Una fattoria nell’Altmark, tra i primi del Novecento e fino ai giorni nostri, è lo spazio fisico e simbolico dove si situano e si consumano le esistenze di quattro generazioni di ragazze, con le rispettive famiglie, unite da un sottile fil rouge di sorellanza e da un misterioso tramandarsi delle dolorose memorie del passato.
Così la regista Mascha Schilinski, nel film Sound of Falling, titolo originale In die Sonne schauen (Fissando il sole), presentato in Concorso al Festival di Cannes 2025, costruisce un magnifico dramma ‘universale’ a tutto tondo, che investe epoche e personaggi, con uno stile del tutto inusuale, gotico e a tratti onirico, con immagini che sfiorano l’horror sofisticato.
La Schilinski, che ha anche co-sceneggiato il film insieme a Louis Peter, manifestava, già nei cortometraggi da lei realizzati, al centro dei suoi interessi tematici, i legami tra madri e figli, il ruolo dei padri, gli intrecci familiari e relazionali, la paura dell’abbandono e il desiderio di esclusività di bambini e giovani rispetto all’amore ed all’attenzione dei genitori.
In Sound of Falling ritornano con forza gli stessi elementi mescolati magistralmente: abbracciando lo spazio temporale di quasi un secolo, la narrazione si sposta tra personaggi ed ambiti differenti, chiamando a raccolta – in un riuscito mix di stili e contenuti – realtà, superstizioni, fotografie d’archivio, psicoanalisi e tragedia greca.
Quadri familiari in un esterno
I quattro differenti affreschi storico-temporali, che seguono la vita da bambine o adolescenti di Alma, Erika, Angelika e Lenka, non compaiono in sequenza cronologica ma si inseguono ed intrecciano gli uni con gli altri componendo quadri individuali e collettivi, che si scopriranno poco a poco interconnessi, ma con un elemento in comune: i destini delle giovani protagoniste, che vivono – in diversi momenti – in una fattoria in mattoni rossi, a pianta quadrangolare, della campagna tedesca, sono uniti in modo imponderabile, in parte per legami familiari, ma soprattutto dalla casa, dal cortile, dai fienili e dal fiume circostante.
Sempre e comunque il più forte dei legami è quello delle tracce di memoria residue assorbite dalla casa stessa, in un passaggio psicoanalitico e spirituale, silente e trasmesso solo dall’aura delle mura, fra le giovani protagoniste depositarie di emozioni, sofferenze e frustrazioni vissute in prima persona o assistite passivamente, mentre altri le subivano.
Nel quadro di apertura una grande famiglia dei primi del Novecento, composta da una coppia di proprietari in decadenza con molte figlie e figli, intrisa di spirito sacrificale e puritano, si prepara alla Prima Guerra Mondiale infliggendo ai figli indicibili pene corporali e psicologiche, in vista di un presunto interesse superiore.
Le domestiche della casa vengono fatte sterilizzare (nessuno ne parla ma tutti lo sanno) per poter offrire, senza conseguenze e senza chiederne il parere, piacere sessuale ai fattori ed operai della fattoria. Alma, la piccola della famiglia, fa domande ed osserva tutto e dal suo occhio assistiamo alla descrizione del rito locale dedicato al Giorno dei Morti, nel quale vengono esposte le fotografie di ogni parente scomparso, fatte fare con cura ad ogni defunto abbigliato in elegante abito nero, cui ciascun membro della famiglia è tenuto a rendere omaggio.
Amputazioni, traumi e fantasmi
In un’altra sezione, la giovane Erika, viene ripresa e picchiata dal padre perché trascura i doveri della fattoria, affascinata dai disegni e dalla figura di suo zio, il fratello più grande della piccola Alma, che fin da giovane ha una gamba amputata: il tema dell’amputazione, della violenza, fisica e psicologica, ricorre fra le pieghe del film (come per le domestiche) creando traumi mai risolti che saranno successivamente raccolti da altri. Il destino di Erika è segnato, durante una fuga per salvarsi, dal fiume che separa le Germanie Est ed Ovest.
Angelica, la nipote di Erika, raccoglie, nel terzo quadro (anni Ottanta) il testimone tra le anime femminili: una ragazza inquieta, tormentata, in cerca di identità e conferme dal genere maschile: fra queste prevalgono le attenzioni dello zio Uwe, e l’amicizia particolare con il cugino Rainer. Il cortile della casa è animato da giochi e lazzi (notevole la presa al volo delle anguille in un secchio passando con la bicicletta), da scene familiari e comunitarie di una campagna coltivata da agricoltori della Germania dell’Est. Fiume e fienili sottolineano il susseguirsi delle stagioni e dei protagonisti, il ruolo predominante della natura, nelle estati vissute all’aperto, così come testimoniano le sofferenze personali di giovani e adulti (la sorella di Erika, madre di Angelica non si è mai ripresa dagli eventi legati alla sua scomparsa nel fiume).
Infine, ai giorni nostri, compare in scena una famiglia di berlinesi, madre, padre e due figlie, che acquista la fattoria per ristrutturarla e trascorrere le proprie vacanze: il seme del male e le tracce del passato s’insinueranno, in maniera sottile, nella loro vita tranquilla e gioiosa, insospettabilmente, come una sottesa maledizione.
Il passato e le sue tracce: fotografare volti e ricordi per le vite future
In tutto il film aleggia una profonda riflessione sulla morte e sul post-mortem, un’ombra che pervade anche le gioie più grandi. La poetica della regista è complessa e non si fa cogliere in maniera diretta, al contrario aleggia nella bellezza della natura, nella fisicità e psicologia dei bambini (corse a perdifiato, nuotate nel fiume, domande imbarazzanti) e degli adulti (la sessualità, o il desiderio, la ricerca di senso, la relazione come sponda o affondo), nell’approccio sensoriale diffuso.
Fondamentale, nel corso dell’intero film, l’utilizzo dell’immagine fotografica come traccia del passato, e mezzo privilegiato per immortalare e dilatare l’istante presente, catturando la vita che scorre rapida e inesorabile in rivoli imprevedibili.
Dalle foto dei primi del Novecento, al ‘miracolo’ della Polaroid (tutti i membri della fattoria ne rimangono incantati), al di là dell’evoluzione tecnica, ci si pone come accade di fronte ai vecchi album di famiglia, che aiutano a ricordare il nome e le storie di lontane zie o cugini, così come qualcuno un giorno manterrà, per le generazioni future, tracce delle vite che li hanno preceduti, in qualche caso lasciando riemergere emozioni, positive o negative.
““Ci sono spiriti e fantasmi in ciascuno di noi – afferma la regista – e fantasmi che vivono nella vecchia fattoria del film, abbandonata da 50 anni”.
Per trovare le giovani attrici di questo film sono stati fatti centinaia di provini: bravissime le bambine e ragazze selezionate (fra queste, Hanna Heckt, Lena Urzendowsky, Laeni Geiseler, Susanne Wuest, Luise Heyer, Lea Drinda), e l’intero cast di attrici ed attori ottimamente diretti.
Un film che lascia anch’esso delle tracce indelebili e che potrebbe candidarsi a ricevere qualche premio nella presente edizione del Festival di Cannes.