Prodotto da Propaganda Italia e Rai Cinema, Incanto (2025) è il nuovo film di Pier Paolo Paganelli in uscita al cinema il 3 luglio.
Dopo essere fuggita da un orfanotrofio in cui era tenuta prigioniera, Margot, una bambina di dieci anni, si imbatte in un circo magico che la aiuterà a vedere la vita in modo nuovo, a riappropriarsi del proprio passato, e a sottrarsi alle grinfie della perfida tutrice Felicia.
Con Vittoria Puccini nei panni di una cattivissima tutrice, il film racconta le peripezie della piccola orfana, Margot (Mia McGovern Zaini), costretta a lottare per ottenere finalmente la libertà. In questo viaggio però non sarà sola. Al suo fianco avrà nuovi amici circensi, come il presentatore del circo (Giorgio Panariello), forse un po’ matti, ma senza dubbio dal cuore buono.
In occasione del BCT Festival di Benevento, abbiamo parlato del film con il regista Pier Paolo Paganelli, Vittoria Puccini, e Maria Marzotto, la produttrice.
Incanto, la capacità di meravigliarsi come i bambini
Cos’è per voi l’Incanto?
Pier Paolo Paganelli: Io sono ancora “fresco” per rispondere, nel senso che ho una bambina di sei anni. Per me l’incanto è lei.
Vittoria Puccini: Per me l’incanto è legato allo stupore, alla capacità di non perdere quella dimensione che è tipica dei bambini: sapersi ancora emozionare, lasciarsi sorprendere da ciò che accade. Non diventare mai del tutto assuefatti. Il film racconta anche questo, il non abbandonare mai la dimensione del sogno, della fantasia. Personalmente, spero di non perdere mai la capacità di arrossire. È come custodire quella meraviglia interiore.
Maria Marzotto: Sì, c’è proprio una dimensione di meraviglia nell’incanto, una continuità dello stupore. Nel film, gli elementi circensi rappresentano una difesa di questa capacità di meravigliarsi. In un mondo come quello dell’orfanotrofio, che cerca invece di annientare ogni forma di incanto, i personaggi del circo sono come dei guardiani. E Margot viene, in un certo senso, protetta proprio da quel loro senso di meraviglia.
Una fiaba tra realtà e fantasia
Il film gioca molto sul confine tra realtà e fantasia. Esiste davvero questo confine? Come lo avete gestito nella costruzione dei personaggi e del film?
P.: Nella vita, realtà e fantasia si intrecciano continuamente. Ci sono eventi talmente assurdi da sembrare inventati, ma sono veri. E poi una favola ha una struttura chiara: c’è il bene, c’è il male, e puoi scegliere se il finale è lieto o no. Questo rende tutto più diretto, ma allo stesso tempo ci lascia spazio per giocare.
V.: Sì, è stato proprio questo l’aspetto più divertente: poter esagerare certi tratti. Con Pier Paolo ci siamo detti fin dall’inizio che volevamo rendere Felicia una vera cattiva da fiaba. Doveva spaventare, essere respingente, altrimenti la storia non avrebbe retto. La sfida era proprio questa: esagerare, ma restando credibili. Abbiamo cercato anche di costruire un’origine per la sua cattiveria: un trauma, una ferita, qualcosa che lei ha subito e che l’ha resa così refrattaria all’empatia. Non per giustificarla, ma per darle profondità.

Vittoria Puccini nel ruolo di Felicia in ‘Incanto’ (2025)
Felicia e il classico immaginario disneyiano
Vittoria, interpreti spesso ruoli positivi, luminosi. Cosa ti ha spinta, questa volta, a scegliere un personaggio negativo come Felicia?
V.: Interpretare una cattiva così, completamente cattiva, era una novità per me, ma è proprio questo che mi ha attratta fin da subito, sia nel personaggio che nella sceneggiatura. Sono stata molto contenta quando mi è stato offerto il ruolo.
Ti sei ispirata a qualche personaggio della letteratura o delle fiabe, magari anche del mondo Disney?
V.: Assolutamente. I nostri riferimenti erano proprio la matrigna di Cenerentola, ma anche Crudelia De Mon. Ci divertiva l’idea di renderla a tratti ridicola. Spesso le cattive, loro malgrado, risultano comiche, anche goffe, soprattutto quando perdono il controllo. All’inizio Felicia è molto fredda, glaciale e spietata, ma man mano che la storia va avanti comincia a perdere il controllo: la bambina che ha rinchiuso in una stanza riesce a fuggire, e lei sente che tutto il suo piano diabolico sta crollando. Da quel momento diventa sempre più cattiva, ma anche sempre più ridicola, proprio perché non riesce più a tenere il controllo.
Pier Paolo, perché hai scelto proprio Vittoria per il ruolo di Felicia? Cosa ti ha convinto?
P.: A mio avviso, il ruolo della cattiva, interpretato da una figura visivamente così attraente, crea un contrasto molto interessante. Quando guardi qualcuno di bello vieni attratto, ma se poi questa persona ti respinge con la sua cattiveria, genera un cortocircuito. E questo per lo spettatore è potente, perché non te lo aspetti. E per me questo era fondamentale: volevo anche rompere uno stereotipo.
M.: E poi, aggiungo, non è solo una questione estetica. Vittoria è talmente brava che si dà quasi per scontato, ma non lo è affatto. Serviva un’attrice che sapesse davvero dare valore a questo ruolo, altrimenti non avrebbe avuto senso costruirlo in questo modo.
La lavorazione del film
Com’è stato lavorare con i bambini sul set?
P.: Abbiamo visto tantissimi bambini, ed erano tutti meravigliosi.
V.: Sì, sì, “meravigliosi” lo dici tu… No, scherzo! Erano dolcissimi. Ma lavorare con i bambini non è semplice. Se si annoiano, si annoiano e basta. Per loro è un gioco, e finché si divertono va tutto bene. Quando non si divertono più, è finita.
M.: Tranne la protagonista– Mia McGovern – che è già un’attrice, davvero. Ha un modo di stare sul set incredibile, sembrava una di noi.
P.: Quando si lavora con i bambini, bisogna sempre stare sul pezzo. Perché spesso è buona la prima. Non puoi rifare infinite volte. Tutta la troupe deve essere perfetta tecnicamente, perché quando loro danno la scena buona… è quella. Non puoi permetterti errori.
V.: Per un attore è anche stimolante lavorare con loro. Ti restituiscono una verità, una spontaneità, un’istintività che per noi “grandi” è molto interessante da osservare. Sono molto meno finti di noi.
Che impressione avete avuto vedendo per la prima volta il film montato?
V.: Ho pensato: “Che figata!”. Mi è piaciuto tantissimo e mi ha emozionato. Una sensazione davvero positiva.
M.: Il montaggio è il momento della verità. È lì che capisci se la storia funziona. Il film è molto corale: le interpretazioni, anche quelle dei bambini, sono tutte sincere e sentite. È stato un momento molto emozionante. Cercavamo da tanto una storia per famiglie, un genere che in Italia è poco esplorato, soprattutto con questo tipo di tono. Siamo stati molto felici del risultato.
P.: Per un regista è un momento delicato, perché speri sempre di non aver fatto un disastro da mostrare al produttore… Ma è anche un momento di magia. Quando vedi che tutto ciò che avevi immaginato, girato e pensato, comincia davvero a funzionare, acquisti coraggio. Io ho seguito il montaggio h24, quindi non avevo più sorprese, conoscevo tutto a memoria. Però ci sono due o tre punti in cui, nonostante tutto, mi sono emozionato. Per alcune scene ancora mi scendeva una lacrima, e ho pensato: “Se succede a me che l’ho scritto e montato, allora forse succederà anche al pubblico”.
Sfide presenti e future del cinema italiano
Il film appartiene al genere fantasy. Il cinema italiano dovrebbe puntare di più su questo genere? È una strada possibile?
M.: Io penso che per il cinema italiano ci siano praterie da esplorare, soprattutto nei generi, e il pubblico ce lo sta chiedendo. In sala la gente vuole film che riempiano gli occhi, che offrano un’esperienza. E questo può avvenire in tanti generi diversi. Noi, come Propaganda, abbiamo sempre sperimentato. Crediamo che il cinema italiano abbia avuto un’epoca d’oro proprio quando produceva western, horror, polizieschi,… tutti film che erano anche a tutti gli effetti prodotti commerciali. Oggi si parla di “genere elevato”: cioè usare i codici stilistici del genere attraverso lo sguardo di un autore. È quello che faceva Sergio Leone, ma anche Stanley Kubrick – i suoi sono tutti film di genere. Quindi sì, ci sono tantissime possibilità e bisogna investirci.

Pier Paolo Paganelli, Vittoria Puccini e Maria Marzotto al BCT Festival di Benevento – credit © Alessia Giallonardo