È nella sezione Discoveries – Concorso Internazionale del Festival dei Popoli, il film, della durata di 30’, realizzato da Daphne Hérétakis intitolato, What we ask of a statue is that it doesn’t move.
Un’inchiesta pungente, tra ironia e provocazione, alla ricerca della conoscenza, per distruggere il passato e donargli eternità.
What we ask of a statue is that doesn’t move: la distruzione del Partenone
Nel 1944, il poeta e filosofo Yorgos V. Makris propone la distruzione del Partenone allo scopo di consegnarlo alla vera eternità. È questo il punto di partenza da cui Daphne Hérétakis che realizza un’indagine sull’Atene contemporanea. Aggrappata al suo passato glorioso, la città ha costruito a fatica una propria identità al prezzo, però, di consegnare i suoi abitanti all’inerzia e all’immobilismo.
Il pensiero di Yorgos V. Makris
“Condividendo come facciamo la visione estetica e filosofica della distruzione e della moralità della forma degli esseri che fanno parte del contesto del compimento della vita, decidiamo di prefiggerci come obiettivo la distruzione di monumenti antichi e la promozione della propaganda contro di essi. Il nostro primo atto di distruzione sarà la distruzione del Partenone che ci sta letteralmente soffocando”.
È questo un estratto del Proclama scritto da Yorgos V. Makris, riscoperto in What we ask of a statue is that it doesn’t move. Daphne Hérètakis scova una figura singolare della letteratura greca, un poeta, quasi sconosciuto in Italia, e poco celebrato in Grecia, suo paese. Yorgos V. Makris ha scritto per tutta la vita, ma facendo suo il pensiero socratico, non ha mai pubblicato nulla e il primo, e probabilmente unico, testo a lui dedicato è stato dato alle stampe nel 1986, circa vent’anni dopo la morte.
Nel suo intervento più importante Yorgos V. Makris propone la distruzione del Partenone, il celebre monumento che sorge sull’acropoli di Atene, dedicato alla dea Atena. Su questa proposta estremamente provocatoria, ovviamente metaforica, è costruito il mediometraggio diretto dalla film maker Daphne Hérétakis, che inizia a catturare, con la cinepresa, il mondo intorno a lei, cercando una paradossale connessione tra esseri umani e statue.
Il marmo delle statue esplode
La regista, attualmente impegnata nella realizzazione del suo primo lungometraggio, chiede ai vari intervistati che tipo di statua vorrebbero essere. Una domanda che potrebbe essere presa come un divertente gioco e, allo stesso tempo, forse lo è. Però ci trascina all’interno di un reportage che tenta di comporre un discorso socio – filosofico, generato dal pensiero di Yorgos V. Makris.
Con uno stile che non abbandona mai l’umorismo, come l’autore del Proclama della distruzione del Partenone, What we ask of a statue is that it doesn’t move mira alla denuncia di canoni estetici e artistici ormai anacronistici, percepiti come soffocanti e di impedimento per raggiungere una nuova forma di conoscenza. La fierezza dell’antico eroe della Grecia degli Dei è ormai logorata, ma contrariamente al pensiero unico, essa non è persa, piuttosto mutata nel flusso continuo della vita. Il marmo delle statue esplode, così come il mondo intero.
In coerenza con questa tesi, la distruzione del Partenone è proposta come ripartenza di una nuova forma culturale ed esistenziale di esseri umani resi immobili come statue. Un cambio di prospettiva nella concezione dei canoni classici, determinata dal passaggio linguistico dal greco antico al latino, ha scaturito la percezione soffocante dell’eredità del passato.
Tra beatitudine e staticità
L’Agalma, con la quale gli antichi greci indicano il piacere procurato dalla vista delle statue, testimoni della gloria degli dei, è stata soppiantata dai romani che hanno sostituito il piacere della bellezza classica, vera beatitudine, con l’immobilità, racchiusa nel termine statua. E così il passato, con tutto il suo bagaglio culturale e artistico, diventa statico, non attuale nella contemporaneità.
What we ask of a statue is that it doesn’t move, riallacciandosi al pensiero di Yorgos V. Makris, propone una nuova visione dell’eredità del passato che sfuma nel presente e si proietta nel futuro. Le parole provocatorie dello scrittore sono il pretesto per inoltrarsi nella società dell’Atene di oggi, dove giovani e meno giovani, dialogano con la regista, con lo scopo di ritrovare un senso, un obiettivo esistenziale che nasce nell’arte, per giungere a una conclusione sociale, dove il Partenone è concepito come una metafora per un mondo più giusto.
What we ask of a statue is that it doesn’t move: umorismo e poesia
L’impianto ideologico nel mediometraggio di Daphne Hérétakis viene svelato immediatamente, mostrando le proteste di studenti e artisti uniti nella lotta per la conquista di una società più equa, dove chi scappa dalla guerra non è destinato a morire su una barca in mezzo al mare. Ma non c’è eroismo. I personaggi fieri di Omero sono distrutti, proprio come propone Yorgos V. Makris per il Partenone. Oggi, il riscatto è possibile solo attraverso l’unione dell’individuo, e delle sue parti, con il tutto, attraverso uno sparuto gruppo di donne e uomini, autodefiniti Arcangeli del caos, che attendono il momento giusto per l’azione.
Intanto, Daphne Hérétakis con What we ask of a statue is that it doesn’t move compie un’azione artistica, estetica e politica. La sua non è solo un’inchiesta documentaristica, ma un ritratto, a volte intimo e poetico, su una parte della società di Atene che percepisce il vuoto esistenziale della contemporaneità e che sente la necessità di colmare tale vuoto. La regista usa il pensiero di una figura originale, come quella di Yorgos V. Makris, per demolire i canoni trasmessi dal passato, troppo spesso utilizzati per pura propaganda, e lo fa con intelligenza e ironia, mescolando la realtà con la finzione, la metafisica con l’umorismo, la poesia con la politica.
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