Dopo aver conquistato il pubblico con i primi due capitoli, Rocky Balboa torna su Prime Video con Rocky III, il film del 1982 che cambia le regole del gioco nella saga. Qui non si parla solo di un altro match sul ring, ma di una sfida molto più personale: Rocky si ritrova a combattere contro un avversario feroce, certo, ma anche contro le sue paure, i dubbi, la sensazione di aver perso quel fuoco che lo aveva reso speciale.
Se avete letto le nostre recensioni di Rocky e Rocky II, sapete già che al centro della saga c’è sempre stato qualcosa di più della boxe: la voglia di riscatto, le cadute, le difficoltà. E questo discorso vale ancora (forse ancora di più) per Rocky III. Non a caso il film esce in un momento chiave per Sylvester Stallone, a pochi mesi di distanza da Rambo.
Rocky III: la caduta del campione e la sfida più dura di sempre
Sono passati tre anni dalla vittoria contro Apollo Creed. Rocky è all’apice della sua carriera, celebrato ovunque e ricco di sponsor. Ma la gloria ha un prezzo: la fame che lo aveva portato a superare ogni limite sembra svanita, sostituita da un senso di sicurezza che si rivelerà pericoloso. Quando sul ring si presenta Clubber Lang, interpretato da un aggressivo e magnetico Mr. T, il mondo di Rocky crolla. Lang non è solo un avversario fisico; è l’incarnazione di quella rabbia e disperazione che Rocky aveva perso. L’incontro si trasforma in una disfatta: Rocky perde il titolo… e poco dopo anche il suo allenatore e mentore, Mickey. A salvarlo dall’abisso sarà un alleato inaspettato: Apollo Creed, il vecchio rivale, ora pronto ad aiutarlo a ritrovare il fuoco interiore.
Nuovi volti, vecchie ferite e un addio che fa male
Oltre a Stallone e Weathers, tornano Talia Shire nei panni di Adriana, Burt Young (Paulie), e ovviamente Mr. T, qui al suo debutto cinematografico in un ruolo che resterà iconico.
Clubber Lang è l’incarnazione perfetta degli anni ’80 più duri e spigolosi: cresta alla mohicana, catene d’oro, orecchini piumati, muscoli e rabbia. E se in tv Mr. T era un “buono” nella serie A-Team, qui è l’esatto opposto: un villain potente, quasi caricaturale, ma mai ridicolo. È l’antitesi del Rocky “addomesticato”, quello che si allena tra autografi e fan.
E a rendere tutto ancora più intenso c’è proprio lui: Mickey, il vecchio coach dal volto segnato di Burgess Meredith, che in Rocky III fa la sua ultima apparizione nella saga. L’unico che cerca di tenere Rocky con i piedi per terra, di ricordargli chi era davvero, prima della fama, dei soldi e delle copertine. E con la frase: “Hai fatto quello che fanno tutti. Ti sei civilizzato”, va dritto al cuore del problema, mettendo a nudo la vera crisi di Rocky e il motore emotivo di tutto il film.
La tensione emotiva tra i personaggi è palpabile: la morte di Mickey, il difficile rapporto con Adriana, la rivalità trasformata in amicizia con Apollo. Tutto contribuisce a una narrazione più matura, più drammatica e meno romantica rispetto ai primi due film.
“Eye of the Tiger” e una nuova identità
Il 1982 è l’anno in cui Stallone smette definitivamente di essere “il ragazzo che ce l’ha fatta” e diventa una vera star. Da promessa del cinema a nome da mettere in cima al cartellone per far riempire le sale. Non è più il pugile sconosciuto in cerca di un’occasione, ma un’icona. Proprio come il suo personaggio: Rocky Balboa non è più il pugile povero con la fame negli occhi, ma un uomo famoso, ricco, circondato da fan e sponsor. È diventato un simbolo, con tanto di statue, programmi TV, gadget e copertine patinate. Ma c’è un problema: quella stessa ansia che lo aveva portato in cima, adesso sembra sparita.
Rispetto ai capitoli precedenti, Rocky III è più veloce, più spettacolare, più anni Ottanta in ogni fotogramma. Dura appena novanta minuti e non perde mai tempo. I combattimenti sono meno realistici ma molto più cinematografici, e anche l’ambientazione cambia: si passa dalle palestre di periferia alle spiagge dorate e agli allenamenti a torso nudo al tramonto. Il montaggio serrato, le sequenze di allenamento girate in spiagge assolate, i ralenti durante i colpi decisivi. Tutto è pensato per esaltare lo spettacolo senza mettere in ombra il suo lato umano. Rocky è diventato un’icona, ma è ancora profondamente vulnerabile.
Il film racconta una decostruzione e una rinascita. Rocky cade, tocca il fondo, ma si rialza. E lo fa con fatica, dolore e sudore. Esattamente come ci aveva insegnato fin dal primo film.
Se i primi due film erano scanditi dalle note di “Gonna Fly Now,Rocky III è il film che porta alla ribalta Eye of the Tiger dei Survivor, diventata immediatamente un inno alla determinazione e al riscatto. La canzone fu scritta appositamente per il film e ottenne una nomination agli Oscar, ai Golden Globe e ai BAFTA nel 1983. La sua energia spinge Rocky e lo spettatore verso un climax emotivo che culmina nel nuovo scontro contro Clubber Lang.
Molti considerano Rocky III il “cugino minore” della saga, schiacciato tra l’intensità dei primi due e il patriottismo quasi mitico di Rocky IV. Ma rivederlo oggi, a oltre quarant’anni dall’uscita, fa riscoprire tutta la sua forza: è un film onesto, energico, con un messaggio semplice ma potente. E forse, anche per questo, è il capitolo che più di tutti parla al pubblico.
Curiosità su Rocky III
La canzone che Rocky ha lasciato a Karate Kid
Prima che Eye of the Tiger diventasse il grande successo legato a Rocky III, si pensava di usare un’altra canzone che poi è finita nella colonna sonora di Karate Kid, quella famosa You’re the Best di Joe Esposito. Tra l’altro, Eye of the Tiger è stata la canzone più ascoltata del 1982.
Rocky lancia la carriera di Hulk Hogan
Hulk Hogan, la star del wrestling, deve molta della sua popolarità proprio a Rocky III, dove ha interpretato il personaggio chiamato “Thunderlips” (o “Labbra Tonanti” nella versione italiana).
Rocky e i Muppet? È tutto vero
C’è un momento curioso in cui Rocky appare nel Muppet Show. In realtà si tratta di un episodio vero del famoso show televisivo, con Sylvester Stallone ospite d’eccezione, inserito poi nel film.
La statua di Rocky: da oggetto di scena a simbolo di Filadelfia
Prima di girare il film, Stallone fece realizzare una statua di bronzo alta quasi tre metri per celebrare Rocky Balboa. Dopo le riprese, la scultura fu donata alla città di Filadelfia e inizialmente posizionata sulle famose scalinate del museo d’arte. I critici però non la apprezzarono molto e la statua venne spostata vicino al palazzetto dello sport. Solo molti anni dopo è tornata nel posto originale e oggi è diventata un simbolo della città.