Attualmente in corso a Roma la settima edizione dell’Euro Balkan Film Festival, manifestazione culturale che ha al suo centro la narrazione del cinema balcanico contemporaneo.
Nella sua giornata di chiusura, il 12 novembre, alla Casa del Cinema si proietta Phantom Youth (Bota jonë), film sulle angosce della gioventù balcanica scritto e diretto dalla giovane e talentuosa Luàna Bajrami.
Intense e indiscusse protagoniste Elsa Mala e Albina Krasniqi, affiancate poi da Don Shala, Aurora Ferati, Gani Rrahmani, Uratë Shabani.
Il futuro che non esiste
Kosovo, 2007. Zoé e Volta sono due cugine inseparabili, legate da un’infanzia condivisa tra i campi di un villaggio remoto della campagna kosovara. Affamate di futuro e speranze, decidono di lasciare la loro casa, sfidando le tradizioni e le aspettative familiari, per raggiungere di nascosto Pristina, la capitale, con l’obiettivo di iscriversi all’università.
Arrivate in città, si trovano immerse in un paese sospeso e in subbuglio, segnato dalle tensioni politiche e sociali alla vigilia dell’indipendenza dalla Serbia. La capitale si rivela essere sorda ai bisogni di chi, come loro, cerca un posto nel mondo. Mentre il Kosovo si prepara a definire la propria identità, l’incarnazione stessa del domani, la generazione di Zoé e Volta, rimane invisibile e, relegata ai margini, tenta di trovare un senso nel presente senza la certezza del proprio futuro.
Gioventù dimenticata
Phantom Youth si caratterizza per una regia diretta e sobria, capace di evocare con delicatezza il senso di vuoto che permea una gioventù smarrita, alla ricerca del proprio posto nella società.
Zoé, Volta e i loro amici si muovono in un’attesa sospesa, un cambiamento che, come Godot, non arriva mai.
Tra legami fugaci, amori passeggeri e feste che si consumano in notti senza fine, tentano di dare un senso a ciò che li circonda. Dietro la facciata di un’allegria frenetica e contagiosa, si nasconde un’inquietudine profonda, incomprensibile per gli adulti che, pur presenti sullo sfondo, sembrano ignorare o perfino disprezzare il disagio che pervade i giovani protagonisti, riflettendo il rapporto di due generazioni divise e in contrasto.
La regia di Bajrami è intima e naturale, concentrata sui volti, di cui spesso è visibile persino la grana della pelle, e sugli ambienti spogli, in parte dimenticati, che questi ragazzi riempiono di risate, grida e colori. Incapaci di controllare il proprio futuro, si aggrappano ad attimi presenti che si susseguono, senza un vero scopo, eppure carichi di significato.
La fine dell’infanzia
Uno dei punti di forza di Phantom Youth risiede nell’intensità emotiva delle due protagoniste, le cui interpretazioni riescono a conferire profondità e autenticità alla narrazione. Cresciute come cugine in simbiosi, Zoé e Volta condividono un legame profondo, ma le loro lotte interiori si rivelano presto diverse. Zoé, più fragile e idealista, coltiva il desiderio di andarsene, ma ogni sua speranza sembra destinata a infrangersi contro una realtà che non concede scampo. Volta, invece, è temprata e disillusa; comprende già il mondo che la circonda, e affronta ogni difficoltà con coraggio e determinazione, proteggendo la cugina sognatrice che, invece, rischia di perdersi.
Il viaggio verso Pristina rappresenta per entrambe la fine dell’infanzia e il difficile ingresso nell’età adulta, un passaggio segnato dal confronto con quegli stessi adulti che le giudicano; ma è anche il simbolo di una rottura definitiva, mentre ciascuna cerca di tracciare il proprio cammino e affermare la propria identità.
E con un nuovo inizio il film si conclude: Zoé e Volta non hanno ancora trovato se stesse, ma ciascuna ha fatto una scelta consapevole, scelta che diventerà il fondamento di un futuro che, nonostante tutto, dovranno costruire. Anche da fantasmi.
Alla fine, Phantom Youth suggerisce che anche l’attesa, in fondo, non sia un vuoto da colmare, ma un’esperienza da vivere, un percorso per forgiare la propria identità e i propri legami, trasformando il tempo sospeso in un’occasione di crescita.