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FESTIVAL DI CINEMA

‘MICB 2024’: tutti i cortometraggi della 3ª edizione

Panoramica su tutte le opere presentate al Festival di Bracciano

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Il MICB (Mostra Internazionale del Cinema di Bracciano), giunto alla 3ª edizione, ha offerto anche quest’anno un’ottima selezione di cortometraggi. Ben 28 opere, sia di produzione nazionale che internazionale.

Un corposo programma suddiviso in fiction, sperimentali e animazione. Cortometraggi che si distinguono non soltanto per peculiari cifre stilistiche, ma anche per le forti tematiche affrontate. Violenza sessuale, guerra, degrado, ecologia, ma anche temi intimi come l’incomunicabilità o l’amore.

Tutti i premi

Panoramica sui 28 cortometraggi proiettati al MICB

FICTION

 

  • Confessions of My Childhood Baby di Emīlija Karetņikova (Lettonia)

 

Basandosi sul racconto di sette ragazze che avevano subito uno stupro durante il campo estivo, il corto è la narrazione, tramite un accentuato uso metaforico, del comportamento subdolo dell’uomo (in questo caso quello che dovrebbe essere un sicuro tutore) nei confronti di fragili adolescenti. Il difficile tema, purtroppo sempre attuale, è demandato a un marcato simbolismo visivo, non sempre funzionale.

 

  • Due di Matteo De Liberato (Italia)

 

Tratto da L’avventura di due sposi, racconto contenuto nell’antologia Gli amori difficili (1970) di Italo Calvino, un corto intimista, incentrato sulla relazione di due giovani sposi. Una messa in scena minimale, che diviene più rarefatta tramite un bianco e nero che fa risaltare anche il rischioso grigiore che può intaccare una relazione amorosa.

  • The Weather is Nice di Leonardo Cariglino (Olanda)

 

Un altro corto incentrato sull’incomunicabilità. Questa volta non su una coppia, ma tra due sconosciuti che cercano il contatto. Una storia notturna, narrata con delicatezza e fatta principalmente di sguardi e di tatto. L’amore è difficile da esternare con facilità.

 

  • Night di Ahmad Saleh (Palestina)

 

Un’opera che racconta il tragico e distrutto presente della Palestina, tramite l’animazione. Non solo le città sono cumuli di macerie, ma anche gli animi umani sono ormai annientate. Il corto sceglie la forma di una favola cupa, nel quale una donna, che ha perso i figli, prega perché ci sia una requia a tanta inaudita violenza.

 

  • Syncopat di Pol Diggler (Spagna)

 

La musica è sovente parte integrante della nostra vita. E inventarsi un aggeggio che può permettere l’ascolto direttamente tramite il cervello è rivoluzionario. Ma una formidabile tecnologia può anche creare dei grossi problemi. Un’opera comica, ritmicamente colorata, che mette in evidenza come siamo assuefatti a una tecnologia sempre più invasiva, che è una droga 4.0.

 

  • Virga di Jean-François Leblanc (Canada)

 

Qual è il labile confine tra l’intenzione e l’agire? Sui social spesso primeggiano commenti che incitano all’odio, alla rabbia. Post scritti da ragazzi arrabbiati che si sfogano sul virtuale, ma non è sicuro che poi possano mettere in pratica quanto dicono. Ed ecco che questo corto canadese affronta il problema, dal basso. Una storia d’amicizia con uno svolgimento, freddo, che mantiene fino all’ultimo l’ambiguità.

 

  • First Work of Mercy di Flavio Yuri Rigamonti (Italia)

 

Girato con un contrastato bianco e nero, la narrazione ieratica e al contempo sacra (l’uso della musica classica) di un clandestino africano che giunge in Europa. Un giovane scampato a violenza e miseria che cerca soltanto beni primari: acqua e cibo. L’unico suo atto di violenza, per esigenze vitali, viene scambiato, tramite usuale pregiudizio, per innata depravazione. Fortunatamente c’è ancora dell’umanità nell’accoglienza.

 

  • Cross My Heart and Hope to Die di Sam Manacsa (Filippine)

 

Una commedia con stilemi grotteschi, che porta in parallelo un soave umorismo e un palpitante senso pulp. Una “storia d’amore” a voce, tra due giovani sconosciuti, che si scontra con la durezza e la fatica del lavoro della protagonista, schiava di uno scorbutico padrone.

 

  • The Sink di Eduardo Mattos (Brasile)

 

Spigliata commedia brasiliana che rimanda alle affabulazioni intellettuali newyorkesi di Woody Allen. Le aspirazioni artistiche che si scontrano con le difficoltà della vita, raccontate ironicamente in un bianco e nero giustappunto molto alleniano.

 

  • Lucia, luce mia di Maria Benz (Italia)

 

Pseudo biopic su Lucia Joyce, figlia di James Joyce. Giovane ballerina ricoverata in manicomio per schizofrenia. Un piccolo ritratto sulla malattia e la necessità di avere attenzione da parte di un genitore assente, sebbene apprezzato nel mondo. Una narrazione austera per evidenziare la solitudine della protagonista, che deve accettare la temibile malattia e soprattutto la mancanza del padre.

 

  • Thirstygirl di Alexandra Qin (Stati Uniti)

 

Un originale on the road femminile, nel quale le protagoniste sono due sorelle caratterialmente agli antipodi. E ugualmente con due problemi: una è alcolista, l’altra ninfomane. La seconda vorrebbe essere libera di poter appagare i suoi desideri, ma nonostante i problemi della sorella, la protegge. Una narrazione molto realista, nel quale il sesso, sebbene presente, è sempre fuori campo.

 

  • 5/3/0 di Danilo Stanimirović (Serbia)

 

Altro racconto di prevaricazione maschile, in una società che ancora non si è completamente riavuta da una sanguinosa guerra civile. Il racconto si svolge tutto in una notte e la giovane protagonista si ritrova a dover fronteggiare gli attacchi rapaci, celati dietro amichevoli contatti, di due uomini (un adolescente e un adulto). Un racconto cupo, che rappresenta bene la tensione in cui è stretta la giovane ragazza.

SPERIMENTALI

 

  • Las memorias perdidas de los arboles di Antonio La Camera (Italia)

 

Un corto sperimentale che mette in conversazione due alberi secolari, che rievocano la loro lunga esistenza. Tra immagini rielaborate e voice over, una riflessione sull’ecologia e il rapporto uomo-natura, in cui l’innocenza può restare soltanto nell’infanzia.

 

  • Sette minuti di Alessia Bottone (Italia)

 

L’intima confidenza di un uomo ormai anziano mentre fuma una sigaretta. Riflessioni sul passato, sull’importante storia d’amore che ha vissuto con un uomo, ma che è poi sfumata. Amari ricordi rievocati perché per lui sono importanti, sebbene ormai lontani e perduti. Un corto realizzato tramite l’utilizzo di materiale d’archivio, sapientemente montato per dare concretezza alle parole del protagonista, ormai rimasto in solitudine.

 

  • The Barn di Alayham Alì (Siria)

 

La distruzione della guerra tramite il racconto metaforico. La piantina simbolo della vita, dell’esistenza da preservare. Il protagonista ogni mattina si sveglia e trova la sua casa (rimando alla propria terra/nazione) attaccata e semi distrutta. Ma lui con costante attenzione, anche ferendosi, cerca di mettere al riparo la piantina, che è simbolo di speranza e rinascita.

 

  • Park Fiction di Alessandra Marangon (Italia)

 

Breve corto nel quale l’autrice, anche interprete, racconta con toni simpatici e stile documentaristico la funzione di un parco. Dall’etimologia all’uso quotidiano, il parco è un luogo fondamentale per tutti i cittadini (e i cani).

 

  • Terra mater di Kantarama Gahigiri (Svizzera)

 

L’Africa terra utilizzata come un’immensa discarica. Cumuli di rifiuti che hanno trasformato la purezza di quei luoghi in un paesaggio sporco, desolato e malato. Ma in questo lerciume causato dai paesi occidentali, gli indigeni continuano la loro vita primitiva. Un corto che rievoca, con il ritmo poetico, musicale e solenne A idade da terra (1980) di Glauber Rocha. E nel taglio registico, nel quale primeggia la selvaggia natura, Werner Herzog.

  • Circology di Tero Peltoniemi (Finlandia)

 

La vita è movimento. Il tempo è movimento. Il cinema è movimento. La tecnologia è movimento. La danza è movimento. Tutti aspetti uniti in questo corto scandinavo, piccolo musical in cui alcune coreografie di gruppo ricorda certi film danzati americani d’ambientazione campestre. Una riflessione tanto sulla coreografia, che deve essere millimetrica quanto sull’approccio registico alla medesima.

 

  • Questa disperazione di Piero di Mattia Biondi (Italia)

 

Breve opera di found footage. Un omaggio al quasi dimenticato cantautore Piero Ciampi (1934-1980) e una poetica quanto mesta rappresentazione visiva della realtà. L’audio ritrovato (la conversazione tra il poeta Bruno Vilar e Ciampi) sovrasta in parallelo a materiale visivo nel quale una ragazza guarda il mare. Sono riflessioni sul desiderio, l’amore e la disperazione.

 

  • L’incanto di Chiara Caterina (Italia)

 

Cortometraggio di montaggio, nel quale la regista costruisce una storia corale femminile. Cinque donne, di cui sentiamo solo la voce, raccontano il proprio vissuto. Storie di violenza, sopraffazione, di morte, che servono per fare una riflessione sull’incanto della vita. E le immagini ritrovate assemblate, sebbene nel loro “vecchiume” evidenziano la bellezza del “creato”.

 

  • Killing cinema di Tomaso Aramini (Italia)

 

Omaggio al regista sperimentale Romano Scavolini, con cui il giovane regista ha instaurato un rapporto epistolare. Prendendo spunto da questa relazione, e utilizzando materiale estratto dalle opere di Scavolini, il regista riflette su come a volte sia necessario uccidere il cinema. Liquidarlo per farlo rinascere. Soprattutto ora, che si sta omologando e non riesce più a essere vivo e necessario alla comprensione della realtà.

ANIMAZIONE

 

  • Little Fan di Sveta Yuferova (Germania)

 

Un corto d’animazione che rievoca le prime brevi opere della Pixar. Oggetti quotidiani che prendono vita. In questo caso un piccolo e giovane ventilatore che gioca con gli altri oggetti. Il suo movimento da vita a questi oggetti altrimenti inerti. Piacevole e divertente.

 

  • The Waiting di Voker Schlecht (Germania)

 

L’animazione come forma didattica per raccontare le rane e le diverse tipologie. Una rappresentazione, fatta con tratto d’animazione al contempo di rievocazione infantile e scientifica che si basa sul racconto della biologa Karen e le sue ricerche su degli anfibi che popolavano una foresta della Costa Rica.

 

  • Lake Baikal di Alis Telengut (Canada)

 

Animazione sperimentale, fatta a mano, che narra la storia del lago Baikal, situato in Siberia. La voce fuori campo di una donna, che parla con la lingua del luogo, è un misto di storia e religione, per sottolineare l’importanza del lago e la sua magia.

 

  • In una goccia di Valeria Weerasinghe (Italia)

 

Acqua fonte di vita, che rigenera ogni cosa vivente. E in questa favola animata, una giovane ragazza fugge dalla sua cultura occidentale e si ritrova nella selvaggia giungla. Un percorso di formazione nel quale il suo “spirito guida” è una goccia d’acqua, che gli mostrerà quali sono i bisogni necessari nella vita.

  • Beasts of the South di Xiongyuan Yao (Cina)

 

Un corto d’animazione dai toni cupi, nel quale il tratto del disegno animato è molto marcato e rimanda al pessimismo e alla violenza umana che regola il presente. I cambiamenti climatici stanno distruggendo vite umane e animali, oltre a far scomparire ambienti naturali.

 

  • Bye Bear di Jan Bitzer (Germania)

 

Un racconto distopico retrodatato agli anni ’80. Una storia di fantascienza non dissimile da quanto aveva scritto Brian Aldiss nel racconto Supertoys che durano tutta l’estate, da cui Stanley Kubrick stava per realizzare il film A.I. – Intelligenza artificiale (A.I. Artificial Intelligence, 2001), poi diretto da Steven Spielberg. Un solitario robot che vorrebbe essere non un umano, ma un animale, ossia un orso. È un’opera che riesce a trasmettere bene quel senso di solitudine e di un mondo naturale ormai scomparso.

 

  • As if it Could di Ada Guvenir (Belgio)

 

Tramite un’animazione d’astrazione infantile, una metafora sull’integrazione. La pianta come simbolo dell’essere vivente che per crescere e svilupparsi non ha soltanto bisogno di un luogo adatto, ma anche di giuste cure umane.

 

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