una città aliena. Luca, rammentando le radici, più specificatamente quelle del padre:

“Era come se stessi chiudendo gli occhi per entrare dentro i suoi sogni.”

È un progetto che nasce dal padre e che il figlio continua, come un’eredità. Nel laboratorio dedicato a lui, tra simboli rinascimentali e l’albero della vita, si respira connessione: con la memoria, con l’ecosistema, con le radici. Un film che diventa anche lettera, processo psicologico, accettazione e dedizione.

Ed è proprio qui che il titolo fa sorridere: Nemo’s Garden richiama inevitabilmente Alla ricerca di Nemo. Ma mentre il pesciolino della Pixar voleva solo tornare a casa, qui la missione è proteggere una nuova casa per il futuro: un ecosistema fragile, che va custodito proprio come faceva il papà di Nemo con il figlio. Un parallelismo che non è citazione diretta, ma un’eco culturale che rende questo giardino subacqueo ancora più poetico.

Tra poesia e scienza

La fotografia alterna due mondi. Fuori dall’acqua, i blu e i verdi continuano a ricordare il mare; sott’acqua, il silenzio amplifica la crescita delle piante, come se potessimo sentirle respirare. Di notte, Nemo’s Garden prende un’altra vita: un luogo sospeso, dove l’innovazione si mescola con la natura circostante, tra sensori elettrici e onde del mare. L’occhio dello spettatore è in grado di veder attraverso la telecamera, la stessa con la quale la scienza fa i conti con ciò che accade. Una fusione tra poesia e scienza, cinema e natura.

“Chiamalo matrimonio, chiamala sinergia tra la terra ferma e l’acqua.”

dice la voce narrante. È lì che il progetto diventa arte.

“Quando la ricerca scientifica raggiunge un livello di tale complessità, si eleva a gesto artistico.”

Eppure il film ci fa riflettere anche su qualcosa di più ampio: il futuro dell’energia e della sostenibilità. Le biosfere subacquee, oltre a proteggere le piante e a ottimizzare l’uso dell’acqua, ricordano da vicino altre sperimentazioni in mare, come le piattaforme di energia eolica o i sistemi per sfruttare le correnti marine. È come se la stessa superficie blu che per secoli abbiamo considerato solo un confine, oggi si trasformasse in uno spazio fertile per nuove forme di vita e nuove risorse.

Difatti Palmieri ci mostra quanto il mare possa diventare una sorta di laboratorio naturale: un luogo che non consuma terreno, che riduce gli sprechi e che apre la strada a un’idea diversa di convivenza con la natura. Non più uno sfruttamento lineare, ma una circolarità che avvicina il lavoro umano alle logiche dell’ecosistema.

In questo senso, Nemo’s Garden non è distante dalle narrazioni di altri documentari sul climate change o sulle energie rinnovabili. Un’opera che mette insieme due piani apparentemente inconciliabili: la freddezza del dato scientifico e la forza emotiva della visione poetica.

Una speranza per il futuro

L’opera non parla solo di tecnologia: parla di coesistenza. Di cosa significa costruire un habitat che i pesci imparano a riconoscere. Di quanto possiamo spingerci oltre senza distruggere ciò che ci circonda. L’agricoltura oggi consuma il 70% dell’acqua disponibile ed è tra i settori più vulnerabili. Proprio per questo Nemo’s Garden vuole essere un gesto di resistenza e di speranza.

Vuole rispondere alle seguenti domande e dubbi: quanto ci teniamo davvero al futuro e alla prossima generazione? Può esserci un equilibrio tra mare e uomo? Possiamo evolverci in modo tale da diventare dipendenti esclusivamente dalle nuove energie naturali? Il film ci lascia sospesi tra queste domande, tra pesci che nuotano accanto alle serre e quella luce finale che sembra aprire uno spiraglio, una possibilità.

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