Paternale Leave è l’esordio alla regia di Alissa Jung con Luca Marinelli e Juli Grabenhenrich distribuito da Vision Distribution.
Qui per il trailer
In occasione dell’uscita al cinema abbiamo fatto alcune domande alla regista Alissa Jung.

Alissa Jung e il suo Paternal Leave
Paternal Leave secondo me intercetta uno stato d’animo molto contemporaneo in cui lo smarrimento generale ci spinge a cercare punti fermi. Da qui la spinta a ritrovare le proprie radici e dunque la presenza sempre maggiore di film – lo abbiamo visto a Cannes, ma anche nelle nostre sale – incentrati sul rinnovato confronto tra padri e figli. In questo senso Paternal Leave parte da una situazione classica di incomprensioni famigliari per portarci subito dentro i fatti, lasciando alle immagini il compito di raccontarci ciò che le parole non dicono.
Ero interessata a raccontare l’incontro tra una figlia e il suo padre biologico, finora assente. Mi sono concentrata molto su quel momento, cercando di esplorarlo attraverso i sentimenti che emergono nel corso di quel confronto. Il non sentirsi amata, la paura di non essere perfetto e di non essere all’altezza del ruolo sono alcuni di quelli destinati a emergere nel corso della storia.
In effetti concentrando la messinscena su Leo e Paolo senza altre intromissioni è come se tu volessi concedere ai protagonisti almeno per una volta il tempo necessario per spiegarsi e provare a conoscersi.
Sì, è un po’ questo a risuonare nel titolo, ovvero la richiesta che Leo fa al padre di prendersi quei giorni che non si è mai preso per stare un po’ di tempo con lei, dunque è come dici tu, volevo regalare a loro due qualche giorno per stare insieme.

Un’assenza per Leo
Che a Leo manca qualcosa lo capiamo dall’immagine che ce la presenta in cui la sfocatura suggerisce un’incompletezza ricollegabile alla mancata conoscenza del padre.
All’inizio pensavo che tutto dipendesse dalla mancanza di un padre, poi, nel corso delle mie ricerche, si è fatta strada l’idea che a mancare sia l’accettazione da parte della società e, per questo, anche della ragazza, che la vita possa andare bene anche senza la presenza di un padre. Sto ancora cercando di capire. Ciò che so è che, per crescere, serve l’amore di una persona adulta, non importa se maschio o femmina. Leo è cresciuta in un consesso dove l’assenza di un padre è considerata una mancanza grave, per cui ha finito per crederlo anche lei. La ricerca del padre le serve anche per fare chiarezza su questo concetto.
Il finale mi sembra lasciare aperta la questione che hai appena detto.
Alla fine del film tutti e due fanno un passo in avanti verso qualcosa di più onesto. L’importante è che al termine del viaggio fosse Leo a decidere la conclusione perché a suo tempo è stata lei a subire le decisioni degli altri.
Il finale è efficacissimo nel mettere Leo nella posizione di essere finalmente padrona della propria vita. Le prime immagini invece raccontano di un cambiamento improvviso e radicale perché quello di Leo è davvero un viaggio in un altro mondo. Considerando che anche Paolo è reduce da una vita raminga Paternal Leave è anche il racconto di due anime sradicate.
Sì, assolutamente: Leo e Paolo sono molto simili nell’essere sradicati, ma mentre Leo affronta la verità con l’onestà rivoluzionaria tipica di una quindicenne, Paolo la rifugge. A unirli è il senso di incompletezza e le paure di non essere all’altezza della situazione.
La maturità di Leo
Anche se è un uomo adulto nella testa Paolo è ancora un ragazzo. A un certo punto dice a Leo che la sua vita si è fermata a ventuno anni e un po’ è vero perché per certi versi Leo sembra più matura di lui.
Sì, Paolo è rimasto fermo lì perché da quel momento non ha più guardato a se stesso con onestà.
Di Leo racconti inizialmente la solitudine. Il fatto di non mostrare la madre limitandoti a farci sentire la sua voce al cellulare acuisce la distanza di Leo dal resto del mondo.
Sono d’accordo con la tua osservazione. Inoltre, la scelta di non mostrare la madre andava nella direzione di cui parlavamo prima e cioè quella di concentrare la storia sul complesso rapporto tra Leo e Paolo.
Per rappresentare il momento in cui la solitudine di Leo incontra quella di Paolo utilizzi lo stessa modalità. Anche in quel caso l’uomo è solo perché la sua bambina è presente solo attraverso la voce che fuoriesce dal walkie talkie.
Sì, è vero. Paolo è davvero solo. Leo ha la mamma e gli amici che la contattano, ma nella sua ricerca anche lei è molto sola.
Alissa Jung e la capacità di Leo
In questa prima fase il film continua a raccontarci la vita dei personaggi attraverso le immagini. Così succede nella sequenza all’interno del treno in cui l’escamotage con cui Leo riesce a evitare il controllo del biglietto ci dice come lei sia un’adolescente abituata a tirarsi da sola fuori dai guai.
Volevo arrivare con poche immagini all’essenza di questo personaggio per poi far partire la storia.
Quando Leo arriva in Italia la vediamo alle prese con difficoltà di ordine linguistico che il film risolve all’insegna della verosimiglianza, mantenendo inalterato l’idioma d’origine dei personaggi. Con quella scena che sancisce l’inizio del viaggio in Italia è come se tu volessi dichiarare l’istanza di realtà del tuo film lasciando intatte le prerogative linguistiche dei protagonisti e di chi li circonda.
Nel momento in cui ho deciso di raccontare questa storia, mi è venuta in mente l’idea che la figlia di Paolo provenisse da un altro paese. Questo fa sì che non abbiano neanche una lingua in comune per comunicare e che, per farlo, utilizzino un inglese basilare. Questa scelta mi ha dato la possibilità di esplorare la comunicazione non verbale che, come sappiamo, riesce a dire molto di più delle parole.
La scena di cui parli era centrale, perché mi offriva l’occasione di mostrare che in Italia non tutti parlano inglese, e di come Paolo, appartenendo a una generazione più giovane e viaggiando per fare surf, aveva avuto necessità di impararne qualche parola. Spero che il pubblico apprezzerà l’onestà di non doppiare il film, e quindi di far parlare i personaggi in tedesco, italiano e inglese, a seconda della loro provenienza e della loro capacità di esprimersi con le parole.
Un contesto credibile
Questa scelta rientra nelle caratteristiche di una regia che fa di tutto per mettere gli attori all’interno di un contesto credibile e onesto. Un principio, questo, che ha favorito la qualità delle interpretazioni messe in campo dagli attori.
Grazie tante, questo è davvero un grande complimento, perché come regista devi stabilire delle priorità, nella consapevolezza che non si può fare sempre tutto. La mia era raccontare questa storia con la maggiore onestà possibile, e dunque con una recitazione che lo fosse altrettanto. Per questo era fondamentale creare un ambiente in cui gli attori potessero lavorare in questa maniera. Abbiamo fatto un mese di prove in cui ci siamo costruiti una fiducia reciproca, e in cui abbiamo esplorato insieme le emozioni, come, per esempio, la rabbia o il dolore di essere rifiutato o rifiutata. Siamo riusciti a creare una famiglia, a stare insieme dentro le emozioni del film, e questo ha aiutato tutti noi: sia gli attori senza esperienza, sia un Luca con tanta esperienza… e anche me.
Anche la scelta degli ambienti ha contribuito alla caratterizzazione dei personaggi. Il mare d’inverno di Marina di Romea rimanda allo stato d’animo di Paolo che anche nel suo modo di vivere sembra determinato a sparire dal mondo. Basti pensare al bar nascosto in fondo alle dune, simile a una specie di tomba. Se fino a quel momento per Leo il padre non esiste incontrarlo significa riportarne in vita la persona.
Da quando ho iniziato a occuparmi di questa storia, avevo pensato a un luogo come Marina Romea, fuori stagione, in cui si sentono gli echi della vita che è stata. Avevo immaginato un padre che si protegge dal mondo grazie a questa duna, e Leo che arriva impetuosa come il mare. Quel luogo l’avevo sempre avuto in mente mentre scrivevo, e dunque è stato naturale girare lì.
A proposito dell’intromissione di Leo nella vita di Paolo, emblematica è la scena all’interno del pulmino in cui la carrellata sul paesaggio naturale è accompagnata dai suoni della musica elettronica che sembrano scuotere il torpore della natura circostante.
Sì, lei porta questa musica molto forte e in qualche maniera è anche un momento di prima connessione tra padre e figlia perché a lui piacciono quei suoni, piace quel modo di vivere la vita.
Un primo contatto tra padre e figlia
L’apertura di cui parli è scandita dal progressivo avvicinamento dei corpi dei due protagonisti che all’inizio si guardano da lontano, per poi ritrovarsi uno di fronte all’altro, separati dal tavolo dove Leo mette in scena un vero e proprio interrogatorio. Con il passare dei minuti li vedremo affiancati, uno accanto all’altro, sempre più vicini, mano a mano che la storia procede, per poi sciogliersi nell’abbraccio che precede la fine.
Sia in fase di scrittura, sia durante le prove, sapevamo che dovevamo essere molto precisi nello stabilire quali dovessero essere i momenti in cui Leo e Paolo hanno il primo contatto fisico. La scelta di farlo accadere nell’acqua, quando vanno a fare surf, non era casuale. In generale, ci interessava creare un linguaggio fisico che esprimesse le similitudini tra padre e figlia, cosa che accade, per esempio, nel modo di camminare e nei movimenti.
Una delle immagini più poetiche del film è il campo lungo sul pulmino in cui la collocazione dei personaggi, uno fuori e un altro dentro ripropone la separazione che fin lì ha caratterizzato il rapporto tra Leo e Paolo. A un certo punto attraverso il vetro dell’abitacolo Leo vede Paolo che canta la ninna nanna alla bambina ed è come se quell’immagine fosse la proiezione nostalgica di ciò che non è stato tra lei e il padre. Ancora una volta affidi alle immagini il compito di comunicare allo spettatore lo stato d’animo dei personaggi.
Quando ho deciso che Paolo aveva un’altra figlia, ho pensato a lungo a come affrontare la faccenda. In qualche maniera, quello è il primo momento in cui Leo si rende conto dell’esistenza di una figlia, sua sorella, che ha qualcosa che lei non ha avuto. Così mi è venuta in mente la scena della ninna nanna, in cui per un attimo Paolo appare come quel padre perfetto che, in realtà, non è. È un’immagine che Leo sognava da sempre e che ora ritrova riflessa su un vetro. Quando si addormenta, per la stanchezza del viaggio, ho immaginato che il sonno le arrivi sulle note della stessa ninna nanna che Paolo sta cantando alla bambina.
Sincronia nel film di Alissa Jung
Un’altra caratteristica che attraversa il racconto è quella di essere scandito dalla ricerca di una sincronia inizialmente inesistente e poi un poco alla volta sempre più evidente. All’inizio le azioni di Leo e Paolo sono scollegate: quando lei mangia lui non lo fa, quando lei dorme lui è sveglio. Quando il legame inizia a crescere quelle stesse azioni diventano sempre più condivise raggiungendo il culmine quando in una delle scene più simboliche Leo e Paolo sincronizzano il passo e la forma della loro camminata.
Queste cose accadono nel film perché penso succeda così anche nella vita, no? All’inizio, padre e figlia non hanno i mezzi per incontrarsi, per avvicinarsi davvero. Però, pian piano, anche grazie alla forza di Leo, che vuole a tutti i costi stabilire un contatto con Paolo, i gesti e le intenzioni iniziano a muoversi nella stessa direzione, fino a diventare un unisono.
Paternal Leave è il romanzo di formazione di Leo, ma anche di Paolo. In questo senso la scena della morte del fenicottero per quello che era stato detto all’inizio del film potrebbe suggellare il percorso di entrambi rimandando alla presa di coscienza che non esistono super papà. Da cui dando la possibilità per Leo e Paolo di avere un rapporto reale e non idealizzato.
La metafora del fenicottero può piacere o meno, ma mi sembrava giusto trovare un’immagine che raccontasse il percorso di entrambi: il momento in cui si smette di mentire a se stessi e si riparte da un’idea di imperfezione. Non l’immagine idealizzata del padre che canta la ninna nanna, ma un’altra, forse meno perfetta, ma più autentica, che può diventare il punto di partenza per costruire un rapporto vero, concreto, duraturo.
La protagonista del film di Alissa Jung
Nei panni di Leo Juli Grabenhenrich è a dir poco strepitosa. In particolare ti volevo chiedere di due scene che la vedono protagonista. La prima è un piano sequenza di lei che parla al telefono con la madre. La maniera in cui riesce a sostenere lo sguardo della mdp trasmettendo la solitudine di quel momento è davvero strepitosa. L’altra invece si riferisce all’abbraccio finale con Paolo. Come si arriva a scene così vere e intense?
Juli non aveva mai fatto cinema né teatro, ma a convincermi è stata la sua onestà estrema, in ogni cosa che diceva. Si vedeva che, a volte, aveva paura di entrare in scena, ma in lei prevalevano la voglia e il coraggio di esplorare, quella spinta tipica di chi recita con verità. L’onestà e il coraggio sono le due cose che cerco negli attori, perché sono proprio quelle che, secondo me, portano a risultati come quelli che avete visto nel film. Sul set siamo riusciti a creare un’atmosfera in cui gli attori potevano fidarsi di me. Sentirsi protetti è fondamentale per spingersi nei territori più scomodi, perché un attore, davanti alla macchina da presa, si mette sempre un po’ a nudo. E questo lo rende vulnerabile. Nella scena del telefono, ero io a dare le battute della madre, che ovviamente non era presente sul set. Avevo studiato i dialoghi e li ho recitati fissando un piccolo monitor, a un metro da lei. In quel momento eravamo solo io, Juli e la DoP Carolina Steinbrecher, sedute nella foresta. È stata una sfida, ma l’intimità che si è creata tra di noi ha permesso a Juli di affrontare quella scena con tutta l’intensità che avete visto.