L’origine del mondo, esordio al lungometraggio di Rossella Inglese, è al cinema dal 5 maggio con Europictures. Giorgia Faraoni racconta la genesi del personaggio di Eva, il suo sviluppo e la sua crescita, ma soprattutto pone l’accento sull’importanza di capire quanto il senso di colpa è un nostro preconcetto: il successivo liberarsi e perdonarsi è ciò che porta a una crescita e a un’evoluzione. È da qui che ha origine la libertà.
L’origine del mondo una storia di colpa e nuovi inizi
Ne L’origine del mondo interpreti il personaggio di Eva, diciannovenne in cerca di redenzione. In che modo hai lavorato sulla trasformazione fisica e mentale, nella costruzione del personaggio?
Eva è una ragazza di 19 anni, quindi più piccola di me; per quanto io sia vicina a quella fascia d’età c’è stato da parte mia un lavoro di ricerca, per ritrovarmi in quell’uragano di emozioni che è l’adolescenza. Dapprima una ricerca attraverso altri film, su quell’aspetto un po’ “teen”, in più c’è stato uno studio psicologico. Eva si ritrova incastrata in dinamiche pesanti, molto intense, nelle quali porta un dolore, un peso. Il mio studio è stato prevalentemente di tipo psicologico, ho cercato di scavare dentro la sua personalità e capire le sue ragioni, capire che cosa cerca, a che cosa serve a lei questo viaggio, perché si ritrova in tutte queste circostanze che non sono di per sé sbagliate, ma la portano a vivere situazioni un po’ tristi. Dopo aver studiato tutta la parte mentale, mi sono accorta che il fisico ha risposto di conseguenza. All’apparenza c’è stato un lavoro anche fisico, ma non è stato del tutto voluto, è stata più una conseguenza. Man mano che entravo nel vivo della storia mi rendevo conto che mi ingobbivo, mi cambiava lo sguardo. Proprio perché il lavoro psicologico è stato fatto in modo talmente intenso che anche il corpo, la postura, hanno reagito di conseguenza.
Gli adolescenti vivono di per sé delle dinamiche complesse, e la situazione in cui si trova Eva metterebbe alla prova anche una persona adulta. L’idea che ti sei fatta del personaggio di Eva, nella sua complessità, è cambiata nel corso delle riprese? Se sì, in che modo?
Sì, inizialmente l’ho giudicata, ma più nel senso di: “Ma perché fa tutto questo?”. Poi, con Rossella, ci siamo soffermate sulle sue scelte, mosse dal suo forte senso di colpa, che l’hanno portata in varie direzioni. Ho quindi cercato di proteggerla. Sono entrata così in empatia con Eva, e successivamente ho visto in lei una grande purezza che mi ha portato a trattarla un po’ con i guanti, perché la sentivo molto fragile. Ho avuto poi la fortuna di girare il finale del film verso la fine delle riprese, un finale aperto dove non c’erano dialoghi. Rossella mi ha detto: “Quando arriviamo lì vediamo che cosa ha suscitato in te questo viaggio che hai fatto insieme a Eva”. Siamo stati sul set per due mesi intensi, in cui ero solo Eva, senza interruzione. Nel finale ho trovato una forza incredibile in lei, che non pensavo arrivasse. In questa forza, questa spinta nel reagire, nell’essere libera, nel perdonarsi ho trovato una luce, una speranza che all’inizio non c’era, perché e tutto molto cupo sia in lei che nel film. Questa forza incredibile ha insegnato tanto anche a me.
Quindi la continuità che c’è stata nelle riprese si è trasferita nel tuo rapporto con il personaggio.
Molto, ovviamente non c’è stato un ordine cronologico fin dall’inizio delle riprese, per esigenze pratiche, però la fortuna di poter girare il finale nell’ultima settimana ha dato maggiore continuità. Oltretutto, io da Biella non me ne sono mai andata per tutto il periodo delle riprese. Sono arrivata anche un po’ prima, per entrare in contatto con questa cittadina. Biella è molto fredda, molto cupa di suo, ci sono pochissime persone. Ti porta dentro il tormento che hanno i personaggi perché il luogo è parte di loro, è parte del loro tormento. Verso la fine mi sono detta: “Io, Giorgia, cosa ho imparato da tutto questo?”. Alla fine, è come se Giorgia e Eva si fossero completamente mescolate.

L’atmosfera cupa del film è molto intensa, ma è in accordo con la delicatezza dei temi che affronta. Hai sentito un senso di responsabilità nel raccontarla?
In parte sì. Avendo già lavorato con Rossella nel precedente cortometraggio ho avuto modo di conoscere la delicatezza con cui lei stessa racconta le cose. Quindi sì, è una storia forte con temi delicati. Il film si apre con un video di Eva, che viene diffuso online. Il revenge porn è il tema iniziale. Anche se poi non viene ripreso è il fulcro del film, un elemento molto importante e delicato. Una volta dentro è stato il film stesso a guidarmi. Rossella ha questo modo fantastico di girare, che avevo visto già durante le riprese del corto: una volta che entri nel set se ne respira l’atmosfera, il tempo si ferma letteralmente. Infatti, è un film molto lento, ma e proprio questa aura, questa bolla che ti circonda, ciò che io sentivo non appena scattavano le riprese. La delicatezza è arrivata in modo naturale proprio perché, quando entravamo nel set, ci sentivamo sospesi in un altro mondo: questa è la magia di Rossella.
L’adolescenza è un’età in cui spesso c’è poca corrispondenza tra i propri desideri e il modo in cui vengono espressi. Immagino che il desiderio giochi un ruolo fondamentale nel rapporto che ha Eva con se stessa, e con il suo essere donna. Che rapporto ha Eva con il desiderio?
Eva ha con il desiderio un rapporto conflittuale di amore e odio. L’adolescenza è un’età nella quale siamo tutti molto curiosi, ma allo stesso tempo c’è molto giudizio, e molta paura. Il suo rapporto con la sessualità, e la scoperta di se stessa, vanno di pari passo. Entrambi i protagonisti sono mossi da un grande senso di colpa, fin dall’inizio del film. Nonostante quello che le succede – lei è vittima di revenge porn – Eva si sente responsabile, ed è vittima anche del giudizio degli altri. Per quanto sembra che se ne freghi, in realtà le pesa molto il giudizio degli altri. Oscilla tra il voler scavare a fondo per scoprirsi, e sentirsi in colpa, responsabile. Anche Bruno l’aiuta in questo, finché poi non riesce a liberarsi. Quindi c’è un desiderio, c’è una curiosità, c’è una voglia di scoprire ma a spingerla c’è anche l’odio: è un po’ un’arma a doppio taglio.
Anche il senso di colpa, nelle sue dinamiche, è uno dei temi centrali del film. Un senso di colpa che a tratti sembra scontrarsi con il peso della responsabilità. Se esiste questo conflitto tra colpa e responsabilità, in che modo pensi che il film sia risolutivo in questi termini?
Il senso di colpa è un po’ il minimo comune denominatore tra Eva e Bruno. Sono due anime che vivono fortemente il senso di colpa e un odio verso se stessi, nel senso che non sono in grado di esprimere le loro emozioni, fanno fatica, ed è questo il collante che li lega. Infatti, è stato bello capire quanto il senso di colpa sia un nostro preconcetto, e il successivo liberarsi e perdonarsi, ed è quello che imparano i nostri protagonisti. Quello che ha imparato Eva, e che ho imparato anche io, è proprio come riuscire a liberarsi dai preconcetti, per poi perdonarsi. Da lì poi riesci a crescere, a evolvere, perché è normale fare delle scelte sbagliate, come è normale volersi ritrovare. Essere liberi è la soluzione, e il senso di tutto questo viaggio sta proprio nel liberarsi da questo costante giudizio e pregiudizio che ci si sente addosso.
Il film nasce dalla ricerca artistica della regista, Rossella Inglese, sul corpo femminile. Avendo già interpretato il personaggio di Eva nel cortometraggio del 2021, pensi che ci sia continuità tra la Eva del cortometraggio e quella del film? Il tuo approccio interpretativo è cambiato?
Ho avuto la fortuna di girare anche il corto, e già lì era abbozzata l’idea di un personaggio femminile, di come le ragazze abbiano voglia di scoprirsi ma si sentano in colpa nel farlo. Quindi sì, era più o meno lo stesso personaggio. Ovviamente nel film ci sono altre dinamiche, c’è l’incidente, si va molto più a fondo e in modo più intenso. Era però un lavoro già iniziato con il cortometraggio. Sono poi riuscita a entrare molto nel personaggio di Eva perché una parte della storia è autobiografica. Rossella lo dice chiaramente. Il suo punto di vista ha permesso anche a me di entrare ancora più a fondo nella sua psiche, e sono onorata del fatto che abbia voluto condividere questa cosa con me. Ho poi cercato di mettere del mio, che è quello che cerco di fare un po’ con tutti i miei personaggi, perché se non sono importanti per me, se non li sento vicini, non riesco a metterci una parte di me: è per questo fondamentalmente che faccio questo lavoro. È stato bello riuscire a fondere la parte di Rossella, la mia, e quella di Eva in un unico lavoro. Magari è proprio per questo che io stessa ho sentito così intensamente questo ruolo, è un po’ un piccolo embrione.
Quando Eva e Bruno si incontrano, nonostante la differenza d’età – Eva ha 19 anni mentre Bruno (Fabrizio Rongione) ne ha 45 –, sembrano riconoscersi nel dolore. C’è qualcos’altro, oltre alla sofferenza, che favorisce il loro “incontro”?
Secondo me a favorirne l’incontro è stata proprio l’incapacità di entrambi, anche se in modo diverso, di esprimere le loro emozioni. È stato più come se le loro anime si fossero viste, a prescindere dall’età, che è solo un numero. È iniziato tutto dalla sofferenza e da questo forte senso di colpa. Tutto legato all’incapacità di esprimersi. Infatti, anche tra di loro non ci sono grandi dialoghi, non parlano, ma i loro occhi, quello che si vede dietro i loro occhi è quell’essere uguali che ha permesso loro di riconoscersi. E nonostante la differenza di età, i differenti contesti, le differenti situazioni emotive per le quali soffrono, entrambi riescono a trovare loro stessi, a liberarsi dai propri preconcetti e a capire le emozioni e come viverle, senza giudicarsi. Ed è quello che provano un po’ a fare insieme.
Quindi paradossalmente è stata proprio l’incomunicabilità tra loro a permetterne “l’incontro”.
Esatto, perché era un’incomunicabilità che avevano verso l’intero mondo. Eva, nella prima parte del film, è molto arrabbiata con tutti: il suo modo di esprimersi, la rabbia che prova anche verso se stessa, è la stessa che ha anche Bruno. Tramite il loro dolore comune è come se, pian piano, si fossero liberati dal loro tormento, riconoscendosi l’una negli occhi dell’altro. Almeno, io l’ho vissuto così.
