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‘Taranto Chiama’ : il cinegiornale e l’inchiesta televisiva

La città dei due mari tra dolore e coraggio.

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Presentato nella sezione documentari Made in Italy di CinemAmbiente, uno dei più importanti Festival sull’ambiente attraverso il cinema, c’è Taranto Chiama, il docu d’inchiesta di Rosy Battaglia. L’opera è stata possibile grazie a un intenso lavoro di crowdfunding iniziato nel 2022.

Sinossi – Taranto Chiama

Mentre le narrazioni mainstream si concentrano sullo scontro fra lavoro e inquinamento, a Taranto sono i bambini a pagare il prezzo più alto della contaminazione. Madri, medici, artisti, attivisti, imprenditori e persino frati si ribellano per rivendicare giustizia, sfidando il potere dell’industria e dello Stato in una battaglia impari. La storia di una comunità che svela il proprio coraggio e la forte determinazione a costruire dal basso un nuovo modello di sviluppo, trasformando il dolore in bellezza.

La speranza nel dolore – Taranto Chiama

Già dal titolo speranzoso e combattivo, Rosy Battaglia evidenzia lo sforzo di denuncia e di grido sociale dietro al suo Taranto Chiama. Non è solo un’inchiesta, come spesso si fa parlando dell’Ilva e della città pugliese, inerente le problematiche lavorative dei cittadini tarantini. Quello che la Battaglia, invece fa, è mettere a fuoco le conseguenze umane e sociali dietro all’inquinamento dell’Ilva, sottolineando un popolo lasciato a se stesso dalle istituzioni ma sempre pronto a lottare, a non arrendersi per i propri figli e le generazioni future. In Taranto Chiama potrebbe, almeno all’inizio, disturbare il tono di costruzione documentaristica dato dalla Battaglia.

Perché difatti il suo lavoro si iscrive a metà tra l’inchiesta televisiva propria di un servizio di approfondimento, e un racconto da cinegiornale, genere che almeno da Frank Capra si è contraddistinto per il realismo bellico. Taranto Chiama parte da qui, dalla descrizione di una guerra nascosta per le istituzioni italiane ed europee, ma viva per i cittadini tarantini che devono convivere con la loro Chernobyl. Così la Battaglia ci descrive sempre col suo piglio giornalistico dettato dal proprio voice over d’inchiesta, di un ambiente svenduto, lasciato in una terra che sembra non esserci più . La filmaker però, a differenza di molti prodotti similari, preferisce utilizzare le conseguenze di una guerra per porre l’attenzione sull’aspetto più attivo della vicenda: uomini e donne che vogliono far sentire la propria voce nonostante tutto.

Non è un cinema del dolore

Il significato del docu ci viene riportato dalla stessa Rosy Battaglia, che, con l’autodefinizione del suo lavoro come cinema reattivo, pone l’attenzione sullo sguardo di un progetto del genere: creare un cinema che faccia vedere i problemi delle persone e le loro reazioni. All’interno di Taranto Chiama ovviamente ci sono le due componenti che rispondono a un prodotto generalista d’inchiesta: la parte giudiziaria e di rivendicazione dei diritti calpestati, e l’attenzione alle conseguenze della tossicità dell’Ilva con tutta la componente tumorale che si porta dietro. Nel suo giornalismo indipendente la Battaglia parte da lontano, da Trieste, come metaforico passaggio di staffetta tra un luogo in cui la battaglia è stata vinta con l’abbattimento della Ferriera, e la città dei due mari dove si combatte una guerra forse già persa in partenza.

Il coraggio di un popolo

Qui finisce un po’, almeno a metà film, lo sguardo di cronaca giornalistica della regista, per passare la mano a un popolo che con vari voci cerca di ribellarsi, creandosi una vita anche nell’inquinata Taranto: c’è, per esempio, il disegnatore che arriva da Los Angeles per fare ritorno nella sua Taranto e aprire la sua società di fumetti, dimostrando come si debba ripartire dall’arte anche nei luoghi e periodi più bui.

Ma la visione della regista, mentre mostra attentamente la cronaca processuale dell’Ilva, pone l’attenzione di Taranto Chiama su lavoratori e lavoratrici, donne e uomini, impegnati a contrastare l’abisso del quartiere Tamburi. Il docu ha questa tendenza di usare il processo, le proteste, come lo scenario di vere e proprie azioni ambientali. Il popolo tarantino, secondo lo sguardo della Battaglia, non può negare a se stesso di essere in una bolla incandescente, ma nemmeno rinunciare a vivere, alla sua salute pubblica e a un futuro più roseo possibile per i propri figli.

Taranto quindi chiama, in un documentario attento a riportare la tragedia della città dei due mari. E la voglia di una popolazione di mostrare al mondo istituzionale la propria voce, il proprio grido di non rassegnazione.

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