Hollywood ha finalmente inciso il nome di Deepika Padukone sulla sua celebre Walk of Fame. E non si tratta solo di una bella notizia da prima pagina. È un gesto che risuona come uno squillo di tromba: qualcosa è cambiato. E stavolta, per davvero.
Perché Deepika Padukone non è una meteora né una semplice icona glamour. È una vera e propria macchina da guerra. Elegante, composta, ma inarrestabile. Ha conquistato l’India con film come Piku, Padmaavat, Chhapaak, ma nel frattempo ha stregato anche Cannes, il Met Gala, per non parlare del mondo della moda, facendo da testimonial per Cartier e Louis Vuitton, tra i tanti.
Oggi diventa la prima attrice indiana a ricevere una stella sulla Walk of Fame: non è più solo un’interprete, è il volto di un’intera industria che troppo a lungo è stata guardata attraverso un binocolo.

Deepika Padukone conquista la Walk of Fame. Ma dietro quella stella c’è tutta Bollywood, pronta a riscrivere le regole del cinema globale.
Un volto, una voce, un simbolo
Nata a Copenaghen nel 1986 ma cresciuta a Bangalore, Deepika Padukone porta già nel cognome l’eco di un’eredità imponente: suo padre è Prakash Padukone, leggenda del badminton indiano. Eppure il suo destino non seguirà le orme paterne. Modella per passione, sportiva per disciplina, attrice per vocazione: la sua carriera nasce sotto il segno del confine. Un confine che, da subito, ha saputo attraversare con naturalezza.
Il debutto cinematografico arriva nel 2006, ma è con Om Shanti Om, l’anno seguente, che esplode come stella assoluta del panorama Bollywoodiano. Recita accanto a Shah Rukh Khan, icona tra le icone, e conquista il pubblico con un doppio ruolo: Shantipriya, diva tragica e malinconica, e Sandy, ragazza moderna e scanzonata. Il film, un omaggio ironico e postmoderno al cinema degli anni ’70, diventa un cult. E lei, senza sforzo apparente, si impone come nuova promessa del cinema indiano.
Il salto di qualità
Con Piku (2015), commedia delicata e familiare di Shoojit Sircar, regala una delle sue interpretazioni più intense e misurate: è una giovane donna che si prende cura dell’anziano padre ipocondriaco, in un viaggio tra affetti, silenzi e piccole crisi quotidiane. L’attrice mostra una gamma emotiva autentica, senza orpelli, ed è forse qui che si intuisce quanto sia capace di sottrarsi, di farsi corpo quotidiano, gesto ordinario, senza mai perdere presenza.
Ma è con Chhapaak (2020) che rompe definitivamente ogni schema. Ispirato alla storia vera di Laxmi Agarwal, una giovane sopravvissuta a un attacco con l’acido, Deepika Padukone interpreta un ruolo difficile, crudo, scomodo. Lo fa con pudore e senza vanità, affrontando il tema con rispetto e forza. È anche produttrice del film, segno che il suo impegno è totale. Lontano dai lustrini, Chhapaak è una dichiarazione d’intenti: il cinema può (e deve) affrontare l’ingiustizia sociale. E Deepika, ancora una volta, si assume il rischio.
Padmaavat: l’attrice e l’icona
Non sorprende allora che nel 2018 la sua interpretazione in Padmaavat diventi molto più di un ruolo. Il film, sontuoso kolossal di Sanjay Leela Bhansali, racconta la leggenda della regina Rani Padmavati: donna forte, devota, eroica. Ma già prima dell’uscita nelle sale, il film diventa bersaglio di violente proteste da parte di gruppi nazionalisti indù. Si parla di oltraggio all’onore, di revisionismo storico, di offesa alla purezza culturale. Deepika Padukone viene minacciata di morte. Alcuni politici chiedono esplicitamente il boicottaggio. Le riprese vengono interrotte. Il film subisce tagli, modifiche e rinvii.
Lei non arretra di un passo.
Appare in pubblico, fiera, con lo sguardo diritto e il volto regale, come quello del personaggio che incarna. In quel momenento non sta più interpretando un ruolo: sta lottando per uno spazio. Per un’idea di libertà creativa, per un’identità che non si lascia intimidire. Il suo silenzio calmo, la sua presenza lucida, diventano una risposta più potente di qualsiasi comunicato ufficiale. Padmaavat, paradossalmente, finisce dunque per diventare una prova di resistenza. E la regina, fuori dal set, è reale.

Un estratto del film.
Una stella sul marciapiede… e il mondo ai suoi piedi
Nel comunicato della Hollywood Chamber of Commerce, il nome di Deepika Padukone brilla accanto a quelli di Emily Blunt, Rami Malek, Shakira. Un traguardo simbolico. Ma si sa, i simboli, a volte, rompono le dighe. Non in questo caso. Infatti l’attrice non si è trasferita a Los Angeles, non ha rinunciato al suo nome né si è piegata allo stereotipo della star “ibrida”. È rimasta dove doveva stare: in India a fare cinema indiano. Ma con una consapevolezza nuova, quella di avere addosso gli occhi del mondo.
Anche perché negli ultimi anni, Bollywood ha smesso di essere “folklore esotico”. Ha iniziato a pesare, a influenzare e a guadagnare.
Solo nel 2023, il cinema indiano ha incassato oltre 1,3 miliardi di dollari. Pathaan, Jawan, RRR: titoli che hanno fatto tremare i botteghini ben al di fuori dell’India. E a Cannes 2024, il Gran Prix speciale della giuria è andato proprio ad un piccolo film indiano tutto al femminile: All We Imagine as Light di Payal Kapadia, al suo primo lungometraggio di finzione. Segno che anche l’anima autoriale del cinema indiano ha iniziato a farsi sentire.
Diva globale e specchio di un’industria che cambia
Deepika Padukone è la sintesi perfetta della nuova Bollywood. Star nazionale con vocazione globale. Protagonista raffinata, testimonial di lusso, attivista per la salute mentale. È un ponte. E il suo successo fuori dall’India segna una svolta fondamentale: Bollywood non ha più bisogno di imitare Hollywood per farsi notare. Parla la sua lingua, e finalmente viene capita.
Non è un caso se la sua carriera ha segnato anche un cambio di passo narrativo: basta eroine decorative, basta sguardi maschili da cui dipendere. Deepika Padukone ha scelto ruoli complessi, ambigui, spesso dolorosi. Ha parlato di abuso, lutto, depressione senza retorica. È anche per questo che è stata scelta. Non per fare colore sulla Walk of Fame ma per dire molto chiaramente: “Qui ci siamo anche noi”.
Bollywood non è più un mondo a parte
Per anni l’Occidente ha guardato al cinema indiano con condiscendenza. Come se fosse un genere a parte. Come se ballare e cantare squalificasse una storia. Poi sono arrivati i record di Dangal in Cina, i numeri stellari di RRR, il culto globale di 3 Idiots e Lunchbox. E oggi, Bollywood è diventato un fenomeno globale, senza chiedere permesso.

Locandina del colossal RRR.
Perfino Netflix e Amazon Prime lo hanno capito: gli abbonati indiani sono milioni e la richiesta di contenuti locali cresce ogni mese. Ma ciò che stupisce è che questi contenuti iniziano a funzionare anche all’estero. Non solo nella diaspora ma anche tra spettatori europei, sudamericani, africani. E la cosa più bella è che non si tratta solo dei soliti kolossal. Anche il cinema indipendente inizia a farsi largo parlando una lingua più intima e personale.
Un cambio di paradigma. O di percezione?
Che un’attrice di Bollywood venga celebrata sulla Walk of Fame è dunque un enorme fattore indicativo: la direzione del vento sta cambiando. Fino a poco tempo fa, era l’India a cercare Hollywood. Oggi è Hollywood che, nel pieno della crisi creativa post-strike, guarda altrove. Verso sud. Verso est. Verso Bollywood.
Certo, la stella a Deepika Padukone non risolve tutti i problemi dell’industria: il sessismo strutturale, il nepotismo, la censura strisciante. Ma segna qualcosa. Forse non una rivoluzione ma una frattura sì. E basta guardarne i contorni per capire che da lì potrebbe passare una nuova idea di cinema globale, meno centrata, più coraggiosa.
C’era una volta l’India. Ora c’è anche al cinema
Il cinema indiano è una galassia. Dentro c’è Bollywood, certo. Ma anche Tollywood, Kollywood, il cinema bengalese, quello malayalam, quello marathi: un universo in espansione in cui Deepika Padukone è solo una delle tante stelle. Ma è quella che, vista dal nostro cielo occidentale, illumina di più. E il fatto che brilli proprio su un marciapiede americano non è affatto banale.
La verità è che per molto tempo il mondo ha guardato l’India come una riserva spirituale, folkloristica o tecnologica. Ora l’India parla anche di cinema e lo fa bene.
E se vi capita di passare su Hollywood Boulevard, provate a cercare la sua stella. Non perché sia la più luccicante ma perché è quella che segna un passaggio: Bollywood ha smesso di aspettare inviti ed è entrato dalla porta principale.