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’10 giorni con i suoi’ conversazione con Giulia Bevilacqua

Giulia Bevilacqua e la sua voglia di far divertire il pubblico in '10 giorni con i suoi'

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giulia bevilacqua

In testa al box office italiano 10 giorni con i suoi di Alessandro Genovesi è una commedia dal format oramai collaudato in cui oltre ai protagonisti Fabio De Luigi e Valentina Lodovini si distinguono le new entry Dino Abbrescia e soprattutto una divertentissima Giulia Bevilacqua. Con lei abbiamo parlato del film e della sua innata passione per l’arte di far ridere.

10 giorni con i suoi è prodotto da Colorado Film e distribuito nelle sale da Medusa Film.

– La foto di copertina è di Mirko Morelli ed è stata gentilmente concessa da Other Srl 

Giulia Bevilacqua in 10 giorni con i suoi

giulia bevilacqua

Appena uscito nelle sale 10 giorni con i suoi si è piazzato al primo posto del box-office confermando la crescita al botteghino del cinema italiano.

È una notizia stupenda per noi e per tutto il movimento. Il cinema italiano sta recuperando posizioni grazie alla bontà dei tanti film usciti in questo periodo. Lo spettatore lo ha capito e di conseguenza riempie le sale.

In più qui parliamo di un genere, quello della commedia, che negli ultimi tempi sembrava non soddisfare più quel bisogno di leggerezza tipico di tempi duri come i nostri.

Oggi come oggi parlare di generi non ha più senso. Meglio distinguere tra film riusciti e no. Quelli nelle posizioni alte del botteghino sono tutti molto diversi l’uno dall’altro e questo testimonia che alle persone interessa vedere cose fatte bene indipendentemente dal fatto che le storie facciano ridere o riflettere.

L’opportunità di parlarne con te è quella di farlo con un’attrice che negli ultimi tempi è diventata una presenza fissa della commedia comica avendo tu lavorato prima con Neri Parenti in Volevo un figlio maschio e poi con Leonardo Pieraccioni in Pare parecchio Parigi.   

Mi ricordo che da bambina ogni occasione era buona per organizzare degli sketch per far divertire fratelli e genitori. Questo per dire che la comicità è stata sempre una cosa che faceva parte delle mie corde, qualcosa con cui mi sento a mio agio e che mi fa stare bene. Questo succede anche quando faccio storie più drammatiche. Il mio approccio non cambia. Il set è il luogo dove mi sento più tranquilla, felice e serena.

Gli esordi di Giulia Bevilacqua

Questa tua attitudine spiega anche i tuoi esordi. Penso per esempio a Cardiofitness in cui a colpire è proprio lo scarto tra la tua avvenenza e l’interpretazione di ruoli che sembrano volerla sconfessare.

Quello che dici mi rende felice, nel senso che la bellezza, o comunque l’aspetto estetico, per me non è mai stato una priorità e questo lo devo anche all’educazione che ho ricevuto dai miei genitori. Non ho mai puntato su quello. Anche in Distretto di polizia non era certamente l’aspetto estetico quello che ha determinato il fatto di essere stata scelta per quel ruolo. E anche io penso di aver cercato sempre personaggi che mi mettessero alla prova come attrice. Sono molto contenta che il mio aspetto fisico non determini la mia carriera perché questo mi dà la possibilità di interpretare personaggi di ogni tipo.

Te lo chiedevo proprio perché il cinema è una questione di corpi e perché tu, così facendo, ti diverti spesso a scombinare certe aspettative e soprattutto certi stereotipi tipicamente maschili.

A me è sempre piaciuto cercare la parte più intima del personaggio. Amo mettermi in discussione per andare a trovare cose di me che non conoscevo.

Comicità differente

Negli ultimi film hai lavorato con due mattatori come Enrico Brignano e Leonardo Pieraccioni mentre in 10 giorni con i suoi con Fabio De Luigi che, per sua stessa definizione, si fa promotore di una comicità giocata sulla difensiva. Questo per te ha voluto dire confrontarsi con modalità e tempi comici differenti uno dall’altro.

Nella recitazione la cosa più importante è l’ascolto perché poi sia al cinema che in televisione ci sono persone che si parlano e si raccontano. Dunque si tratta di ascoltare il tempo e le parole per poi poter rispondere sulle stesse frequenze. Certamente i tempi comici sono più difficili da imparare e ci vuole una predisposizione innata. La difficoltà della comicità sta nel fatto che per farla bene bisogna avere l’orecchio allenato per cogliere il tempo e le pause. Gli attori che hai nominato sono molto differenti tra loro. Entrambi bravissimi e con cui è stato molto costruttivo lavorare, sempre stimolante: ho imparato tanto da entrambi. Con Fabio poi si è creata una bella amicizia che va al di là del set ed è una persona che ammiro molto.

Lui peraltro ti ha voluto nel suo esordio alla regia (Tiramisù, ndr) facendoti fare un ruolo da dark lady molto divertente, quello di un avvocato super aggressivo, a cominciare da un look simil fetish.   

Diciamo che non ho vie di mezzo nel senso che passo da ruoli comici a femme fatale cattivissime. Come è stato per Il Patriarca vengo spesso scelta per ruoli di donne mangia uomini e calcolatrici. Peraltro mi piace tantissimo che per un regista possa sembrare una persona e per un altro l’esatto opposto.

Elementi comici di Giulia Bevilacqua

Nella costruzione dei personaggi dai molta importanza alla mise dei capelli che diventano un altro modo per parlare delle donne che interpreti. Mi viene in mente quella utilizzata in Tiramisù ma ce ne sono molte altre che potrei citare.

I capelli sono un po’ la cornice del volto per cui fanno moltissimo, anche più del trucco. I capelli sono una sorta di estensione del corpo che ti permette di stravolgere l’aspetto di una persona. Un capello corto o a spazzola, oppure a caschetto cambia la tua fisicità trasmettendogli altro. A me piace molto sfruttare questa possibilità. Mi ricordo che per un film mi sono fatta i capelli arancioni. In un altro mi hanno messo una parrucca bionda. Giocare con gli abiti di scena, con i capelli e con il trucco è di grande aiuto per entrare nel personaggio.

Nella formazione della tua comicità sono entrati anche Ale e Franz con cui hai lavorato in Ale e Franz Sketch Show. Gli sketch con loro immagino siano stati una gavetta utilissima anche perché la particolarità del format necessitava di grande reattività e concentrazione.

Assolutamente. In generale tutti i lavori fatti in quel periodo sono stati una vera e propria palestra. Con loro ho lavorato dopo Distretto di Polizia, quando ero ancora molto giovane. A chiamarmi fu Furio Andreotti che oggi è uno degli autori più importanti del nostro panorama e che era stato mio insegnante al Centro Sperimentale. Per quel programma siamo stati tre mesi a Milano passando la maggior parte del tempo insieme, diventando grandissimi amici. Tornando allo show, quello con Ale e Franz prevedeva una parte in studio e un’altra fatta da sketch registrati. Lavorare in quel programma è stata una grande esperienza. Ale e Franz erano i mattatori a cui io e Katia Follesa facevamo da spalla: di sketch ne giravamo ogni giorno tantissimi, il che voleva dire anche cambiare continuamente costumi e acconciature. Si andava dalla dama del quattrocento a cattivissime dark lady, dalla fascista tedesca alla prostituta, alla casalinga e così via. Considera poi che quella era la prima volta in cui mi mettevo nella condizione di fare la comica in un lavoro rivolto al grande pubblico. Per me è stato come passare un esame.

Alcune esperienze

Tra i tuoi primi lavori ci sono la partecipazione a un videoclip di una canzone di Bon Jovi che allora era una star della musica americana e uno dei Tiromancino a cui hai partecipato assieme a Valentina Lodovini e Alba Rohrwacher, tue compagne del Centro Sperimentale.

Il video dei Tiromancino è nato perché Federico Zampaglione venne al Centro Sperimentale perché per realizzare quel video gli servivano delle attrici e il caso volle che scelse le tre della classe che poi continuarono a fare questo lavoro. La partecipazione a quello di Bon Jovi non fu programmata. Io ero lì con una mia amica per fare la comparsa, poi a un certo punto successe qualcosa. Il regista disse che la modella scelta per fare la sposa non andava bene e che invece io sarei stata perfetta. Parlava in inglese e io credevo che mi rimproverasse perché mangiavo le patatine di scena. Fu la mia amica a dirmi come stavano le cose per cui mi hanno prelevato dal tavolino portandomi in un super camerino dentro una mega roulotte. Mi fecero indossare il vestito da sposa aggiustandomelo un po’ per poi mettermi davanti alla mdp.

Il sogno di Giulia Bevilacqua

Da tutto questo si evince che, a differenza di altri esempi, in cui il caso ha fatto la sua parte, la tua è stata una carriera da sempre sognata. Il centro sperimentale e prima ancora i videoclip testimoniano la tua volontà di essere un’attrice.

Come ti dicevo recitare è stata sempre la mia passione. Da piccola passavo i pomeriggi a interpretare barzellette, fare imitazioni, recitare poesie chiedendo a mia madre di filmarmi con le prime videocamere. Quando sono diventata più grande guardavo i bellissimi di Rete 4. Lì ho conosciuto Billy Wilder ma anche il neorealismo. Guardando la televisione mi sono appassionata ad Anna Marchesini che è diventata una delle mie fonti d’ispirazione. La mia era una famiglia d’architetti che mi ha aiutato a coltivare il bello, ma non aveva niente a che fare con il cinema e la televisione. Ho iniziato l’università continuando a fare teatro. Mi sono iscritta a una scuola di recitazione dove il maestro di un corso, Luciano Curreli, mi disse che avevo talento che era un peccato non provare a entrare al Centro Sperimentale. Mi ricordo ancora di quel viaggio in Metropolitana per arrivare a Cinecittà. Quando sono entrato al Centro ho iniziato a piangere non potendo credere che a Roma esistesse una scuola pubblica dove si studiava quello che mi piaceva fare. Prima di frequentarlo ero sempre stata una ragazza poco costante. Al liceo classico sono sempre stata promossa senza però applicarmi molto mentre lo sport era qualcosa che iniziavo sempre per poi abbandonarlo. L’unica cosa che mi appassionava davvero era recitare. La domanda per entrare al Centro Sperimentale l’ho fatta di nascosto perché pensavo che i miei mi avrebbero scoraggiato. Per fortuna non è stato così perché i miei sono stati i primi a incoraggiarmi di seguire quella passione.

Dalla tv al cinema

Partecipando ad alcune tra le serie più famose di Rai e Mediaset sei diventata da subito un volto molto popolare. In che modo questo cambiamento ha cambiato, se lo ha fatto, il tuo modo di essere attrice? Parlo anche in termini dell’immaginario che da quel momento in poi lo spettatore ha avuto di te.

Onestamente non l’ho mai sentito come un handicap. La televisione mi ha dato grande popolarità, la vicinanza e l’affetto della gente. In Distretto di Polizia interpretavo un personaggio complesso e delicato e mi ricordo delle molte lettere di donne che mi dicevano di aver trovato il coraggio di denunciare la violenza subita grazie a quello. Sentirmi amata e riconosciuta è stato gratificante e ha dato ancora più senso al mio lavoro.

Hai iniziato con la televisione e solo dopo qualche anno hai incominciato a fare cinema. A differenza di oggi in cui le categorie contano sempre meno allora questo passaggio era ancora visto con pregiudizio. Per te quanto è stato difficile compierlo?

Sì, è vero, nel cinema chi proveniva dalla televisione era considerato meno bravo. Si tratta di due media diversi, ma per noi attori non cambia nulla. Anzi per certi versi in televisione devi essere ancora più bravo. Penso che Distretto di polizia fosse una serie di altissima qualità interpretata dagli attori più capaci che ci fossero in circolazione. Per me quella è stata proprio la palestra più grande che abbia mai fatto. È lì che ho imparato a lavorare anche perché avevo accanto a me attori come Claudia Pandolfi, che poi è diventata la mia migliore amica. Claudia mi ha insegnato molte cose. Con lei condivido il fatto di non prenderci mai troppo sul serio, il che non vuol dire essere meno professionali, meno preparati e attenti ma significa lavorare con gioia e con rispetto per tutti. Considera che per Distretto di Polizia eravamo impegnati dieci ore al giorno per circa nove mesi, girando sempre in pellicola, il che voleva dire non poter mai sbagliare. Questo mi ha fatto crescere molto.

Pochi ruoli drammatici

Come commedia femminile Cardiofitness presentava tutte le caratteristiche che poi avresti continuato a esplorare nei film successivi mentre il tuo secondo film è quasi un unicum nella tua carriera perché L’ora di punta di Vincenzo Marra segna il tuo esordio nel cinema d’autore con una storia drammatica che stravolge la tua immagine precedente. Peraltro, se si esclude Il contagio, quello di Marra è stato l’unico ruolo drammatico presente nella tua filmografia.

Di ruoli drammatici ne ho fatti tanti in televisione, mentre al cinema solo quelli. Il prossimo per esempio lo sarà.

Nonostante la bontà della tua interpretazione L’ora di punta non fu accolto molto bene dal Festival di Venezia dove era stato inserito nel concorso ufficiale e questo di certo non ti ha aiutato a continuare in quella direzione.

Le carriere degli attori sono fatte di tante cose che si devono concatenare e l’andamento di un film è una di queste. A volte la fortuna o meno di un attore dipende anche dei risultati del film. È una cosa assurda ma questa è la legge di mercato, quella che decreta quali sono gli attori di richiamo. Io a questa cosa credo veramente poco. È verissimo che ci sono interpreti che sono una garanzia perché sono bravissimi e molto amati però secondo me sarebbe bello scegliere attori che sono perfetti per un determinato personaggio indipendentemente dalla loro popolarità. Sarebbe bello avere più varietà. Il fatto che L’ora di punta non sia andato bene mi ha allontanato da quel tipo di ruoli dopodiché mi prendo la responsabilità delle mie scelte perché per esempio sarei potuta restare ferma finché non fosse arrivata un’altra occasione, ma io non ho mai avuto bisogno di fare solo cose di un certo genere. A me piaceva fare questo mestiere per cui non ho fatto mai distinzione tra dramma e commedia. Il prossimo lavoro, per esempio, sarà un film drammatico ma quello che a me interessa è mettermi alla prova e questo succede ogni volta che mi trovo su un set.

Giulia Bevilacqua new entry in 10 giorni con i suoi

In 10 giorni con i suoi tu e Dino Abbrescia eravate le new entry di un format arrivato al terzo episodio e quindi basato su una formula ultra collaudata. Tutto questo ha influito sulla resa del tuo lavoro oppure no?

Dipende da come vieni accolto e da come ti poni. Io e Dino siamo una coppia super affiatata avendo lavorato insieme tante volte. Per cui siamo arrivati con una buona energia. Con Alessandro Genovesi Dino aveva già lavorato, io no, ma dalla prima telefonata ho capito che eravamo affini. Con Fabio c’era una stima reciproca iniziata sul set di Tiramisù mentre Valentina era con me al Centro Sperimentale. Il fatto di lavorare un mese a Gallipoli in un albergo affacciato su una spiaggia splendida ha concorso a rendere il clima lavorativo davvero disteso quindi diciamo che c’erano tutte le condizioni per fare un ottimo lavoro.

In questa risposta, come in altre, sconfessi l’immagine dell’attore che per dare il meglio di sé deve per forza soffrire. Un punto di vista il tuo molto simile a quello che aveva Marcello Mastroianni.

Sì, la penso esattamente come lui. Anche perché di attori a cui piace far credere che per fare questo lavoro bisogna soffrire ce ne sono tanti, di quelli che rosicano se sul set ti fai due risate. Io però sono fatta così. Penso che siamo davvero fortunati a fare questo lavoro e come diceva Mastroianni, a essere pagati per divertirci. Nessuno ci chiede di portarci a casa il personaggio altrimenti saremmo tutti psicopatici.

I personaggi di questo terzo capitolo

10 giorni con i suoi trasforma l’incontro tra due famiglie in uno scontro di opposte tribù. Il montaggio che contrappone i due gruppi ripresi uno di fronte all’altro lascia presagire fin dall’inizio turbolenze tragicomiche. Nel confronto tra nord e sud il personaggio di Fabio è pieno di pregiudizi mentre tu e Dino Abbrescia avete solo sicurezze.

La chiave di questo film risiede proprio nell’affrontare con leggerezza il tema dell’inclusione e, più in generale, dei cambiamenti che la vita ci propone, giocando con stereotipi come quello della gelosia del padre nei confronti del fidanzato della figlia e viceversa nell’orgoglio dell’altro genitore che invece è mosso da sentimenti opposti. Poi la cosa bella secondo me è che grazie all’incontro di due realtà diverse, di due modi differenti di vedere la famiglia si arriva a una sorta di cambiamento che migliora entrambe le parti. Mara, il mio personaggio, condividendo 10 giorni con un’altra donna capirà che la sua vita non è così perfetta come credeva. Alla fine tutti usciranno più consapevoli da quell’esperienza.

Peraltro le vostre performance partono da modi di fare, e dunque di recitare, molto diversi per arrivare a una conclusione in cui le differenze – culturali e interpretative – sono molto meno marcate rispetto all’inizio.

Esatto. Gli stessi stereotipi utilizzati nel film sono in realtà aspetti positivi di una tradizione che grazie a Dio continua a esistere perché è vero che i pugliesi sono molto accoglienti, ma questo può essere un bellissimo esempio rispetto a quanto succede con il fenomeno dell’immigrazione. L’accoglienza che la nostra famiglia dimostra nei confronti di quella di Fabio potrebbe essere un modello per sconfiggere razzismi e pregiudizi.

Dicevamo di come alle differenze culturali dei personaggi corrisponda un diverso modo di recitare. Mentre Fabio e Valentina hanno un’impostazione più realistica tu e Dino lavorate sulla maschera.

Sì, il divertimento derivava proprio dal confronto tra la coppia formata da Fabio e Valentina, sempre misurata e abituata a dirsi tutto in faccia con quella formata da me e Dino, così votata al mito della perfezione e dell’ottimismo a oltranza. Mara ne è così accecata da sopravvalutare ogni suo gesto. Il discorso sui quattro lati della piscina che pretenderebbe di aver pensato apposta per quella costruita nel giardino della villa è un esempio molto divertente, ma anche rivelatorio della mentalità del mio personaggio.

Differenze e contrapposizioni

giulia bevilacqua

Rispetto alla contrapposizione di registri c’è una scena esemplare in cui il tuo personaggio si ritrova seduto accanto a quello di Fabio vestito – si fa per dire – da Gesù crocifisso. Tanto lui è sulla difensiva anche in termini di mimica del corpo, tanto tu sei sempre sul punto di invadere il suo spazio, sia dal punto di vista fisico che metaforico.

Parliamo di una gag che gioca su una situazione che è già comica di per sé. Quella è la prima scena che abbiamo girato insieme io e Fabio. In sceneggiatura Mara era più piatta, sempre entusiasta e fintamente calma. Poi con il regista abbiamo pensato che dovevamo aggiungere qualcosa per renderla meno sciocca. Abbiamo immaginato che tenesse a bada la sua rabbia assumendo degli psicofarmaci che la facevano apparire molto calma, ma che ogni tanto, come succede nel film, non riuscisse più a nascondere la sua natura dando sfogo a manifestazioni di forte aggressività.

Succede nel passaggio in cui sporgendoti verso Fabio dici che i meridionali sono molto passionali. Nel farlo sembri quasi posseduta.

Proprio così. All’inizio lei appare calma e gentile, ma poi di fronte ai danni provocati da Fabio durante la processione non riesce più a trattenersi tanto da prendergli con forza il braccio per ricordargli che in Puglia la gente è passionale.

In quella sequenza tu utilizzi un linguaggio molto diversificato. All’inizio lavori di sottrazione per poi passare all’over acting. Lo stesso accade con la fisicità del corpo che dapprima sembra quasi non esistere per poi rientrare in campo in maniera quasi minacciosa. Nel farlo utilizzi una gestualità controllata e allo stesso tempo irrituale.

Devo dire che in quel caso il regista ci ha diretto molto bene. In quel caso si procede un po’ a istinto lasciando a lui il compito di trovare il giusto equilibrio tra le varie componenti.

Quasi una commedia degli equivoci

Peraltro a un certo punto la storia assume le forme di una commedia degli equivoci. Questo per dire di come la drammaturgia del film sia più complessa di quello che sembra.

Trovo che si tratti di una commedia molto delicata in cui si sorride, ma ci si emoziona anche molto perché comunque Fabio e Valentina si ritrovano a dare vita alle preoccupazioni di genitori che si ritrovano davanti a un grande cambiamento come quello di aspettare un quarto figlio a quarantacinque anni. I loro dubbi e le loro perplessità hanno regalato al film un’intensa carica emotiva. Poi c’è la parte più tenera che riguarda i bambini, che poi è quella che piace tanto ai ragazzini. Quelli del nostro film si incontrano e finiscono per piacersi ma in qualche modo sono anche dei risolutori a cui viene affidato il compito di risollevare le sorti di queste famiglie in una maniera che non diciamo per non togliere la sorpresa a chi andrà a vedere il film in sala.

Il cinema di Giulia Bevilacqua

Parliamo dei film e degli attori che ti piacciono di più.

La mia prima passione è stato Billy Wilder. Mi guardavo sempre i suoi film, dall’Appartamento a Irma la dolce. Ho amato alla follia Frankenstein Junior ma anche La Grande Guerra, i film di Dino Risi perché in generale mi è sempre piaciuto il riso amaro con cui si raccontava un’epoca. Parlando degli attori su tutti metto Monica Vitti, quella de La ragazza con la pistola ma anche de Il dramma della gelosia. La Marchesini era un’altra che amavo alla follia al punto da registrare i suoi spettacoli per imparare le sue battute a memoria. Questo perché come ti dicevo all’inizio la comicità è stata qualcosa che ho sempre avuto dentro di me.

10 giorni con i suoi

  • Anno: 2025
  • Durata: 98'
  • Distribuzione: Medusa Film
  • Genere: commedia
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Alessandro Genovesi
  • Data di uscita: 23-January-2025

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