Ci sono alcuni momenti nella storia del cinema che non solo definiscono la carriera di un regista, ma riscrivono le regole dell’intero settore. Per Steven Soderbergh, guardare Lo Squalo per la prima volta non è stata solo un’esperienza cinematografica, ma un vero e proprio fulmine a ciel sereno.
“Sopraffatto”, ricorda. “Su molti livelli”. E chi non lo è stato? Quando Lo Squalo uscì nel 1975, non spaventò solo gli amanti della spiaggia; riorganizzò l’aspetto, il sound e le sensazioni di un blockbuster.
Parlando con Deadline in vista del 50° anniversario del film, Soderbergh non si tira indietro nel suo rispetto per il lavoro di Spielberg.
“Probabilmente era il film più cinematografico che avessi mai visto fino a quel momento”,
dice, meravigliandosi del mix esplosivo di altissima concezione e regia virtuosistica. Ma nonostante tutta la tensione, l’iconica colonna sonora di John Williams e quella famigerata pinna dorsale che fende le acque calme, Soderbergh insiste sul fatto che ciò che distingue davvero Lo squalo non è lo squalo, ma le persone.
Lo splendore sotto la superficie
Ciò che distingue Lo squalo, secondo Soderbergh, è il suo “lavoro sui personaggi” e la comprensione intuitiva della struttura narrativa da parte di Spielberg – ciò che Stanley Kubrick una volta definì “unità narrative sommergibili”. Ogni scena ha uno scopo, ogni scambio accresce la profondità emotiva della storia. Il film non parla solo di una città terrorizzata da un grande squalo bianco; parla degli attriti tra le istituzioni, della tensione tra scienza e mito e di tre uomini su una barca, ognuno con i propri fantasmi.
Quando Spielberg decise di esplorare il motivo per cui Quint odia così tanto gli squali – dando vita all’iconico discorso di Indianapolis – non si trattò solo di un capolavoro di sceneggiatura, ma di una narrazione umana al suo meglio.
“Ha senso che, parlando di questa storia, qualcuno si chiedesse: ‘Ehi, perché Quint odia così tanto gli squali?’ E che si cercasse di rispondere a questa domanda”,
osserva Soderbergh. Che si trattasse di Howard Sackler o di un’altra voce nella stanza degli sceneggiatori, la decisione di andare fino in fondo trasformò il marinaio capitano da caricatura a figura tragica.
Niente CGI, niente rete di sicurezza
Ma se Lo Squalo venisse realizzato oggi? Probabilmente non verrebbe realizzato affatto. Soderbergh si meraviglia della pura follia di come il film sia stato fisicamente realizzato.
“Erano là fuori, in mezzo a un fottuto oceano”,
dice.
“Quello squalo era solo un dispositivo pneumatico meccanico, nell’oceano vero e proprio”.
Niente green screen. Nessuna scorciatoia digitale. Solo una squadra ostinata e un pesce robotico notoriamente poco collaborativo che galleggia (o affonda) nell’Atlantico. Ed è proprio per questo che Lo Squalo resiste: sembra reale perché lo era.
Per usare le parole di Soderbergh, non c’è stato alcun progresso tecnologico da allora che avrebbe reso più facile fare quello che stavano facendo. E c’è qualcosa di quasi spirituale nel modo in cui lo dice, come se Spielberg e la sua troupe avessero affrontato una prova cinematografica in acqua, emergendone dall’altra parte con un film che avrebbe segnato (e definito) i successivi cinquant’anni di cinema.
Spielberg contro il Mondo
Soderbergh offre anche un’audace interpretazione:
“Non c’era nessun altro regista al mondo che sarebbe potuto sopravvivere e realizzare Lo Squalo. Nessuno degli altri prodigi degli anni ’70 – Scorsese, Coppola, De Palma, Lucas – avrebbe potuto farcela.”
Spielberg non era solo particolarmente adatto al materiale; era l’unico in grado di padroneggiarlo.
“Penso che Spielberg avrebbe potuto fare una variazione di uno qualsiasi di quegli altri film. Ma non avrebbero potuto fare Lo Squalo”.
Non è solo un complimento, è un’incoronazione. Per Soderbergh, Lo Squalo segna il momento in cui Spielberg è esploso sulla mappa cinematografica mondiale, un talento irripetibile armato di una macchina da presa, uno squalo e un tempismo incredibilmente abile.
Ancora vivo
Cinquant’anni dopo, Lo Squalo non è solo una reliquia del cinema degli anni ’70 o una nota a piè di pagina storica nei blockbuster estivi. È ancora vivo nel sangue del cinema, citato, venerato e rivisto da ogni regista che sogna di creare qualcosa di veramente duraturo. “Continua a migliorare”, insiste Soderbergh. E ha ragione.
Perché Lo Squalo non parla solo di ciò che si nasconde negli abissi. Riguarda ciò che si nasconde dentro di noi, e Spielberg, armato solo di uno squalo meccanico e di una visione, ci ha fatto temere di guardare troppo da vicino.
Fonte: Deadline