Il vincitore del Bergamo Film Meeting
È Gina di Ulrike Kofler (Austria, 2024) il film vincitore della Mostra Concorso della 43a edizione di Bergamo Film Meeting. Al film, che è stato votato dal pubblico, è andato quindi il Premio Bergamo Film Meeting del valore di 5.000 euro.
Un riconoscimento, quello del festival orobico, che da un lato può rendere fiera l’autrice, considerando la media qualitativamente piuttosto alta del concorso di quest’anno; ma che dall’altro è potenziale indice dei gusti di un pubblico tanto competente quanto appassionato, tale cioè da farsi trasportare dai sentimenti, solo però al cospetto di opere sincere, oneste e di certo non zuccherose.
Genuina, urticante, coinvolgente sul piano emotivo ma senza alcun intento ricattatorio è senz’altro l’opera seconda della regista austriaca, che meno ispirata ci era parsa nell’esordio al lungometraggio ovvero in La vita che volevamo, ma che gli addetti ai lavori conoscono e stimano soprattutto per l’efficace montaggio di film diretti da altri, su tutti Il corsetto dell’imperatrice di Marie Kreutzer.

Spaccato agrodolce di un’infanzia difficile
Protagonista di Gina è per l’appunto Gina, Angelina all’anagrafe, bambina di nove anni dalla maturità impressionante ma spinta verso l’inevitabile punto di rottura da una situazione famigliare decisamente borderline. In pratica è lei a doversi prendere cura dei due fratellini più piccoli e a preoccuparsi sul serio del bebè, il quarto della scombinata famiglia, in arrivo. La giovane madre si dimostra infatti totalmente inaffidabile, a partire dalle improbabili compagnie maschili di cui si è sempre circondata, per approdare poi a quelle pesanti ricadute nell’alcol e alle reazioni impulsive, autodistruttive, del tutto irresponsabili, che rischiano sin dall’inizio di far finire i figli in affidamento o in qualche struttura. Ma, come rispecchiasse la classica “coazione a ripetere”, l’analisi comportamentale della madre è inscindibile da quella della nonna di Gina, inguaribile narcisista che si culla nell’illusione di un’eterna giovinezza e il cui sostanziale egoismo risulta guarda caso persino più evidente di quello trasmesso alla figlia.
Ulrike Kofler, in sintonia con la schiettezza quasi disarmante del cinema austriaco contemporaneo, è implacabile nel delineare i contorni di un assetto famigliare così dichiaratamente disfunzionale, su cui vanno ad incidere figure maschili ugualmente immature o comunque pavide, lo stigma sociale reso palpabile dagli sguardi e dalle reazioni dei vicini, l’immancabile intervento dei servizi sociali.
Ma la regista non vuole neanche dare al racconto uno sbocco univoco, completamente negativo, per cui se i gesti generosi ed empatici dal mondo adulto tendono a latitare, è proprio la piccola Gina a offrire un saggio di forza di volontà, cercando di tenere unità la famiglia oltre ogni ostacolo e di contrastare così un destino che sembrerebbe segnato.

Le parole dell’autrice
“Gina è un ritratto familiare di tre generazioni visto attraverso gli occhi di una bambina di nove anni, la maggiore di tre fratelli, con un altro bambino in arrivo. Mi interessano i modelli che si ripetono e quanto sia difficile sfuggire a ciò che sembra essere una ruota del destino che gira all’infinito”
Queste le parole della regista, la quale oltre a esibire uno stile diretto e senza troppi fronzoli, ben modulato intorno a una colonna sonora di notevole impatto, ha puntato con decisione alla compattezza di un cast visibilmente partecipe del progetto, per rendere credibile un simile microcosmo famigliare. E tra gli interpreti ci piace segnalare, nei panni di una solerte assistente sociale, la carismatica Ursula Strauss, cantante ed attrice austriaca che ricordiamo in una miriade di film tra cui Fallen (2006) di Barbara Albert e Revanche – Ti ucciderò (Revanche, 2008) di Götz Spielmann.
