Crimini e misfatti esce nei cinema statunitensi nel 1989 e chiude una decade di successi e capolavori del cinema di Woody Allen. Una fase in cui il regista ha portato ancora oltre il suo sguardo focalizzandolo sul rapporto fra cinema e vita intessendoli così tanto fra loro da renderli interscambiabili e indissolubili.
Judah e Clifford
Due storie parallele che sembrano non incontrarsi mai fino alla fine. Un affermato oculista, Judah, decide di rivolgersi alla criminalità per eliminare la sua ossessiva amante che minaccia di rivelare alla moglie la sua relazione extraconiugale. Un documentarista, Clifford, è costretto a girare il ritratto di un viscido autore e personaggio televisivo sulla via del successo.
Gli anni Ottanta di Woody
Prima di affrontare nel dettaglio Crimini e misfatti bisogna ricordare brevemente, come accennato nell’introduzione, il rapporto che la vita intesse con il cinema nella filmografia di Woody Allen.
Se gli anni ’70 si erano chiusi con una aperta dichiarazione d’amore per la vita a causa del cinema nel finale di Manhattan («Perché vale la pena di vivere?»), in seguito Allen si spingerà addirittura a dare forma alla vita attraverso il cinema e viceversa. Non a caso, una delle immagini pulsanti degli anni Ottanta alleniani è di certo quella della fuoriuscita dallo schermo del personaggio di Tom Baxter ne La rosa purpurea del Cairo (1985). La sequenza è una dichiarazione visivamente esplicita della pervasività del cinema nella realtà. Ma non bisogna dimenticare altri titoli come Broadway Danny Rose (1984) e Hannah e le sue sorelle (1986) che hanno ulteriormente approfondito, forse in maniera meno manifesta e più in sotterranea, lo stesso concetto.
In particolare, Hannah e le sue sorelle accorcia ancor di più il rapporto fra cinema e vita nell’universo cinematografico di Allen sfumando i contorni fra attori e personaggi, liberandolo dal suo precedente autobiografismo. Concessione che gli permette di astrarre la narrazione, conciliando il suo senso di imprecisione temporale con la contrapposta rigidità temporale del racconto cinematografico.
Le grandi illusioni
Tuttavia, il pessimismo di Allen non permette di trovare una soluzione esistenziale attraverso il cinema come potrebbe apparire nell’ambiguo lieto fino di Hannah e le sue sorelle. Egli, alla fine, classifica la settima arte come “illusione”, “finzione” così come considera la religione e l’amore.
Bisogna partire proprio da questo per comprendere al meglio Crimini e misfatti. L’opera che suggella definitivamente il percorso autoriale e filosofico intrapreso da Allen nella decade precedentemente.
La perdita della vista
Le due vicende parallele che vengono raccontate in Crimini e misfatti, che apparentemente hanno molto poco in comune, si concentrano sulla “perdita della vista” e sulla “cecità”. Judah è completamente smarrito e commissiona un omicidio che lo condurrà a dover “guardare” le tenebre che ha dentro. Si prefigureranno davanti a lui i sensi di colpa figli della sua educazione religiosa con lo stesso procedimento di cui Allen fa uso in Io e Annie. Judah vede materializzarsi davanti ai suoi occhi la sua famiglia che discute del delitto appena commesso. Inoltre, l’oculista, ormai completamente cieco da un punto di vista esistenziale, si sentirà costretto a tornare sul luogo del delitto per vedere la vittima e guardarla negli occhi prima di rendersi veramente conto di ciò che ha fatto.
L’altra storia invece ci mostra un protagonista che ha dedicato la sua vita allo sguardo dal momento che si tratta di un regista. Eppure, anche lui è cieco tanto quanto Judah. Nel documentario che sta realizzando per raccontare Lester, mette tutto l’odio che prova per un personaggio che incarna tutto ciò che Clifford disprezza. Tuttavia, così come non riesce a “vedere” nient’altro in Lester allo stesso modo viene deviato dal suo sguardo nell’idea che si è costruito del filosofo vitalista Louis Levy, altra figura a cui sta dedicando un documentario. L’amore per la vita che propugna Levy viene tragicamente smentito dal suo inatteso suicidio. Inatteso per Clifford che non riesce a vedere oltre il suo immaginario chiuso e precostituito. Guarda continuamente film del passato, ma, non capendo il valore della rappresentazione, questi non fanno altro che diventare una gabbia.
Unico punto di contatto fra i due, che sarà anche il motivo dell’incontro finale fra Clifford e Judah, è il personaggio di Ben, un rabbino buono e in pace con sé stesso che nel corso della narrazione diventerà, non a caso, cieco. I suoi occhi sono pieni di quella che per Allen è la più grande delle illusioni: Dio.
La ricerca della verità
Il finale del film mette a confronto questi due personaggi e i due rispettivi percorsi esistenziali. Judah ormai non ha più sensi di colpa per ciò che ha fatto. È riuscito a evitare grossi problemi per la sua vita ed è finalmente sereno. Clifford è stato licenziato da Lester per il suo lavoro al documentario, è prossimo al divorzio e scopre che il personaggio di Mia Farrow, di cui si innamora nel corso del film, ha in realtà iniziato una relazione proprio con l’orribile uomo di successo che detesta.
Incontrandosi da soli e presentandosi reciprocamente, ha inizio l’ultimo atto della messa in scena di queste due esistenze. Judah confessa tutto a Clifford spacciando la sua storia per un soggetto cinematografico e il regista, sempre più cieco, non riuscirà a capire la credibilità di ciò che sta ascoltando, rispondendo semplicemente che l’assenza di “castigo” non permette la catarsi. Il film così non può funzionare.
Woody Allen ci mette di fronte al problema più grande fra realtà e rappresentazione, fra cinema e vita. Il cinema è un’illusione che necessita di una catarsi, di un racconto strutturale. La vita invece, procede senza logica. Il cinema e l’arte sono aristotelicamente tragici perché mostrano la grandezza degli esseri umani e si nutrono di umani sensi di colpa. La vita invece, è una commedia ridicola in cui ad avere successo sono imbroglioni come Judah e saltimbanchi che valgono poco e niente come Lester. Eppure è proprio a Lester che Allen mette in bocca la giusta e contraddittoria definizione di che cosa sia la commedia: «Tragedia più Tempo».
La negazione e l’illusione
In conclusione, il cinema, che non fa altro che mentire, può lo stesso salvarci la vita? Se la vita è negazione, perdita della vista, cecità e smarrimento e il cinema l’esatto opposto, perché Allen fa di tutto per fonderli insieme?
Perché l’unico modo per capire questa macabra commedia degli errori che è la vita è la falsità (e l’illusorietà) del cinema. Proprio grazie a Crimini e misfatti abbiamo modo di entrare in contatto con questa atroce verità. D’altronde, l’approdo a tutto ciò era già presente in nuce nel finale di Io e Annie in cui aveva analizzato un’altra grande illusione: l’amore.
«Pensai a quella vecchia barzelletta, sapete, quella dove uno va da uno psichiatra e gli dice: “Dottore, mio fratello è pazzo. Crede di essere una gallina.” E il dottore gli dice: “Perché non lo interna?” E quello risponde: “E a me poi le uova chi me le fa?” Beh, credo che corrisponda molto a quello che penso io delle relazioni tra uomo e donna, e cioè che sono assolutamente irrazionali e pazze e assurde, ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova».