Netflix si avventura nuovamente nel genere carcerario con Cella 211, una miniserie messicana che riprende le fondamenta dell’omonimo film spagnolo del 2009, diretto da Daniel Monzón. Con un cast guidato da Diego Calva e Noé Hernández, la serie promette un viaggio claustrofobico e adrenalinico nelle profondità di un carcere messicano, dove giustizia e sopravvivenza diventano concetti labili e sfumati.
La legge della giungla dietro le sbarre
Juan Olvera (Diego Calva), un giovane avvocato impegnato nella difesa dei diritti umani, si reca in un carcere di massima sicurezza a Ciudad Juárez per incontrare un detenuto. Il destino lo coglie alla sprovvista quando una rivolta esplode con violenza brutale, costringendolo a un’improvvisa metamorfosi: per restare vivo, deve camuffarsi da detenuto e adattarsi rapidamente alle regole spietate della prigione. Il suo percorso s’intreccia con la figura carismatica e temuta di Calancho (Noé Hernández), il leader della rivolta, dando il via a un’escalation di tensioni e rivelazioni drammatiche.

Diego Calva nei panni di Juan Olvera
Un ritratto viscerale del carcere messicano
La regia di Cella 211 sceglie un approccio iperrealista, immergendo lo spettatore in un ambiente soffocante e violento, reso ancor più autentico dall’uso di una fotografia sporca e opprimente. Il carcere diventa un organismo vivo, pulsante di pericoli in ogni angolo, con una rappresentazione cruda e senza compromessi delle dinamiche di potere, della corruzione e della disperazione umana.
Due giganti a confronto
Diego Calva, già noto per il suo ruolo in Babylon, offre un’interpretazione intensa e stratificata. Il suo Juan passa dall’ingenuità alla spietatezza con un arco narrativo fulmineo, sebbene in alcuni momenti questa trasformazione sembri troppo repentina per risultare pienamente credibile. Ma è Noé Hernández a rubare la scena: il suo Calancho è un leader magnetico e terrificante, un uomo capace di dominare la narrazione con uno sguardo e un linguaggio del corpo che trasmettono un’autorità feroce.
Un prodotto potente
Cella 211 brilla per la sua capacità di mantenere alta la tensione e di dipingere un affresco realistico della brutalità carceraria. Tuttavia, la serie soffre di alcune debolezze narrative: la rapidità della trasformazione del protagonista e la superficialità con cui vengono trattati alcuni personaggi secondari, come Baldor e 25, lasciano la sensazione che certi aspetti avrebbero meritato uno sviluppo più approfondito.

Nonostante alcune pecche nella sceneggiatura, Cella 211 riesce a essere un prison drama coinvolgente, capace di trascinare lo spettatore in un mondo spietato e senza redenzione. Con una regia immersiva e interpretazioni di alto livello, la serie si conferma un prodotto potente, che farà la gioia degli amanti del genere.